Linea d'ombra - anno VIII - n. 47 - marzo 1990

CONFRONTI trapasso.I-certo: dal sangue al sasso-") sul mondo, Caproni non se ne ritrae sdegnosamente, anzi mostra di averne bisogno. E così nomina con umile attenzione gli oggetti anche minuscoli che lo popolano o gli eventi che ne scandiscono il ritmo: albe frigide, aromi acri, odori marini e di erbe, e anche osterie, nebbiosi bicchieri, tram, spazzini, case cantoniere e mercati di pesce, ecc. ecc. Non credo che avesse ragione il loico Calvino a sottolineare l'elemento del nulla e del buio, per cui nella poesia di Caproni "ciò che è, èpocacosa."No, ciò che è non è mai poca cosa, e anzi scombina qualsiasi logica, qualsiasi ragionamento per quanto lucido, in virtù della sua fisicità irriducibile (l' "odore di tronchi sbucciati" che brucia la mente al poeta). E non perché in Caproni sia assente il nulla, anzi tutta la sua opera più recente sembra fatta apposta per alimentare un commento filosofico ininterrotto intorno alla teologia negativa ("Dio s'è suicidato"; o anche: "Sta forse nel suo non 1 essere/l'immensità di Dio?"). No, la questione è un' altra, e tenterò di spiegarla. Si sa che a Caproni piaceva giocare con il proprio nome di "caproncello ", e Versicoli del conlrocaproni si intitola una sua raccolta molto privata. Ora; leggendo certi versi de Il franco cacciatore (1973-1982) viene da pensare alle caprette che si arrampicano sui ripidi sentieri di montagna tenendosi sempre in bilico sul precipizio ("Mi sono avvicinato troppo/ Fra poco precipiterò"). E non perché sono attratte dal vuoto, dall'abisso, ma per una ragione di sicurezza, per misurare i propri passi e il proprio equilibrio. Così Caproni si spinge spesso ai limiti del sentiero: a volte sembra che stia per cadere giù o che addirittura sia già sprofondato nell"'Orrido del Lupo" ("Son già dentro la morte"). Eppure non precipita mai, e anzi la "salvezza" (o, più laicamente, una possibilità di senso) consiste per lui nell'assumere consapevolmente e ironicamente il "limite" stesso dell'esistenza. Chi si crede al riparo, chi procede tronfio ed esultante, è già perduto ("Fischiettava, il fucile/ in spalla, spensierato. / Non pensava, lui assassino / d'essere l'assassinato."). La "disperazione calma, senza sgomento" con cui termina Congedo del viaggiatore cerimonioso appare però come un'acquisizione fragile, precaria, coì come l' "indicibile allegria" che una "solitudine senza Dio" renderebbe possibile (Inserto, 1973). È una conclusione non sincera ma troppo enunciata, troppo dichiarata. Accanto al riconoscimento e alla certezza della realtà quotidiana (legato certo al suo mestiere di maestro elementare), troviamo anche, all'origine della poesia di Caproni, una disperazione sgomenta, tremante: mi sembra però che via via si tenti di esorcizzare questa disperazione cantando la, stilizzandola, giocandola sapientemente. Soprattutto nelle ultime raccolte, pur prevalendo nichilismo e secchezza di tono, il canto tende a diventare maniera, raggelato virtuosismo; la leggerezza viene esibita e risulta a volte artificiosa, sovrapposta; le magnificate doti "naturali" del poeta (grazia, affabilità, la stessa facilità comunicativa) creano come una superficie sottile ma impenetrabile e protettiva. Ho insomma l'impressione che la seconda parte dell'opera poetica di Caproni (diciamo dagli anni Sessanta), pur conseguendo risultati altissimi, non ripeta più quel magico equilibrio de Il seme del piangere (1952-1958) tra canto e narrazione, tra tono domestico (o popolare) e tono elevato, tra abbandono lirico e descrizione realistica. Forse perché qui il poeta è assolutamente disarmato, indifeso (così come a un certo punto mi apparì nella casa di via Pio Foà la sua figura fisica); la disperazione è nuda, quasi impudica ("E chi potrà più appoggiare/ l'orecchio al suo petto, e ascoltare / come una volta il cuore./ timido tumultuare?"), così come è nuda la sua gioia dell'esistenza ("Eppure quanta mattina f il giorno ch'era partita Annina!"); lò sguardo è innocente, puro, e non è una innocenza programmatica, simulata, ironica (pur rispettabile, come di altri poeti del novecento); è un 'innocenza misteriosa, che appartiene alla natura più profonda di Caproni, e che rappresenta il dono più prezioso della sua attività poetica. ~ Novità Marsilio ~ Nerino Rossi LA VOCE NEL POZZO Unuomodelpoteree lamadredi un brigatista all'appuntamentocon lastoria pp. 208, L. 25.000 Pierangelo Selva LA GRANDE NEVE "La giustrrsconfittadegliindividuidifronteal mondo e al tempo"(FrancoFortini) PremioCalvino1988 pp. 2I6, L. 25.000 G.A. Cibotto VENETO D'OMBRA La culturae la societàvenetadi questianni pp. 320, rilegato, L. 28.000 Letteratura universale Omero, ETTORE E ANDROMACA (Iliade VI) a curadi.MariaGraziaCiani ed ElisaAvezzù con testoa fronte li leggendarioncontronellacittàassediata pp. I04, L. I2.000 Omero IL RISCATTO DI ETTORE (Iliade XXIV) a curadi MariaGraziaCianied ElisaAvezzù con testoa fronte L'apoteosidel vintoe delvincitore pp. 120, L. 12.000 Nikolaj Gogol' IL REVISORE a curadi EmiliaMagnanini La celebrecommediacheinaugura il teatrorussomoderno pp. 328, L. I8.000 ~ Elémire Zolta VERITÀ SEGRETE ESPOSTE IN EVIDENZA «L'esoterico è bencelato.Manel senso chestabenèin vistadovenessunose l'aspetta» pp. I82, L. 22.000 Reynaldo Hahn LEZIONI DI CANTO. PARIGI 1913 Untestointelligente biwirro,pienodifascino e sorprendentementeattualedi un raffinatomusicista amicofraternodi Proust pp. 222, L. 28.000 Witold Kula RIFLESSIONI SULLA STORIA a cura di MartaHerling introduzionedi BronislawBaczko La verità,i quesiti,il fascinodellastona: unagrandeineditalezione pp. 272, L. 32.000 Luigi Squarzina QUESTA SERA PIRANDELLO Scn'ttie notedi regia pp. I20, L. 20.000 Franca Angelini SERAFINO E LA TIGRE Pirandellotrascrittura,!eatrroe cinema "'"' '1Qd l 'ls;'!f'IM

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