IL CONTESTO presenza di emozioni organizzative e di richiami alle responsabilità. In un intreccio di freschezza, di responsabilità e di cretività che affascina e inquieta i più anziani, tanti giovani finora apparentemente ignari di tutto ciò che è collettivo si sono forse aperti a responsabilità e problematiche politiche nuove. Ho partecipato a qualche assemblea studentidocenti: non sarà stato così dappertutto, ma mi ha colpito la civiltà dei primi e le numerosissime dichiarazioni di solidarietà dei secondi. Chedifferenz!l, rispetto al '68eal '77! Del '68,ricordoilcarattere di straordinariarottUra, il rifiuto delle mediazioni e di ogni autorità, l'acculturazione di massa alla di~cussione di tutto e di tutti, l'inventività, l'esplosione di strane e nuove dimensioni culturali pre-politiche e antiistituzionali; del '77, pìù malinconicamente, ho in mente la dùrezza degli autonomi, i visi èhiusi e risoluti, l'intolleranza reciproca, la fantasia di essere già i più forti dello Stato e, talora, le reciproche feroci seggiolate in testa fra i giovani di vent'anni. Ora siamo tutti più civili. Questamancanzadìdurezz~edi fanatismi è costruttiva, e si accompagna a quella crisi delle grandi ideologie che è in linea con lo spirito dei tempi. Eppure forse ha quakhelimite, e serve anche a nascondere qualche malinteso. Quali sono state f"inora,in realtà, le linee generali delle richieste degli studenti? Sono state linee politiche avanzate? Avanzate in che senso? Questo non è molto chiaro, così cche a lungo ~dare nasce, nell'osservatore, qualche perplessità. Anche la buona volontà dichiarata, e ribadita, di laureati e professori verso ,ipiù . giovani è lodevole, certo, ma qualche volta mi sono sorpreso a sperare che non suoni del tutto convincente agli studenti in assemblea. Nel caso migliore, infatti, è evidente che noi professori, vittime a nostra volta ma anche-e forse soprattutto - complici delle disfunzioni dell'università, ci sentiamo in colpa, e abbiamo tutti qualcosa da farci perdonare; · nel caso peggiore, fra ricercatori e docenti qua e là fanno capolino attegiamenti che, per voler essere volonterosi e caldi senza essere paternalistici, finiscono con l'esporsi· all'accusa possibile di demagogia e, forse, in qualche caso, di ,opportunismo. Ma non è questo il punto: il punto è che la mancanza di vera conflittualità sembra a volte trasformarsi in una collusione particolare, in una complicità generale nel tacere taluni problemi. Forse - ma non ne sono tanto sicuro -è un bene che sia così. Dalla conflittualità si esce a volte nel modo migliore secondo la tecnica più soft delle contrattazioni sindacali, che consiste nel cercare in primo luogo di metter tutti d'accordo su un documento generico, che esprime la volontà:comune ma non affronta nessuno dei problemi più scottanti, per poi, in un secondo momento, spenti i riflettori, calmati gli animi, trovare pian piano gli accordi sui singoli punti. Proverò a dire quali mi sembrano i più tipici arqomenti di equivoco sull'attuale situazione universitaria italiana. _ In generale, questo movimento sembra sia stato finora prigioniero del contrasto fra la pesante giustificazione della protesta, e la fragilità delle rivendicazioni. Poiché il disagio è più che giustificato, non si può dire che la protesta "ha torto". Però la protesta, pur essendo socialmente e psicologicamente bèn motivata, e pur avendo il grande merito_di sollevare un problema drammatico - qùello dell'insegnamento superiore - di fronte all'opinione pubblica, non necessariamente è stata finora nel giusto in tutto. Qui non ha un èompito facile chi deve far • osservare che le rivendicazioni degli studenti non sono necessariamente, in ogni epoca, rivendicazioni avanzate, emancipative, progressiste, mli possono eventualmente anche rivelarsi rivendicazioni regressive. Il fatto, insomma, che essi abbiano tutte le ragioni non implica automaticamente che abbiano sempre ragione. ' Qualcuno ha sostenuto che questo movimento, nella misura in cui ancora si richiama al marxismo e ali' egualitarismo (ho visto perfino un "Che Guevara vive") edè contro le multinazionali, risulta ormai tagliato fuori dai tempi e dalla storia. A me non pare che sia questo il problema, né che siano questi i suoi elementi portanti, e non vedo molte cose che somigliano al '68 o al '77. E del resto, se i più giovani vogliono richiamarsi a qualcosa che li guidi, dove troveranno ormai le loro immagini di riferimento? Il dramma di quelli che occupano le università mi sembra consista in unà triste consapevolezza del fatto che il marxismo e la rivoluzione e i rivoluzionari sono diventati tutti quanti poco credibili. Oltre a non avere nemici adeguati contro cui battersi (la polizia, per lo più-non sempre -sorride o è assente, un Lama non si farà certo 14 vedere, tutti dicono che loro, i giovani, hanno rag~one, e i vari Ruberti o De Benedetti o Berlusconi, basta guardarli, non hanno neppure più la faccia giusta) manca la possibilità di attingere da un armamentario strategico di parole d'ordine spendibili. Qui, del resto, l'inventività degli studenti si sposa alla diffidenza verso tutto ciò che appare consumato; ma i nuovi amici e i nuovi nemici diventano difficili da identificare. Ne nasce tra l'altro qualche reazione negativa all'armamentario ideativo tradizionale della sinistra: recentemente in un incontro studenti-docenti, a Roma, un tale ha fatto, dal podio, un brevissimo e sobrio riferimento a come oggi è gestita l'università in Nicaragua, e immediatamente intorno a me ho sentito vari giovani, sicuramente occupanti attivi, esprimere, cmi gesti delle mani e parole, una decisissima impazienza sia verso l'argomento sia verso il tipo di riferimento ideologico. In mancanza di tentativi di rivoluzione culturale e di parole d' ordine eversive, in mancanza di un vero orizzonte politico di alternativa, sarebbe stato logico discutere, e molto, di riforma universi taria: ma, curiosamente, mi pare se ne sia parlato abbastanza poco. Sono mancate sia le rivendicazioni efficaci e convincenti , sia le progettualità c,mcrete. Fra i singoli e le idee, fra le idee e i programmi, fra i programmi e la realtà non sempre lo spazio è stato colmato: la Pantera, molto bella, è stata volentieri emblema di se stessa, non ha rinviato a granché di più preciso. Certo, prendersela con i potenti è giusto: la nostra classe politica è pessima, e non vi è nessun dubbio che gli studenti si meritino di meglio, e che facciano benissmo a sbeffeggiare chi governa; eppure questo non autorizza certe semplificazioni, perché - ad esempio - una semplice lettura dei progetti di legge basta a capire che non è affatto vero che Ruberti vuole privatizzare gli atenei. L'idea poi che proprio Agnelli sia il vero nemico della cultura, e che le sponsorizzazioni siano la morte della ricerca, semplicemente non è credibile. (Fra l'altro, nell'università •degli ultimi anni sono state molto numerose le iniziative bloccate o discriminate per eccesso di statalismo burocratico e lottizzante o perché i promotori non avevano la tessera "giu'sta" in tasca, mentre per contro non ho sentito granché parlare di ricerche o scoperte bloccate dagli interessi dell'industria. Nella difficoltà di passare dalla protesta generale a quella minuta e documentata, e da quest'ultima a una serie di proposte alternative, per fo,za di cose si è rimasti incollati al generico. Ma quale generico? La morte del marxismo e la crisi della sinistra hanno fatto mancare le immagini e gli ideali. A questo punto riemerge, e rimane puro e potente, talora perfino fine a se stesso, il fascino dell'egualitarismo, strettamente associato alla scoperta del potere della categoria. Il potere degli studenti è duplice: essi ,hanno scoperto che in Italia è facilissimo paralizzare una segreteria, la stanza dei fax, i telefoni, un'intera facoltà: infatti non occorre neppure essere in molti, basta esser decisi; dato c;he in pratica nessuno, neppure un bidello, si oppone; ma poi, cosa più seria, la massa dei giovani ha scoperto di essere numerosa e temuta. Gli studenti si guardano negli . occhi, e constatano di contare; all'interno delle facoltà occupate riscoprono il fascino esaltante, e la fo_rza,dell'egualitarismo di categoria. L'egualitarismo di categoria è, in pratica,. una delle possibili chiavi di interpretazione di quel che è accaduto. Le rivendicazioni sono state chiare. Dunque, niente lauree differenziate (diploma e dottorato) come in America e in altri paesi ma lauree tutte ugÙali, libero accesso alla cultura, ai libri, al sapere e ai titoli senza discriminazioni, diritto allo studio per tutti, niente aumento delle tasse universitarie, le varie università tutte uguali fra loro attraverso la penisola, e lo Stato a garantire questo egualitarismo al riparo da interessi privati. La logica dell'impresa, della competizione e del profitto non deve inquinare l'università come luogo di uguagliartZa: in sostanza gli studenti non vogliono essere divisi da interessi che non siano i loro. · , · · L'equivoco maggiore si concentra proprio sulla questione del diritto allo studio. , . Il concetto di diritto allo studio, se correttamente inteso, e cioé inteso in senso politico, e progressìsta, e di sinistra, e perfino in senso classista, non può che significare una cosa: che un qualsiasi studente non • dovrebbe essere penalizzato dal censo e dalla classe sociale, e che quindi i meritevoli dovrebbero disporre di un sistema efficiente di esenzione dalle tasse, di borse di studio, di assistenza logistica. Ma non significa affatto che chiunque ha diritto ha prendersi una laurea se solo lo
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