Linea d'ombra - anno VIII - n. 47 - marzo 1990

ma l'ipotesi di un fenomeno internazionale e cruciale per l'intero quarto di secolo tra le .due guerre. Gli stessi conflitti di interesse tra diverse realtà nazionali del fascismo. avvalorano l 'ipotesi di una tendenza generale che ambiva a imporsi come soluzione unica e totale all'Europa uscita in crisi dalla prima guerra e dai conflitti sociali che l'avevano seguita. Prima di giungere ad analizzare il progetto di trasformazione non puramente territoriale che il fascisrrto·cercò di attuare nel corso della secondaguerramondiale,Collottiesaminaesaurientemente larealtàdelfascismo al potere, sof-. fermandosi inizialmente sul caso italiano e tedesco. Coerente coi propri presupposti egli dedica tuttavia spazio altrettanto ampio all 'esperienza dell'austrofascismo e al fascismo spagnolo e portoghese. In tutti questi <:;asisi approfondiscono le peculiarità di ogni regime e le particolarità nazionali che contrassegnarono la loro vita politica e sociale, ariprov adella necessaria integrazione tra·una riflessione generale e concettuale delf enomeno euna verifica empirica saldata sulle esperienze locali. È qui che Collotti dà prova di dominare una materia vasta e una storiografia sterminata, e che l'analisi del fenomeno fascista si sostanzià di un confro)lto con le istituzioni statuali ed economiche, con la chiesa e il padronato, con l'esercito e coi sindacati. ·Non c'è spazio, purtroppo, per seguire più da vicino la caratterizzazione dei diversi fascismi, le radici ideologiche ed economiche di ognuno di essi così come i mutamenti istituzionali e sociali che imposero attraverso tappe, conflitti, contraddizioni. Si tratta, naturalmente, di un'opera di sintesi, a cui manca evidentemente la possibilità di misurarsi in modo esauriente con tutti gli aspetti del fascismo e con tutte le articolazioni della storiografia. Se questa sintesi appare.avolte eccessivamente appiattita sul versante politico dell'interpretazione del fenomeno, ciò dipende in parte dall'intento insie- ·me polemico e didascalico di contrapporre alla vulgata revisionista un approccio più robusto, . coerente, rispondente allo svolgersi delle vi- , cende e capace di illuminare il senso. È proprio sul piano politico, infatti, sia interno che internazionale, che più ha avuto spazio il lavoro di lento riduzioI).Ìsmoepr<Ygressivogiustificazionismo che ha trovato nell'opera di De Felice il suo monumento nazionale più conosciuto epro-· pagandato. Alle possibili carenze sul versante dell'a- .nalisi sociale ed economica dei regimi fascisti, Collotti risponde con un allargamento geogrl).- fico e una dilatazione cronologica che non tr.ovano in genere posto nella gran parte delle sintesi disponibili. Il largo spazio dato al fascismo iberico si completa con le pagine dedicate all'Olanda e alla Norvegia, alla Slovacchia e alla Croazia, all'Ungheria e alla Romania. L' intrecciarsi, in questi paesi, di problematiche legate alla questione nazionale, agraria, cattolica, e agli esiti contraddittori della sistemazione territoriale operata a Versailles, creò movimenti fascisti che conobbero sviluppo e fortuna particolari, evidenti soprattutto nella fase espansionistica del nazismo tedesco che coincise con la seconda guerra.L'aver scelto di analizzare queste esperienze accanto a quelle del collaborazionismo (francese soprattutto, ma non solo) aiuta a far chiarezza sulle gerarchie, le priorità, le su24. CONFRONTI bordinazioni, le influenze, le tensioni che caratterizzarono quel disegno di fascistizzazione del- 'l' Europa a cui tutti i movimenti e i fenomeni richiamati dettero il loro originale e spon'taneo contributo. Il lungo processo di fecondazione ideologica e culturale che il fascismo operò negli anni Venti e Trenta sulla base del potere istituzionale raggiunto inltaliaein Germania conI' appoggio di forze economiche e statuali non indifferenti, trovò nei primi anni Quaranta la sua fase di pienarealizzazione, di sintesi, di verifica e infine di crisi. Lasconfittamaturatanel volgere di pochi anni (grosso modo dal '43 al' 45) non deve far dimenticare la profondità di una penetrazione che andava ben al di là dei successi militari conseguiti e delle ambizioni territoriali soddisfatte. Il Nuovo Ordine, insomma, non si può riduttivamente identificare con una occup_azione tedesca analoga a quella sperimentata da diversi paesi europei,anche nel passato. Non solo, come appare ovvio, per la peculiarità del genocidio antisemita, ma per l'insieme dei rapporti politici e sociali' che si instaurano in ogni paese secondo modalità ben diverse da quelle che caratterizzano in genere 'una nazione sottomessa militarmente da un'altra. · L'ultimo elemento che caratterizza positi- ·vamente il lavoro di Collotti è la nota bibliografico-storiografica che si snoda per quasi quaranta pagine con precise osservazioni che permettono di orientarsi criticamente nel gran mare della produzione sul fascismo. Questa nota, in molti casi, si rivela un utile correttivo all 'eccessivasintesi concuinel testo sièa volte dovuto affrontare qualche tema di rilievo. Vi sono alcuni argome}itirelativi all'interpr_etazionedeifascismi che Collotti, pur affrontandoli adeguatamente, non sembra reputare cruciali come quelli riassunti in precedenza. Si tratta di argomenti che sono spesso stati utilizzati dalla storiografia revisionista per mascherare una innovazione e modernità d'impianto critico più presunta che reale, e che forse Collottiabbandona troppo frettolosamente proprio perché li vede intrinsecamente legati a quella polemica e, forse, incapaci diOffrireun approfondimento temàtico e una chiarificazione concettuale. Alcune osservazioni critiche, che traggono spunto proprio dal lavoro di Collotti, non saranno forse del tutto inutili. Unaquestione è quelladellanovità che il fascismo rappresentò e attuò con il proprio regime, le proprie articolazioni, il proprio uso del potere e dei rapporti sociali ed economici esistenti. Collotti afferma giustamente che non sempre, a proposiio del fascismo, "si riflette a sufficienza che la strumentazione per operare il ricompattamento del corpo sociale non è costituita soltanto da strumenti istituzionali nuovi (il partito unico, le organizzazioni di massa, le istituzioni corporative, ecc.) ma anche dallariv alutazione di aspetti ·e stereotipi della tradizione" · (p.133 ). Un secondo argomento è quello che riguarda la modernizzazione apportata dai fascismi, categoria rifiutata da Collotti come veicolo di una visione economicistica o addirittura positiva dell'intera fase di sviluppo contrassegnata dai fascismi: "Al di làdi ogni possibile discussione del concetto di 'modernizzazione' il no.stropunto di vista è esattamente il contrario; dal punto di vista dello sviluppo politico e civile il fascismo ha rappresentato un momento di regressione non di sviluppo, di oppressione non di emancipazione" (p.166). In questa posizione mi pare di rintracciare unaeccessiva preoccupazione terminologicache si traduce in atteggiamento eccessivamente difensivo verso la storiografia revisionista con cui si polemizza prevalentemente. È proprio perchéqu!,!stastoriografiamantiene ancora strettissimo il legame politica-storia (pur facendo finta di-rinnegarlo) e attribuisce ancora al nuovo e al moderno un carattere positivb (pur facendo finta di considerarli concetti neutri) che Collotti, probabilmente, non ritiene particolarmente utile utilizzarli come concetti fecondi storiograficamente. E in modo abbastanza simile mi pare che si rapporti alla questione del consenso che i regimi conobbero. Ora se è vero che questi concetti sono stati spesso usati per primi dalla storiografia revisionista nel senso più volte ricordato da Collotti, è anche vero çhe la loro origine sociologico-antropologico-psicologica non ne autorizza quell'unico uso. Certo, il luogo comune che identifica il nuovo e il moderno con un giudizio positivo è difficile da scardinare, ma è un luogo comune che trova le sue radici anche nello storicismo marxista enel1'ideologia terzinternazionalista. Difendere questi ultimi dal!' attacco revisionista è necessario quando, come accade sovente, il revisionismo storiografico manipola dati e concetti in una confusa nube archivistico-retorica da cui è a volte difficile districarsi. Ma non certo per difenderli in se stessi. La loro capacità interpretativa, come lo stesso Collotti non manca di rilevare, si è esaurita da tempo. Oggi è forse possibile uscire dalla polemica un po' stantia se il fascismo sia stato progres- · so o regresso (come anche se abbia avuto o no una cultura) proprio utilizzando anche - in modo appropriato e critico; o, se ve n'è bisogno inventandone di nuovi - concetti mutuati da altre scienz!é!:sociali, umane, esatte o semi esatte che si voglia. L'importante è pretendere.che si dichiari con onestà il proprio percorso metodologico, fa propria fornitura documentaria, le proprie opzioni politiche e ideologiche che, in casi come questi, non sono mai neutre. È proprio il silenzio su questo, come ha sottolineato Collotti, uno dei limiti fondamentali di De Felice edei suoi epigoni: il rifiuto di giudicare, di essere chiari, di prendere le parti o le distanze dal1' oggetto swdiato. Che è un altro aspetto dello storicismo e del giustificazionismo. , Proprio l'analisi comparativa suggerita da Collotti, che tiene insieme la diversi tàdelle esperienze concrete ed un concetto unificante del fascismo, il suo insistere sul carattere internazionale e di lungo periodo del fenomeno, rende indispensabile un approfondimento degli aspetti sociali, economici, culturali, che può trarre giovamento dall'us'o di concetti e categorie che, pur se fumosi e contraddittorie, possono svelare qualcosa di nuovo se utilizzate in modo più preciso, corretto ed esplicito. Così come può essere utile riprendere il dibattito sul totalitari&.mo non nel modo solo apparentemente nuovo con cui viene· quotidianamente riproposto, ma come analisi delle alternative alla democrazia in crisi negli anni tra le due guerre. Tema su cui Collotti insiste con •giuste osservazioni e che potrebbe fare un passo in avanti alla luce del dibattito storico in corso nella stessa Unione Sovietica.

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