Linea d'ombra - anno VIII - n. 46 - febbraio 1990

STORIE/DE ANGELI va soltanto di esaminare un sistema di due disequazioni. Ma il professore si era confuso. La scena era stata imbarazzante, il professore aveva una faccia smarrita. Noi studenti eravamo contenti perché quello era un professore odioso. Io non penso di essere un professore odioso. Io lascio liberi i miei studenti. Rimango voltato, alla lavagna, fingendo di non sentire la gazzarra alle mie spalle. All'università quel professore era stato soccorso nei calcoli da uno studente, uno dei migliori, che era riuscito a completare l'esercizio numerico, a dimostrare la tesi di Ricardo. Rivedo ancora la scena: lo studente aveva alzato la mano, si era avvicinato alla lavagna e aveva iniziato a scrivere parlando a voce alta. Il professore ascoltava incredulo. Noi assistevamo in silenzio. Quello studente era un piccolo genio? Nei calcoli aveva dimostrato una .sicurezza impressionante, rovesciando le disuguaglianze, dividendo membro a membro, confrontando dei rapporti. Eravamo tutti sbalorditi. Specialmente il professore. Quello studente era realmente un mostro di intuizione? Io dubitavo: ero convinto che avesse studiato prima sul testo, in anticipo sul programma, la dimostrazione di quel teorema. Glielo dissi ridendo alla fine della lezione, ma quello la prese male, affermò che ero invidioso, invidioso che qualcuno ne sapesse più di me. Non era vero, naturalmente. A quel tempo mi importava assai poco di Ricardo e della possibile abilità nell'intuire le dimostrazioni dei suoi teoremi. L'economia politica mi piaceva, ma non era certo al vertice dei miei interessi. • E adesso invece? I teoremi di Ricardo e la relativa spiegazione mi consentono di percepire uno stipendio, di sopravvivere, di avere una precisa collocazione nella società: sono un professore di economia politica che tra i suoi doveri ha quello di divulgare la visione ricardiana dell'economia. Ho dato, per così dire, un senso alla mia vita pubblica e a questo, in una percentuale da stabilire, ha contribuito anche Ricardo. Sono dunque debitore nei confronti di Ricardo? Certo, come un giorno, forse, lo sarà qualcuno dei miei studenti che adesso, ignari del futuro, sono disattenti e si divertono a fare dell'altro, sentendosi sicuri che la loro vita prescinde, prescinderà da Ricardo, dai suoi costi comparati e da un giovane professore così estraneo e indifferente al suo lavoro da non esigere neppure il silenzio. Ma io ho delle attenuanti. È il primo anno che insegno. Merito indulgenza. I primi giorni, quando spiegavo, ero emozionato. Me ne accorgevo anch'io. La mia voce aveva un tono leggermente più acuto. Era il chiaro segno del nervosismo, del- !' apprensione. Una volta avevo sbagliato a copiare un modello econometrico alla lavagna. Mi ero corretto subito, ma ero arrossito visibilmente, stupidamente. Qualche studente aveva sorriso. Non so se a causa del mio rossore o del mio errore. C'ero rimasto male. Adesso va meglio: mi sono abituato ali 'insegnamento, la mia voce ha un tono più sicuro, gli eventuali errori e le risatine degli studenti durante la spiegazione mi lasciano impassibile. Almeno a scuola, nel corso delle lezioni, ho raggiunto quella che i filosofi chiamano atarassia. Atarassia e indifferenza sono sinonimi? No, no. L'indifferenza denota cinismo, l'atarassia invece è il risultato di un faticoso processo interiore, un traguardo esistenziale. Con lucido razionale distacco espongo le tesi di Ricardo e 76 non bado alla disattenzione, al rumore dei miei studenti. Tra poco suonerà la campana che sancisce la fine della lezione. Mi volterò solo allora. Solo allora guarderò in faccia i miei studenti che quasi certamente non hanno neppure ricopiato sui loro quaderni quanto ho scritto alla lavagna. Ma durante le interrogazioni sarò esigente, inflessibile. Non ho mai immaginato, tuttavia, di improvvisarmi professore autoritario e di crearmi la fama di insegnante severo. In realtà, non ho mai neppure immaginato ~i diventare professore. Nei miei sogni giovanili c'era ben altro. E che la vita è strana. Scontato ma vero. · Quella di insegnare è stata una scelta estemporanea, poco ponderata. Eppure adesso capisco che non mi dispiace insegnare, parlare di economia politica. Il problema è che ho un audi torio distratto e poco stimolante. E io non ho la voglia e la forza di impormi, costringendo gli allievi a un rispettoso silenzio. Anche perché il silenzio non garantisce affatto l'attenzione. E poi io diffido degli studenti modello, seri, composti, silenziosi. Mi sono antipatici. Ma forse la mia è solo diffidenza, semplice diffidenza verso il mio prossimo: dietro l'apparente attenzione degli studenti temo sempre vi sia calcolo, un falso interesse, pura piaggeria. Sarebbe difficile interpretare il silenzio di giovani che mi potrebbero guardare con occhi furbi e vispi: io non saprei se riferire quegli sguardi così vivaci alle mie spiegazioni brillanti o a segrete fantasie ben lontane dall'economia politica. Ma nella mia classe il problema non si pone: fanno quasi tutti rumore distraendosi a vicenda. In fondo è molto meglio il chiasso. Il chiasso elimina ogni dubbio, chiarisce la posta in palio, le regole del gioco: io sono un professore troppo accondiscendente, permissivo, che parla al vento e la mia classe si rifiuta di ascoltarmi. Non me la devo prendere, perché è una situazione abbastanza normale. Fa parte del gioco, come si suol dire. La parola "gioco" è sempre più spesso accostata alla parola "vita", quasi come sinonimi. È segno di decadenza morale? Dipende. Dipende dal gioco, dalle sue regole che possono portare a premiare realmente i migliori o, al contrario, ari flettere la più cieca casualità. · Le mie spalle voltate alla classe, rumorosa e disattenta, non sono casuali, ma esprimono una precisa scelta di comportamento. Non so quanto originale e anticonformista. Al suono della campana mi volterò, saluterò i miei studenti tornando nell'alveo della normalità. Perché adesso non è certamente normale che io me ne stia voltato, a contemplare la lavagna, dove ho trascritto un ridicolo esempio numerico che dovrebbe chiarire il pensiero di Ricardo, facendo finta di non sentire quanto accede alle mie spalle. · Cosa poteri fare per ottenere il silenzio, l'attenzione, il rispetto dei miei allievi? Di cosa potrei parlare? Tra me e loro ci sono circa dieci anni di differenza. Non sono molti. Senz'altro abbiamo interessi comuni, probabilmeRte ascoltiamo la stessa musica, ad esempio. Allora, per scatenare l'entusiasmo generale, potrei parlare di Bruce Springsteen con gran competenza. Possiedo molti suoi dischi, potrei tenere una conferenza sulla sua evoluzione musicale. Gli studenti mi ascolterebbero estasiati, guardandomi con ammirazione. Forse qualcuno interverrebbe manifestando la propria opinione personale. La musica, a differenza di un teorema, con-

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