do una parola all'altra. Presto mi resi conto che qualcosa non andava, perché non riuscivo mai a trovare la parola francese per tradurre "era" o "dovrei" o "andato". Il fatto di non sapere dell'esistenza di cose come i verbi costituì un certo ostacolo al tentativo di proseguire negli studi. Fui bocciato all'esame per la borsa, il che dimostrò una volta per tutte che non ero tagliato per l 'istruzione scolastica. All'inizio dell'ultima guerra, i miei cugini vennero richiamati alle armi uno dopo l'altro. Qualche mese dopo vennero congedati uno dopo l'altro, tornarono a casa e bruciarono l'uniforme nel camino. Poi continuarono a vivere, senza carta d'identità, o tagliandi per le razioni, o maschera antigas, e continuarono a svolgere quello che nella nostra famiglia veniva chiamato "lavoro notturno" - di giorno dormivano e si divertivano, di notte andavano in giro a rubare. Avevo dodici anni e capivo benissimo quello che stava succedendo, e non passò molto tempo che trovai sul giornale locale un trafiletto su di loro, colti in flagrante. Si presero diciotto mesi a testa, e poi furono rimandati nell'esercito. Ma una mattina, dopo un periodo passato nelle prigioni militari, ricomparvero alla tavola della colazione, e ingoiarono ingenti quantità di pane e marmellata e di tè. Passò qualche tempo, e rieccoli a rubare di notte. Ormai avevo tredici anni, e mi venne l'idea che un giorno avrei potuto scrivere dei racconti sulle avventure dei miei cugini ladri. L'importanza del compito che mi attendeva mi convinse a comperare un grosso quaderno rilegato nel quale annotare alcune statistiche di vitale importanza, l'età, il peso, l'altezza, ilcolore dei capelli dei miei cugini, e il loro luogo di nascita, il loro abbigliamento, e il loro indirizzo di casa- se avevano una casa. Poi annotai qualche osservazione sul loro passato e _sulleloro brevi carriere militari, e le storie dei furti che avevano commesso, con date, orari e indirizzo dei negozi e degli uffici che avevano svaligiato. Veni vano a farci visita quando smettevano di lavorare, di solito all'ora di colazione, e ci gratificavano del racconto delle loro fatiche notturne, e questi dettagli cruciali apparivano prima nel mio quaderno che non nel giornale locale. Arrestati per la seconda volta, rinunciarono al gioco, decidendo che non valeva la candela. La mia intenzione era di metter da parte quel materiale per scrivere un lungo romanzo. Ma un giorno mentre ero a scuola mia madre frugò tra le mie cose, trovò il quaderno, e lesse i miei appunti. Quando tornai a casa, quel pomeriggio, mi riempì di scapaccioni e disse che avevo fatto una grossa sciocchezza. Volle sapere cosa credevo di fare, a scriver giù cose del genere. Volevo che finissimo tutti in prigione? Le dissi che erano appunti per un romanzo, ma lei non la raccolse nemmeno, questa spiegazione folle, e buttò nelle fiamme i miei primi sforzi letterari. Imperterrito, andai alla biblioteca pubblica e presi un libro che spiegava come si diventava scrittori. Cominciava più o meno così: "Se state leggendo queste parole senza muovere le labbra, anche voi potete diventare scrittori". I miei ricordi sono un po' confusi, ma l'autore del libro continuava dichiarando che la prima cosa da fare era procurarsi, oltre alla penna e alla carta, una macchina da scrivere, per poter inviare agli editori romanzi e racconti in forma presentabile. Quando i miei cugini vennero a farci visita, chiesi loro in gran segreto di rubarmene una facendo irruzione nel posto adatto. Li avrei SAGGI/SILLITOE pagati a rate di due scellini la settimana quando avessi comincia- . to a lavorare, cosa che ormai sapevo di esser destinato a fare non appena coqipiuti i quattordici anni. Forse avrei potuto estinguere il mio debito in un colpo solo, quando avessi pubblicato un romanzo di successo. Non lasciai trapelare in alcun modo che la sostanza di questo progetto si basava sulle loro avventure. Respinsero la mia proposta e dissero che mi avrebbero procurato la macchina da scrivere senza contropartite. Forse mia madre aveva parlato loro del mio progetto, e l'idea di avere un futuro biografo li divertiva. Ma non riuscirono mai a procurarmi una portatile. Forse trovarono altre cose portatili da prelevare, e in ogni caso non vollero rischiare di farmi avere delle noie. Così, nonostante la mia speranza di veder pubblicato un mio romanzo a tredici, al massimo a quattordici anni, lasciai perdere tutto quanto fino all'età di venti, quando smisi di far parte di quel mondo. Il gesto con cui mia madre lanciò quelle prime pagine scarabocchiate a matita nel fuoco fu un gesto di censura primitiva della cui assoluta necessità ero consapevole. Presi comunque una decisione, anche se non ben chiara, a quel tempo: per quanto fosse umanamente e artisticamente possibile, non avrei mai più sopportato nessuna forma di censura. Eppure ho semp e saputo, per esperienza, che ogni volta che si dice "Non farò mai più questa o quella cosa," si può star sicuri che presto o tardi si sarà costretti a farla. Tom Courlenay nel film tratto da la solitudinedel maralonela (di Tony Richardson, 1962). 79
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