Linea d'ombra - anno VIII - n. 47 - marzo 1990

STORIE/SCHUHRT Il poliziotto se ne andò e una donna disse: ne aveva abbastanza. ha già avuto di certo un bambino da lui, con un sacchetto del supermercato pieno di banane e le foto della sorella, che manda tanti saluti. Sorrisegentilmente quandogli dissi di no, grazie, e prosegui, in modo completamente diverso da quel tedesco alla festa della stampa con il quale pure non avevo voglia di andare a bere un caffè. Mi disse,infatti: va' là, nanerottolo. Continuai la strada di lampione in lampione. Passai davanti alla fruttivendolagèntile, con laquale è permesso riflettereancora un po' anchequando è il tuo turno.Come il giornoprima, quando mi ero dimenticata tuttQ. Infatti proprio nel momento in cui toccava a me, era entrato un uomo nel negozio, avevamostrato il suo tesserino della polizia criminalee una foto. Si vedeva solo la faccia diunadonna con i capelli bianchi, e delle assi di legno sullo sfondo, un parquet, supposi, quando ci chiese se la cittadina in questione era conosciuta, se aveva fatto acquisti lì. Un cliente disse che l'aveva vista qualche volta seduta al cimitero. Il poliziotto se ne andò e una donna disse: ne aveva abbastanza.Non ci avevo pensato, e improvvisamente mi vidi davanti l'anziana donna, cheosservava la corda, faceva il nodo scorsoioe sporgeva il piede fuori dalla finestra per poterne raggiungere l'intelaiatura. Una malattia, un dolore, una perdita o qualcosa che doveva parerle unpericolo devonoaverlefattoprendere questadecisione. Nel negozio gli altri continuavanoa discorrere di censura e di film gialli.Dedussi dallo sguardopaziente della fruttivendolache mi aveva già chiesto che cosa desideravo. Quel giorno passai davanti senza fermarmi. Quando giunsi al capolinea, la gente correva più in fretta del solito verso il proprio tram, saliva con un salto facendo due gradini alla volta. Ma anche quelli che scendevano facevano due gradini alla volta, per raggiungere il loro tram. Il tram che li portava al loro televisore. Per me era ancora troppo presto quel giorno e presi la strada più lunga verso casa, attraverso il mercato coperto. All'entrata mi pesai, con addosso il giaccone e gli stivali. L'uomo che ricava da vivere con la bilancia spostò i piccoli pesi, finché non fu soddisfatto della posizione dell'ago, orgoglio professionale. Ho dimentièato il peso. Sul banchetto della cristalleria c'erano salvadanai a porcellino di ceramica bianca a fiori, che non durano a lungo, perché cadono di mano, levigati come sono, o vengono rubati, promet~ tenti come sembrano riguardo al contenuto. Sul banchetto della cristalleriac'erano anche nanerottolida giardino per gli americani. Sul banchetto delle scarpe c'era tutta roba d'importazione o novità o in sughero naturale. Mi misi incoda alla degustazionedel pesce. Degustaisgombri conpomodori, limone e salsadi capperi, tuttopreso dauna scatola aperta, in una vaschetta di plastica con un cucchiaino di plastica nuovo e un pezzo di pane. La venditrice mi era grata che la stessi ad ascoltaree fece tali elogi del suopesce che entraronoanche due ragazzine. La pubblicitaria di pesce in scatola spiegò'loro come fare una sorpresa alla mamma quella sera. Con una scatolaaperta di pesce e unpomodoro già tagliato. Mi immaginai la facciadella mamma. Il pomodoro mi fece venire in mente le cipolle, e andai dalla venditrice, che dice sempre "squàgliatela" quando infila qualcosa nella sporta a qualcuno.Quel giorno le chiesi se è anche 64 lei originaria dell'interno della ex Pomerania, come mia zia, che dice anche lei "squàgliatela". Adesso la venditrice mi terrà via qualche volta qualcosa di buono la sera. C'erano sempre più banchetti vuoti, finché qualcunogridò: si chiude. Mi diressi all'uscita sul latoopposto, da cui potevo vedere casa nostra. Contai i piani e le finestre fino alla nostra, che era buia. Scelsi la strada più lunga dalla parte dell'incrocio. Così potevo ancora guardarmi le vetrine. C'erano wurst in scatola, crema idratante, frigoriferi da 170 litri, confettiere azzurre di vetroe gelatineallabanana.Nella casadella culturaungherese, un signore in abito scuro stava chiudendo in quel momento la porta da dentro, c'era un gruppo di gente radunata al di là dei vetri. Siccome avanzavo lentamente guardandolo, riaprì e mi fece entrare. Accanto all'ingresso c'era un tavolino con dei bicchieri di spumante. L'inaugurazione di una mostra. Un ungheresecommentavai quadri in ungherese, ioguardavo i suoi baffi. Aveva fatto rilevare, come venne fuori al momento della traduzione, l'analogia dei quadri con disegni infantili. Riflettei sul fatto che esistono delle persone che fanno questa considerazione in presenza di altri di cui sanno che si aspettano questaconsiderazione, perché la sentono sempre a questemostre. Mi chiesi se ce l'avrei fatta a farmi venire alle labbra questo paragone, se si devono sempre dire cose risapute con serietà. Poi guardai i quadri. La pittrice aveva cominciato a dipingere a settant'anni, quando i figli se ne erano andati e il marito era morto. Così non poteva vietarglielo. Accanto a me c'era una donna anziana con una mantellina georgiana ricamata, capelli bianchi, palpebre cascanti, mandava odore di aglio, avevo già visto il suo viso in fotografia: era una pittrice. Diedero a ciascuno un bicchiere di spumante, il mio lo bevvi in un sorso. La pittrice conversava con una giovane donna, e cercava faticosamente di ricordarsi il proprio nuovo numero di telefono per darlo alla donna. Non usciva più volentieri di casa, diceva, da quando aveva il telefono. Perché le faceva così piacere ricevere telefonate. La giovane donna avrebbe potuto provare a vedere se il numero era giusto. Non era ancora segnato sull'elenco telefonico. Comunque sono sette numeri; sentii ancora che diceva l'anziana signora. . Quandomi ritrovai davanti alla porta della casa della cultura, ricontai i piani e le finestre di casa nostra. Allora vidi che c'era luce dietro ai nostri vetri. Attrav,ersaidi corsa l'incrocio, passai davanti alla fontana, alle panchine e alle sedie, al palco davanti alla nostra casa, ai venditoridi wurst e limonata,agli ubriachi, ai turisti,agli autobus in sosta,attraverso laporta con i vetri spaccati, davantial citofono con cento bottoni numerati, aprii la porta succe.ssivache portava all'ascensore con la chiamata d'emergenza scardinata, davanti a cento cassette delle lettere con i cart~lini strappati e mi accodai alle persone in attesa. Sentimmo delle grida e battere dei pugni dalla trombadell'ascensore, qualcuno era rimasto bloccato. Uno di quelli in attesa gridò che il portiere era già stato informato. Allora si fece silenzio. Quando arrivò il nostro ascensore tacemmo tutti, salimmo in silenzio, ci salutammo soltanto, i bambini ridacchiavano piano imbarazzati.

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