parte. Però si scopre che, appena arrivati, hanno poggiato i bagagli nel posto giusto dove gli serviranno come oggetti di scena, e, mentre si chiacchiera davanti a un thè caldo, ci si accorge che sono vestiti e accessoriati in modo insolito, già con i costumi, già pronti. Nella pausa che ti lasciano per chiamare qualche amico e non ritrovarti sola spettatrice, ciascuno sembra abituato a cercare il proprio agio, il proprio angolo e la propria occupazione preferita: chi si mette a leggere, chi chiede carta da lettere per scrivere, chi si mette a disegnare. Ma sarà poi quello il luogo deputato della propria azione, sarà poi quella l'occupazione distintiva del personaggio, mentre ti distrae la conversazione e il racconto delle puntate precedenti: il motivo di questa improvvisata e della loro scelta, l'incontro con gli altri ospiti già visitati, l'alloggiamento el' agattamento dello "spettacolo" nei posti più svariati, dalla tipografia di Terni al salotto di un antiquario di Napoli al supermercato di Genova alla torre di Salisburgo. Arrivato qualche altro spettatore, gli amici del Teatro Settimo infine ''vanno a incominciare" la loro Stabat Mater, giocando con pegni che fungono da biglietti e · imitando un po' delritualed'accoglienza in "sala". Seguono i brani dei racconti di vita, le piccole interazioni, le confidenze informali su cui si basa l'azione, e prosegue almeno per l'ospite la sensazione di precario equilibrio fra la propria quotidianità invasa e l'altra quotidianità inventata come riassunto e .. prosecuzione delle vicende dei "figli del Colonnello". Si vive l'ambiguità e lo spiazzamento dovuto all'intreccio fra due scene, o meglio fra i due camerini, del1' attore e dello spettatore, dove avviene un confronto fin troppo ravvicinato che mantiene l' esperienza su un piano più alto e più presente dello "spettacolo". In effetti si riceve "teatro a domicilio", ma si è in presenza di altre intenzioni: quelle tappe itineranti del gruppo di attori-personaggi sostituisconp le prove, suggeriscono l'adozione di un "metodo di viaggio" nel teatro e con il teatro. Gli attori si trovano immersi in un flusso continuo che proseguedentro e fuori la scena, omeglio dentro e fuori l'incontro-pretesto di una messa in scena del materiale fin lì preparato. Fino al punto rappresentato, che è anche il punto - o la casa - in cui si è arrivati, TEATRO strada facendo. La compagnia "di giro" ha evidentemente scelto di estendere il tempo del lavoro per tutto il tempo reale- sempre privato, ma sempre relazionale -. della loro tournée: ciascuno porta costantemente con sé l'effetto e la fatica di uno spazio/tempo proprio, tutto interamente teatrale, tutto' impegnato nel continuo scambio a tre, tra attore e personaggio e spettatore, modulato e frequentato nelle sue possibili combinazioni e varianti. L'affinità con le théare en apartement è allora ridotta, almeno per il momento, a pura coincidenza. Quella è una proposta alla fine "politica", di un teatro a do~cilio che vuole "ridare un senso e una funzione al divertimento nella collettività", e per questo si dà la regola "di riunire la gente di uno stesso quartiere attorno ad un evento che è fatto della rappresentazione e da quanto succede attorno". Questa è invece un'esperienza giustificata e consumata su un piano più personale che sociologico, ma è ancora lontana dal divenire forma e offerta di sperimentazione. L'obiettivo, tutto interno al bisogno del gruppo e dell'attore, contagia emotivamente ma non convince lo spettatore: loprÒvoca, lo fa lavorare, lo contempla ma non lo comprende. Se lo spettacolo del Teatro Settimo non è ancora completo, il suo "viaggio" però, come un'esplorazione, ha il merito e l'onere di aprirgli la strada: una strada più consapevole della difficoltà e della complessità del teatro, differente da quella un po' facile e ideologica, nonché altrettanto rischiosa, "alla francese". UN TRIBUTOA CHICOMENDES FrançoisKohn Nel corso della Seconda Mostra Latino-americana di Teatro, tenutasi a Londrina in Brasile nel giugno scorso, ho assistito a uno. spettacolo eccezionale se si consi- · dera il quadro della produzione teatrale di questi ultimi anni. Non Tributoo Chico Mendes (fotodi Ney Robson). solo perché si riallaccia a temi e pratiche del "teatro politico" e "impegnato" abbandonatidaanni in Europa, ma anche perché lofa non in uno spirito di rivisitazione melanconica o estetizzante (ah, il retrò!), ma con l'urgenza e l' efficacia necessarie allo scopo. Si tratta di Tributo a Ciuco Mendes. Al di là del drammatico evento trattato, l'assassinio premeditato e annunciato-da lui stesso-del sindacalista Chico Mendes, e della evidente funzione informativa e pedagogica che ha motivato la messa in scena, vorrei sottolineare due aspetti essenziali dello spettacolo: da una parte le "radici" umane che hanno nutrito questo lavoro e dal 'altra la semplicità dei mezzi usatiper toccare lo spettatore.Perciò ho tradottodueframmenti de'i testi dati come "programma" allo spettatore, prima della rappresentazione. Il testo! mostra, inmodo molto semplificato, il processo seguito per formare un gruppo intorno a un regista, Joiio das Neves, molto conosciuto in Brasile per il suo impegnoprofessionale epolitico. I legami tra lodo das Neves, i suoi colleghi attori e musicisti e i suoi amici seringueiros si sono creati attraverso un lavoro prolungato e paziente. Solamente così si può spiegare la tranquilla sicurezza del/:azione scenica che trasmette un senso di piena coscienza e libertà; solamente così la parola e l'azione degli attori si stacca da ogni affettazione funebre, e lo spettacolo diventa sorprendentemente gioioso. Il testo II è invece un brano della presentazione dello spettacolofatta dal suo regista, utileper . spiegare la semplicità dei mezzi messi in opera. Lo spettatore al suo ingresso è pregato dt sedersi sul pavimento, a caso, in mezzo a delle foglie secche e odorose, in una grande sala vuota. Dal soffitto pende una sorta di aquilone a
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