Linea d'ombra - anno VIII - n. 47 - marzo 1990

desidera. Le risorse dell'università non possono essere dilatate indefinitamente, salvo· a dequalificarne drasticamente il livello; e la laurea universitaria, e ancor più il dottorato, esistono per qualificare una minoranza di soggetti più dotati fra tutti quelli che sono usciti dalla scuola dell'obbligo. Qui è impossibile non tenere conto, tra l'altro, delle diverse possibilità di sbocchi occupazionali a seconda delle lauree. L'uso di facoltà come ingegneria andrebbe ovviainente incoraggiato con borse di studio, dato che mancano gli ingegneri; l'accesso a psicologia andrebbe scoraggiato o programmato con un tetto di iscrizioni, dato che gli psicologi sono in soprannumero e in maggioranza resteranno disoccupati. Il problema della selezione quindi esiste, e non può essere ignorato: ed è precisamente un problema politico, e di classe, nel senso che andrebbero appronatati gli strumenti per operare una selezione il meno ingiusta possibile, cioé per operare una selezione che ~emi il · meno possibile chi ha già dei privilegi sociali. Questi strumenti ora non esistono affatto, e quindi la selezione avviene in modo selvaggio, magari dopo la laur!!a. e non premia affatto i migliori. Il ribellarsi alla selezione non fa che lasciare in piedi la selezione attuale, che è la più ingiusta. La vera questione del diritto allo studio è dunque questa. Ma gli studenti occupanti non sono, in genere, di questo parere. Non vi devono essere barriere allo studio, dicono, e sembra accettabilissimo: ma cosa significa? Significa che si vuole qualcosa come una università · p0polare, o un corso serale aperto a tutti, per corrispondenza ed esami? È giusto che chiunque si possa, per così dire, comprare una sua laurea se lo desidera, seguendo liberamente una sucessione di lezioni, omagari anche senza seguirle, dato chi! in molti corsi di laurea basta sostenere una fila di esami neanche troppo difficili senza mai essere stati a lezione? Si deve dunque prescindere dalle capacità, dalle motivazioni, dall'applicazione del singolo? Quetsto spinoso problema viene accuratamente eluso dalle assemblee, e dagli incontri studenti-professori, con un accordo tacito quanto. unanime. Ciò che nelle assemblee regolarmente dunque si tace, per il buon motivo che si tratta di un discorso impopolare, è che se proprio si vuole che l'università italiana migliori rispetto a quella povera cosa che è ora.- essa deve necessariamente,fra le altre -cose, diventare più selettiva. In fondo è quello che è già successo durante gli anni '80. In questi ultimi anni l'università è nell'insieme migliorata rispetto a quella che era negli anni Settanta, nel senso che è diventata un poco più seria: gli studenti studiano di più, gli esami sono mediamente più difficili, gli stessi professori sono diventati mediamente più diligenti, oltre che naturalmente più esigenti. (Ciò non toglie, beninteso, che altre cose siano peggiorate o siano esplose nuove contraddizioni. Ad esempio, uno dei problemi nuovi è dato dal fatto che la riorganizzazione dell'università in dipartimenti - che sono, come è noto, organismi di ricerca e non di didattiça - ha contrbuito a polarizzare tutta la vita degli istituti su problemi burocratico-procedurali relativi a dLStribuzioni di fondi per una miriade di piccole ricerche - non sempre ben vagliate-e per i più variegati rimborsi-spesa e ha finito col demotivare i docenti dal rapporto attivo con gli studenti, nei confronti dei quali essi non hanno di fatto più alcun incentivo istituzionale). Ebbene di queste cose non si parla mai. Ma perché è così difficile parlarne? Il problema mi è apparso più chiaro quando mi sono chiesto come mai gli studenti del mio corso di laurea, che pure si lamentano (in privato, in assemblea e talora in singoli spontanei dazebao) di determinati professori poco seri, si rivelano poi incapaci di dar corso organizzato alle loro lamentele,· e di raccogliere una documentazione di denuncia un minimo sistematica. Le proteste, vorrei precisare, sono molteplici e spontanee, e giuste, ad esempio contro chi non fa lezione, o non si fa trovare, o insegna e pretende cose strampalate e incongrue, o impone la preparazione quasi esclusivamente suuna serie di libri da lui scritti e che non hanno attinenza con la materia d'esame, oppure dirotta i propri studenti su corsi privati, e così via. Ma ogni volta che la denuncia potrebbe diventare efficace, gli studenti si fermano. Come mai? Nel '77-'78 sperai vana.tnenteche gli studenti potessero preparare, sulle disfunzioni· della didattica, un libro bianco. Non sareb- ' bero mancati i docenti disposti ad aiutarli, e la cosa avrebbe avuto un impatto notevole. Non venne fatto nulla per mancanza di orgap.izzazione, e anche perché a quell'epoca prevalevano parole d'ordine massimaliste e anti-riforrniste. Ma la stessa paralisi si verifica oggi, senza mas- · ILCONTESTO simalismo rivoluzionario, e quindi forse per motivi un po' diversi. Nel parlare con qualche studente ho finalmente creduto di capire il problema di fondo. In pratica è impossibile chiedere maggior rigore _verso i docenti impreparati o inadeguati senza chiedere anche maggior rigore in generale, e inevitabilmente verso gli studenti stessi: ai più sembra dunque meglio nori aprire neppure il discorso. La denuncia puntuale, e non generica, degli' aspetti carenti della didattica, e la possibilità di giudicare - ed eventualmente di bocciare - i docenti da parte degli studenti ha dunque un inconveniente ben preciso: significa in pratica chiedereun'universitàchesomiglidi più aun'azienda e dimeno aunente parassitario parastatale, e sia in ultima analisi più esigente verso se stessa e verso tutti, docenti e studenti compresi. Qui, occorre dirlo, si paga la pesante eredità di una concezione tutta italiana dell'istituzione·pubblica, e quindi anche dell'uniyersità. Vige di fatto una struttura burocratica priva di reali strumenti di controllo interni sull'operato delle strutture e dei singoli: i più vi si adattano, cercandovi il massimo di tornaconto. L'università è ancora essenzialmente un !uogo di privilegi feudali; le carriere accademiche sono attualmente in quasi totalità congelate, e lo saranno per anni; gli stipendi sono un quinto di quelli europei; i professori sono di fatto non-censurabili e inamovibili; vi sono ricercatori che non fanno assolutamente niente e prendono lo stipendio lo stesso; i dottorati di ricerca hanno condotto a un vicolo cieco; i corsi di laurea rispondono quasi esclusivamente a fattori di b'uonavolontà, e non a criteri di efficacia e verifica. Ognuno dunque - fra i docenti-fa quello che può e ritiene giusto, ma ognuno sa bene che se non facesse nulla non succederebbe nulla, e se poi addirittura facesse male, o in modo disonesto, probabilmente nessuno interverrebbe, come nulla e nessuno del resto interviene a premiare chi fa della didattica di buon livello. In questa situazione gli studenti hanno la giustificata impressione di non contare, e sentono che l'università è una cattiva matrigna: ma la giusta richiesta di migliori possibilità di studio e di apprendimento, e di condizioni di studio e di vita più umane, si confonde pericolosamente cçmla richiesta egualitaristica- assai più ambiguadi un maggior potere contrattuale all'interno di un'università burocratico-parassitaria appiattita sui livelli più bassi di una istituzione buonamamma-per tutti. , Ciò che questa logica partorisce è una tendenza a un garantismo ferocemente settoriale, inteso come garantismo corporativo, ugualita- . rio, tendenzialmente passivo e, implicitamente, è duro dirlo, parassitario. Se è vero che oggi il movimento degli studenti definisce se stesso come una massa non già eversiva, non già anti-istituzionale, bensì come una civile.civilissima "categoria richiedente", in pratica questo stesso atteggiamento assegna un ruolo molto grande, e quasi provvidenziale, all1stituzione statale. L'ugualitarismo di oggi, più che rivendicare diritti e poteri contro l'~torità, sembra invochi soprattutto un'autorità buona, la quale si dimostri al tempo stesso paternalistica e materna, e cioè Ji dimostri accettante, non-giudicante, non selettiva, non discriminante. Lo slogan più reale, concreto, generale del movimento, al di là di polemiche di facciata, è la domanda di benefici per tutti. Ma le provvidenze richieste non puntano a una strategia politica: l'ugualitarismo non va oltre il contingente e non guarda affatto, come invece avveniva nel '68, alla famiglia, alla scuola, agli esclusi, .aidevianti, alla classe operaia, né punta allo scontro duro come nel '77; la richiesta non è universale, concerne soprattutto gli studenti come tali e i loro spazi. Questa lotta, con la sua polemica così poco definita, in fondo così povera di orizzonti politici reali, a·ben vedere dunque non rivendica, ma chiede: e questo chiedere ha molto di pre-politico e dianti-politico. La stessa domanda d,imaggior partecipazione nei luoghi di decisione dell'università suona come una richiesta di compartecipazione a una gestione più ugualitaria della pioggia dei benefici provenienti dal nulla, . cioè in pratica dal cielo di uno stato p_rovvidenziale.11movimento degli studenti del resto non fa veri scioperi, non fa cortei, non muove affatto contro lo stato, col passare delle settimane non si trasforma sostanzialmente, in un certo senso non fornisce neppure. una contrapposizione attiva, né una forma di disobbedienza civile, ma piuttosto si indurisce in un ricatto che tende in ultima analisi all'attesa. Sta di piè fermo. Occupa e paralizza spazi pubblici, e mentre impedisce che l'università funzioni, non riesce aconvincere 11taliache questa paralisi sia necessaria affinché essa funzioni meglio. Pesa sull'opinione pubblica, ma in quanto contri15

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