CONFRONTI (Le cose), pubblicata nel 1965, la forza dei miti del consumismo sulle coscienze infelici della piccola-borghesia francese. Nonostante la volontà di ~eparazione, flaugertiana e marxista, del narratore, lamediocre "grande avventura" di due giovani affascinati dai segni del benessere (avere è essere) che si concluderà, con amara rassegnazione, tra le "macerie di un vecchissimo sogno, tra rottami senza forma" ("Non restava niente. Erano alla fine della corsa, al termine di quella traiettoria ambigua che era stata la loro vita per sei anni, al termine di quella ricerca indecisa che non li aveva condotti in nessun luogo, e da cui non avevano imparato niente."), trova ancora la comprensione "personale" di un Perec che non riesce a evitare l' identificazione con i miti e le frustrazioni della sua generazione. È il Perec che negli anni Sessanta fianchèggia il Partito comunista e progetta la rivista "La ligne , générale", ispirata àl modello di "Les Temps modemes". E il Perec che partecipa ai grandi dibattiti della cultura di sinistra, alle sue battaglie politiche, e ricerca strumenti di analisi generale della società francese nel periodo della guerra d'Algeria. Non a caso Les Choses si conclude con una citazione di Marx: "Il mezzo fa parte della verità, come il risultato. Occorre che la ricerca della verità sia vera a sua volta, la ricerca vera è la verità spiegata, le cui membra sparse si riuniscono nel risultato." Il successo editoriale di Les choses è equivoco. Perec viene premiato dalla borghesia francese (Prix Renaudot) per aver proposto un' analisi "sociologica" impietosa delle aspirazioni e delle frustrazioni delle "giovani generazioni". Il racconto delle pene di Jerome e Sylvie, personaggi tipici di una piccola-borghesia intellettuale disposta a vendere l' anima per mendicare le briciole del potere (un divano Chesterfield, qualche indumento di marca, ninnoli vari), non può non essere gratificante per chi gestisce lo spaccio delle ·merci, la libertà di consumo. E poi, nella divisione dei ruoli sociali, Perec non è forse un "sociologo", sia pure irregolare? Non è forse, dal 1961,"documentalista" presso il prestigioso Centre National de la Recherche Scientifique? Anche da un punto di vista letterario ha le carte in regola: Les choses si ricollega alla grande tradizione flaubertiana (Jerome e Sylvie non sono forse. eredi dei patetici Bouvard e Pécuchet?), ma nello stesso tempo partecipa del clima sperimentale del "nouveau roman" ... In reali:à,nonostante l' evidenza del modello flaubertiano (ma bisogna chiedersi le ragioni della scelta di questo modello), il tentativo di Perec è stato ben diverso, e non viene còlto dai critici del Prix Renaudot. "Per quanto riguarda la sociologia, - chiarirà Perec in un' importante intervista del 1979- il problema è un po' diverso. La mia 'sociologia' del quotidiano non è un' analisi, ma soltanto un tentativo di descrizione e, più precisamente, descrizione di ciò che non si osserva mai perché vi si è, o si crede di esservi, troppo ~bituati, e per il quale, abitualmente, non esiste discorso: per esempio, enumerazione dei veicoli che passano dall' incrocio Mabillon, o dei gesti che compie un conducente quando lascia la sua vettura, o dei diversi modi con cui i passanti tengono il giornale che hanno appena comprato. Si tratta di un decondizionamento: tentare di cògliere non ciò che i discorsi ufficiali (istituzionali) chiamano l' avvenimento, l' importante, ma ciò che si trova al di sotto, l' infra-ordinario, il rumore di fondo che costituisce ogni istante del nostro quotidiano." A Perec non interessa tanto il "caso" sociologico di Jerome e Sylvie, quanto la rete infinita di rapporti concreti che la loro percezione condizionata (materialmente e ideologicamente) intrattiene con l' immensa raccolta di merci che costituisce il paesaggio naturale della loro falsa coscienza. Ma c' è un altro piano, ancora più profondo, che sfugge a una lettura superficiale di Les choses : le cose parlano, impongono i loro codici, il loro fascino misterioso, e la scrittura "reificata" di Perec, antipsicologica, flaubertianamente oggetti30 va, è espressione'del loro dominio sulla percezione inconsapevole. Il "partito preso delle cose", scoperta "straordinaria" in Ponge, diventa registro ordinario, anzi "infra-ordinario", ma nello stesso tempo "storico", di una realtà che è stratificazione complessa di segni. Il "divertimento" dissacrante di Quel petit vélo à guidon chromé aufond de la cour? (Quale bici col manubrio cromato in fondo al cortile?), pubblicato nel 1966, salva Perec dall' equivoca ·classificazione di "romanziere-sociologo" ad uso dei recensori dell' "Express": il tentativo di un gruppo di amici di salvare dal servizio militare in Algeria un tale Karamanlis, Karavacca, Karaplasma, Karacomesichiama... si trasforma in una paradossale epopea della vanità dell' impegno politico; una situazione da Cospirazione di Nizan si risolve grottescamente in un "piatto di riso con le olive" e un chiassoso addio agli "Arabicidi" in partenza per le "nobili colline d'Africa". Quel petitvélo è anche un addio a "L.G." a cui è dedicato, cioè a "Ligne générale", la rivista di estetica marxista che Perec e alcuni "compagni di strada" del Pcf hanno tentato invano di far uscire in questo stesso periodo: addio ali' impotenza delle analisi generali e delle chiacchiere generiche. Addio anche a una concezione della Letteratura come sovrapposizione alla realtà quotidiana, come schermo dello stesso funzionamento letterario. A conclusione del racconto, un "indice delle materie" enumera le figure retoriche (anacoluto, anadiplosi, annominazione, antanaclasi ...) di cui il lettore disattento (attento ai significati ma distratto nei confronti dei segni e dei loro rapporti) non si è certamente accorto. E dalla casualità della narrazione, dalla sua disordinata e ironica progressione attraverso ritmi e registri paradossalmente eterogenei, emerge la realtà nascosta, eppure essenziale, delle regole, delle costrizioni del linguaggio. Un homme qui dort (Un uonw che dorme) deve ancora molto alla prima "educazione letteraria" 'di Perec: pubblicato nel 1967, in piena moda del "nouveau roman", è un' opera che presenta numerose analogie con i romanzi di Miche! Butor e Nathalie Sarraute. L' impersonale "uomo che dorme", ad occhi aperti, registra con monotona ossessione la propria volontaria estraneità a un presente inaccettabile. Ma, dietro gli stereotipi letterari del disgusto di vivere e della reclusione volontaria in una stanza,la
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