TEATRO L'anno scorso al CRT di Milano in una breve riunione di piccole disobbedienze, furono invitati, per esempio, tre gruppi italiani: il Magopovero di Asti, lo Studio 3 di Perugia e il Teatro Daggide di Palermo. Chi aveva deciso di chiudere i rapporti con il Ministero, chi con l'ente regionale, chi aveva tagliato i ponti da tempo con la produzione e la produttività e proseguiva la propria illusione di sperimentazione, contro tutte le altrui evidenze e contro molte delle proprie materiali necessità. In un anno di maggiore attenzione e di ulteriore prosecuzione della crisi; gli atteggiamenti e le intenzioni fuorigioco sono aumentate; e, mantenendosi al livello di atteggiamento e di intenzione, ci si è fatti anche più furbi. Può darsi infatti che i comportamenti contraddicano le scelte, può darsi che le dichiarazioni di coerenza siano più delle effettive dimostrazioni, ma chi l'ha detto che si può barare da una parte sola? Chi ha mai creduto poi di affidare al teatro, anzi al teatrino, una responsabilità politico-culturale o perfino etica così elevata? Comunque non si deve e non si vuole fare d'ogni erba un fascio, ma solo raccogliere in un sacco alcune iniziative significative del "fuorigioco" e magari riflettere sulle possibilità di inventiva "alternativa" (brutta parola ma solo perché abusata, non perché perdente: la sconfitta è un modo come un altro per andare avanti, anzi talvolta l'unico e il migliore). Non si vogliono accostare esperienze diverse e magari contrapposte, ma citare degli esempi pescati a vanvera ma avvicinati dal vero, che lungi dall'indicare una linea costituiscono però un libero e sparpagliato patrimonio, più per il giovane teatro di domani -se ci sarà-ehe per gli ex-giovani di oggi. E gli esempi disponibili o preferiti hanno qualcosa in comune: appartengono tutti a una misconosciuta mediocrità, come si trattasse di una generazione intermedia caratterizzante un periodo di transizione. E ora di rendere giustizia a queste definizioni e di affermarne l'ottimismo, visto che è da un po' che prosegue un'eterna fase di transizione e si succedono infinite generazioni intermedie. Si può ricominciare da quelli già citati, intanto per verificare che sono ancora in salute e perfino in produttività: il Magopovero non ha cessato di vivacizzare un festival-off, di attraversare esperienze limite e "carcere", e di lavorare a un nuovo spettacolo su San Francesco; lo Studio 3 ha aperto un nuovo programma di lavoro al Teatro del Mercato nonostante l'assoluta e costante mancanza di garanzie _eil Daggide ha appena debuttato con il suo non-spettacolo ("META, Modello per l'Estemporaneità del Teatro d'Attore"), ovvero con la messa in scena di una nuova fase intermedia della sua ricerca di transizione verso un nuovo metodo teatrale. Ma certamente non conta soltanto la salute: va misurato anche il contributo alla "salvezza". Ma salvezza di che cosa? Salvare l'anima o soltanto il trucco della ricerca - che è lo stesso - vuol dire salvare qualcosa di privato come la forza e la ricchezza delle proprie motivazioni al teatro, e dall'altra almeno qualcosa di politico, come l'attenzione tanto insistente quanto profonda verso la relazione in cui il teatro consiste, quella con lo spettatore. Alla fine la "ricerca" è tutta qui, almeno quella che è accessibile e doverosa per la maggioranza che è costituita proprio dal teatro minore e perfino peggiore. Quello che si può permettere - talvolta più del teatro maggiore e migliore- di puntare i suoi sforzi su quel poco di privato e di politico (appena spiegato), in cui consiste il vero terreno della significatività e della differenza del teatro, nel mare televisivo della .cultura spettacolare attuale. Siamo poi tanto sicuri che il terreno della qualità sia un altro e possa situarsi così lontano? Lavorare"indiscesa" Dopo varie storie - e molte vite - passate nella pratica e nell'incensamento dell'autodidattismo, tanti "teatrini" hanno ~8 Da La mite di Dostoevskij con Silvia Pasello scoperto con rimpianto di non essere mai stati a scuola: si_è scoperta l'acqua tiepida della scena all'italiana, della buona recitazione, della drammaturgia d'autore al posto di quella dell'attore .. Tutte cose mancanti e necessarie, tutte cose utili per compensare o combattere la provvisorietà e l'incongruenza di uno sperimentalismo che stentava a soddisfare le ansie di successo e i diritti di sopravvivenza di troppi, di tutti. È cominciato così un arrancare in salita, verso l' aspiraz-ionead una qualità tradizionale e ad un 'importanza ufficiale, verso la conquista di una quota di mercato e di notorietà ovviamente proibita ai più. Pochi hanno rafforzato un "proprio" teatro; molti ne hanno smarrito il senso e il motivo, senza però abbandonare la scena. Se infatti la vera salita si dimostrava impervia e inaccessibile, spesso i falsopiani del bluff istituzionale si rivelavano più facili delle erte strade dell'arte teatrale; e si conoscono troppe assunzioni senza ascensioni, artisticamente improprie quando non indecenti, anche ai più trascurati e malpagati livelli del piccolo localismo. · Piccolo, un po' come proletario, non è sempre bello: nella gratuita responsabilità dell'attività culturale, l'errore può essere perfino velenoso, e l'orrore senza giustificazione: Come raramente succede che si arrivi a sconsigliare il proseguimento delle repliche di un brutto spettacolo o addirittuta si invita qualcuno a èambiare mestiere, così più frequentemente si dovrebbe lanciare allarmi in direzione di chi si impegna sul piano più generico dell'attivismo cultural-spettacolare, occupando il ruolo di "attore organico" (ma anche consigliere, organizzatore, ufficiale pagatore..) in uno qualunque dei mille luoghi istituzionali che, preoccupati di nascondere la propria scarsa utiJ.ità,si occupano di politica culturale. C'è, perfino fra i teatrini più oscuri, una discreta quota di arrivisti arrivati che, dai loro piccoli vertici, sostengono non soltanto il criterio meritocratico e selettivo, quanto l'immagine fissa e sacra della strada in salita: ma si tratta della carriera e non dell'ascesi. Più il progressismo becero del guadagnare il traguardo a costo di perdere il punto di partenza, ma anche della novità al posto del perfezionamento, del successo al posto della soddisfazione. Non c'è da meravigliarsi se siano allora poche le occasioni di strade e sfide diverse, le iniziative che mantengono aperto il campo delle possibilità, fregando~ene del dogma della verticalità. Eppure è vero che si può lavorare anche "in discesa": per esempio all'indietro, rifacendo "meticolosamente il cammino percorso, in modo da ritrovare il punto di partenza o il punto in cui si è presa la strada sbagliata", oppure anche in avanti insistendo e "rinnovando continuamente il confronto con lo spettatore", tanto per rubare le frasi di qualche recente depliant programmatico.
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