Linea d'ombra - anno VIII - n. 47 - marzo 1990

e referendum sul nucleare), nell'89 (europee) si devono a questo, oltre che al diffondersi di una generale (e generica, a volte forse fugace come una moda) sensibilità ecologista. Certo, ancora Enzensberger ne ha indicato precocemente il legame con particolari preoccupazioni della nuova classe media culturalmente e politicamente egemone nei paesi capitalistici più ricchi. "Nella misura in cui la classe media può essere considerata produttrice di ideologia, l'ecologia è un suo prodotto "ha scritto, individuando lo spazio sociale di questa classe, e la natura delle sue preoccupazioni, nella zona intermedia tra la classe dei lavoratori salariati meno sensibile a questioni non direttamente legate al lavoro di fabbrica e al salario e-la classe dei capitalisti, della ricca borghesia in grado di comprarsi perfino le oasi di pianeta pulite. "Il movimento ecologico è incominciato solo dopo che anche i quartieri e le condizioni di vita 'della borghesia sono stati esposti ai danni ambientali che il processo d'industrialin:azione porta con sé. Ciò che riempie di terrore i suoi profeti non è tantp l'immiserimento ecol~gico, quanto la sua generalizzazione". E a questo punto che la coscienza della crisi ecologica si generalizza, e trova una voce, un movimento, una rappresentanza politica. Uno dei limiti principali in particolare dei Verdi italiani è la mancata comprens_ione di questa propria origine, di questo legame con l'affennaisi di una classe specifica e il generalizzarsi di alcune sue preoccupazioni. Non che queste ultime siano prive, per ciò, di un valore universale. Ma certo una sorta di viiio d'origine permane e appare più evidente in molte vicende interne dell'arcipelago verde, nella vita della Federazione delle Liste Verdi e dei gruppi locali, nel processo di unificazione in corso con i Verdi-Arcobaleno, nella disinvoltura spesso opportunistica nei rapporti con il sistema politico. Oltre che nella fragilità culturale, Fotodi Rick Smolan (Contact/G. Neri). IL CONTESTO che combina spesso orgogliose professioni di integralismo verde alle più pacchiane omologazioni a miti e riti dei mass-media (come l'incredibile entusiasmo dimostrato da molti verdi per i "sermoni ecologici_" di Adriano Celentano a "Fantastico" o certe attuali iniziative pro-Amazzonia). Ripeto: tutto ciò non sminuisce l'importanza delle tematiche verdi, la loro assoluta crucialità nel mondo attuale, né il ruolo politico stesso dei Verdi. Ne condiziona però le forme, i linguaggi, e certi percorsi. Ne favorisce, anche, il giocare con alcuni slogan che rischiano di trasformarsi in opportunistiche banalità, come il noto: "non siamo di destra né di sinistra, siamo avanti". Finché lo dice il dissidente russo Buckovsky, nella versione originale - "non veniamo né dal campo della destra né da quello di sinistra: veniamo dal campo di concentramento" - la cosa appare motivata. Ma già nella riformulazione di Petra Kelly -·quella ripresa anche dagli italiani - si alludeva a un confronto con questo "avanti" che invece nel dibattito nostrano è del tutto assente. Oggi questo ''avanti" in cui i Verdi si collocavano è stato raggiunto dalle cose. A lungo, per il solo fatto di esistere, i Verdi hanno sfidato la realtà delle cose, proponendone un rovesciamento verso un nuovo equilibrio. Oggi invece le cose sono tornate a sfidare tutti, Verdi compresi. La vastità della crisi ecologica è davanti a tutti, e i Verdi non sono più profeti marginali e inascoltati. Oggi hanno udienza, peso, responsabilità che hanno voluto assumersi. Il tempo che era "avanti" è oggi il nostro tempo e in rapporto ad esso anche gli ambientalisti si devono definire. Non basta più dire ciò che non si è e nemmeno indicare la generica - ancorché nuova- direzione in cui si vuol andare. Qui e ora, dove siamo? Dove sono destra e sinistra, oggi, rispetto all'urgenza ambientale? E dove sono i Verdi rispetto all'evoluzione della società italiana e della storìa contemporanea? 9

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