Linea d'ombra - anno VIII - n. 46 - febbraio 1990

SAGGI/SILLITOE Oggigio o ho l'impressione che gli editori abbiano prima di tutto dei doveri verso i loro uffici amministrativi, e siano semplicemente un meccanismo alla continua ricerca del best-seller - che è forse un altro modo di adempiere al loro dovere verso la società. Le cose cambiano, ma per molti versi rimangono le stesse. Nel primo caso gli editori erano ipocriti, nel secondo sono realistici. Questi due'stàti mentali spesso si sovrappongono, e sareb- · be pazzo lo scrittore che pensasse di poter distinguere tra essi. lo so, comunque, che se potessi scegliere tra pubblicare uno dei miei sera, martedì mattina, comunque, e magari anche Mercoledì sera, giovedì mattina. Potrei ancora farlo, senza dubbio, anche se a questo punto la cosa sembra improbabile. Resta il fatto che Sabato sera, domenica mattina era un'opera prima, una cosa di poco conto rispetto a quello c_heho scritto in seguito. Non era un compimento, ma un tentativo. E molto meglio cominciare con un tentallvo che non cercare di sfondare al primo colpo. Il paragone che faccio spesso è quello con la testa di ponte che le forze da sbarco stabiliscono con una spiaggia fortificata, in questo senso il mio primo romanzo era un tentativo che avrebbe potuto o meno aver successo. Fortunatamente_servì allo scopo, specialmenté quando lo rafforzai con un'altra dozzina di libri dai quali mi viene ancora un reddito. Una volta imparato a scrivere, non è difficile fare soldi. Si sviluppa una certa facilità di scrittura. Si ha un taccuino pieno di idee, che però non devono essere usate rigidamente. Saltano fuori al momento giusto, di solito dopo una lunga immersione nell 'ìnconscio, a volte anche a dieci, vent'anni dal momento in cui le si è annotate. In questo senso, lo scrittore deve lavorare come se fosse sicuro di vivere in eterno. Un'esperienza può venir ricreata dopo un periodo di tempo così lungo che non si sa più sela si è vissuta o immaginata. Ogni ianto mi capita di aver difficoltà a ricordare se un certo personaggio è basato o meno su una persona che ho conosciuto nella realtà. . romanzi oggi, o nel 1958, sceglierei il 1958. Il primo romanzo, che sembra sempre il più difficile da scrivere, col passare degli anni comincia a sembrare il più facile. E anche il problema di trovare un editore svanisce in fretta. Dopo sei anni sul continente, tornai a Londra, e incontrai il mio agente, che, pur riconoscendo che Sabato sera, domenica mattina avrebbe dovuto essere pubblicato, mi suggerì di metterlo da parte e scrivere qualcos'altro, dato che il manoscritto aveva già fatto il giro di cinque editori. È naturale che un agente si scoraggi, quando un romanzo continua a ritornare indietro. Lo scrittore può anche continuare a esser sicuro del fatto suo, mal' agente comincia naturalmente a pensare che sia l'editore, a sapere il fatto suo.L'autore non può averla vinta contro queste opinioni congiunte. Tutto quello che rimane è fede e ostinazione. Ma il mio agente disse che il manoscritto era stato mandato a W.H. Allen, come gesto finale. Se l'avessero rimandato indietro, forse l' avrei chiuso nel cassetto insieme agli altri che ancora vi giacciono. Avevo già scritto un racconto intitolato La solitudine del maratoneta e l'avevo mandato a parecchi eclitori, ma era sempre ritornato senza commenti. Altri racconti che dovevano apparire nel volume con quel titolo, erano già stati mandati in giro nel corso dei dieci anni precedenti, e rifiutati. Eppure quando il libro uscì, ciascun racconto ricevette commenti favorevoli, nelle recensioni. , Da allora sono stati inseriti in parecchie antologie, e letti nelle scuole, e io ho rinunciato a calcolare le vendite in edizione tascabile quando hanno superato gli otto milioni di copie. L'esperienza mi aveva portato a credere che sarei stato fortunato a guadagnare èon quei due libri più di qualche centinaio di sterline con le quali avrei potuto far ritorno a Majorca a vivere un altro paio d'anni scrivendo qualche altra cosa. Mi ero formato l' opinione che la condizione ideale dello scrittore fosse quella dell'esule. Dato che avevo passato otto anni all'estero dall'età di diciannove a quella di trenta, e che avevo tutte le intenzioni di passarne altri allo stesso modo, fui molto divertito quando recensori e giornalisti cominciarono a definirmi un romanziere "proletario". Nonostante l'ambientazione di parecchi dei miei romanzi, avevo interrotto ogni legame con quella parte della mia vita nel momento in cui mi ero arruolato nella RAF. Prima di allora non avevo mai sentito quella parola, e non ne avrei capito il significato, se l'avessi sentìta. Poi, quando ero diventato scrittore, avevo fatto semplicemente quello che fanno tutti.i romanzieri, e cioè avevo usato i primi diciotto anni della mia vita come materiale di racconti e romanzi. Da quel momento in poi gli editori cominciarono ad aspettarsi che scrivessi un altro Sabato sera, domenica mattina, ma non era mia intenzione accontentarli. Lo scrittore si ripete solo in quanto gran parte della sua opera tiene conto del primo romanzo completato. Mi sarebbe stato facile scrivere Lunedì 82 Scrivere non è una questione di successo. Se si ottiene qualche remunerazione in denaro si è fortunati, e si è doppiaµiente fortunati se il pubblico decide di leggere quello che si scrive'. Al tempo stesso conviene ricordarsi che vendere molte copie non significa essere uno scrittore eccelf~nte, e che venderne poche non significa essere uno scrittore fallito. Questo non vuol dire che i best-seller debbano per forza avere uno scarso valore letterario, o che un libro pubblicato a spese dell'autore debba essere un'opera di genio misconosciuto. Solo il tempo può stabilire il valore della scrittura, ammesso che glielo si permetta. Né è sbagliato .,: scrivere per denaro. Lo hanno fatto molti grandi scrittori, mentre quelli che hanno tentato di farlo senza riuscirci possono consolarsi pensando alla quantità di scrittori morti senza un soldo - molti di meno, devo aggiungere. Il best-seller è dietro l'angolo, ma è un sentiero illusorio da seguire. La strada della povertà, d' altra parte, è accessibile a chiunque, anche se di questi tempi bisogna imboccarla alla svelta, perché è diventata un'autostrada. Lo scrittore che non vuole saperne di tutto questo, che crede di avere qualcosa da dire, può solo consolarsi rendendosi conto che è solo, nella pratica della sua arte. Dopo aver imparato quello che può dalla letteratura di tutto il mondo, e dopo aver magari dimenticato le lezioni che ha assorbito per poter coordinare la sua particolare, deve rifuggire le mode e ascoltare soltanto se stesso. Di tanto in tanto mi viene chiesto non chi sia il mio editore, ma il mio redattore, e io devo dire la verità e ammettere che non ho un redattore. Questa risposta evoca una certa sorpresa, come davanti a una pop star priva di manager, o a un aereo costruito senza collaudi. Come si fa a essere scrittori, se si ha bisogno di un redattore? Se si pubblica un libro col proprio nome, come si fa a vantarne il credito, o lamentarne il fallimento, se lo si è prodotto insieme a un altro? Mi rendo conto che questi impiegati devono pur vivere. Sono persòne gradevoli e forse creative, che vogliono so-

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