TEATRO pubblico (o dei pubblici funzionari preposti all'aumento del pubblico), perché nçll' attuale panorama di offerte da fritto misto, sono poche le stagioni e i teatri che mantengono una selezione o un orientamento qualunque: ciascuno compone un melange da minimarket buono per tutti gli usi, per tutti gli abbonati. Tanto niente ha successo, ma tutto raccoglie applausi. . "La gente ha bisogno di teatro", sembra si debba ammettere ogni volta che ci si trova davanti ai dati dell'aumento, della , conferma o solo della resistenza del pubblico teatrale. Ma è proprio "la gente"? Ha davvero "bisogno"? E di quale "teatro"? Le domande preventive sullo spettacolo e sugli spettatori hanno finito di riguardare la cultura teatrale o di alimentare la ricerca; solo le risposte e i consuntivi valgono, secondo una logica di mercato che tutti assicurano corrispondente al teatro come all'intera cultura dei nostri tempi. E finalmente quanto sia benedetta e liberante questa logica, lo si vede dal crollo delle altre economie e ideologie: nel teatro come a Berlino, tanto non c,'èpiù pudore nel fare accostamenti bizzarri e aggiustamenti blasfemi, purché i conti tomino. Quelli del registratore di cassa. Certo è che organizzare e definire come un mercato quell' impianto di pubblica e politica assistenza che determina e devolve tutte le entrate, e talvolta, attraverso i suoi pubblici e politici incaricati, amministra altrettanto arbitrariamente anche le uscite, è una questione che non cesserà mai di stupirci. Ma forse è un ultimo residuo di vera teatralità: è in fondo questa maschera di "mercato" che ha permesso investiture artistico-culturali a dir poco sfacciate, che ha consentito a impiegati comunali e funzionari di partito di diventare apprezzati e celebrati "uomini di teatro", dopo aver elargito soldi e sforzi a quanti hanno aiutato - anche indirettamente e inconsapevolmente - il compimento di questa resistibile ascesa; pressappoco così i neo-ricchi di un. tempo si compravano cariche nobiliari, con la sola differenza che se Iç pagavano con i propri soldi! E un fatto comunque che sia il mercato sia i nobili mercanti hanno interesse a sottolineare un Teatro sempre più maiuscolo e di prestigio, e invece a strapazzare le stravaganze e le pretenzio- . sità giovanili e minorili: la "ricerca" sembr~ diventata una parolaccia per tutti, da scusa che era per molti. E proprio vero che la rapidità di trasformazione del linguaggio è superiore al deterioramento delle mode: certe parole muoiono prima di essere state effettivamente provate. E indossate. Che sul fronte del teatro sperimentale qualcosa stia da tempo affondando lo. si vede dai topi: commentatori e talent-scout, festivalieri e operatori culturali stanno abbandonando il terreno - almeno nella cronaca - a Fantoni che dirigerà quel festival, ad Albertazzi che non dirigerà quell'altro per via dei suoi precedenti fascisti. La "cultura come investimento" ha rimesso le vecchie glorie e le grandi firme al primo e unico piano; sta cancellando gli ultimi spazi e togliendo gli ultimi spiccioli agli exgiovani della sperimentazione, che hanno sempre vissuto del doppio lavoro offerto ai tempi della "cultura come servizio" (quando erano molti e liberi i posti da animatori scolastici e sociali, da consiglieri dell'assessore di campagna, da operatori di cooperative 285, ecc ...). Contemporaneamente il territorio cui turai/spettacolare è stato organizzato in centurie e urbanizzato al millimetro. Là dove c'era l'erba ora si respira solo cemento, per dirla con le parole di un artista famoso, e tutti i nuovi Stabili in costruzione sono ormai affidati ad altri improvvisatori, anch'essi in un certo senso sperimentali ma garantiti: quelli che vengono dalla politica o quelli che vogliono andarle incontro a tutti i costi. Le nuove armate amministrative oggi sono incontenibili e incontentabili. I loro Dirigenti non hanno più bisogno dell'intellettuale al seguito o del giornalista di campanile (già di regime): ridotto il teatro a una faccenda in tutto e per tutto assimilabile agli altri beni e consumi, potranno certo fare errori o ruberie, ma non temono affatto di non essere competenti o adatti. Sono restati loro gli unici addetti al lavoro, e soprattutto al lavoro degli altri: piccole compagnie e gruppi e associazioni e attori singoli di scarso nome o non ancora battezzati "famosi" dal Maurizio Costanzo Show, formano un unico squinternato e competitivo esercito di clientes, che affollano le anticamere comunali e regionali di tutte le provincie. Non combattono più nemmeno le loro tante volte deprecate "guerre fra poveri", e tantomeno succedono guerre fra povere idee. La conflittualità si sta rimodellando in agguerrita e forse un po' sleale concòrrenza, per rubarsi qualche protezione oprotettore, oppure soltanto un'ultima scuola, un ultimo istituto per anziani, un ultimo corso di preparazione professionale per elettricisti e macchinisti. Piccoli furti di minimi subappalti, con quel po' di gloria cittadina data dalle locandine e dalla propaganda della cronaca locale. E vale più la poca pubblicità guadagnata che il magro budget conquistato, perché è su quella che insiste e resiste il piccolo nome di provincia, su quella che fa affidamento per essere confermato nel prossimo bilancio o nella prossima regalìa, Anche perché ormai, in quasi tutte le città sopra i centomila abitanti, dove allignano i gruppi di anziana e abbandonata "ricerca", si è insinuato o si è edificato -a seconda dei casi- l'asse pigliatutto della Supercooperativa di Importanza Nazionale, quando non si tratta dello Stabile Erigendo o del Vecchio Nome Famoso che apre una sua dependance scolastico-produttiva. A tanta rinomanza, o sforzo, o prepotenza, è logico e giusto che l'assessore di turno voglia sacrificare tutti i denari e le coppe disponibili, inutile dirlo le uniche briscole sempre fisse e sempre buone. Forse allora bisognerebbe smetterla di giocare a spadi e di prendersi solo i bastoni. Forse bisognerebbe smetterla di stare al gioco. E tutta questa panoramica di aggiornamento superficiale di una antica e lamentosa analisi (ma quanto sono inutili o delatorie le analisi più seriose dei convegni per la rivoluzìone teatrale, senza rivoluzionari! ..), fa almeno partorire un primo nuovo topolino motivazionale. È vero, qualcuno ha smesso di giocare; qualcun'altro sta smettendo o almeno lancia segnali che si possono fraintendere e usare in questo senso. Ci accontentiamo. I ragazzi terribili do Cocteau (Teatro Immagini di Pontedera). 87
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