STORIE/BATIISTINI "Non dovévano essere tre?" chiese. "Domani arriveranno gli altri due. Non era prudente farli passare insieme. La polizia è all'erta. Rischiamo di far scoprire questo centro di assistenza. Lei deve solo portarli da Anna. Domani ripasserà. Alla stessa ora." "Va bene." "Lo vado a chiamare." Si allontanò silenziosamente. Faceva caldo. Fabio sbottonò il cappotto, allargò la sciarpa sul collo. La scala scricchiolò. Dietro al pastore, seminascosto, scende- · va un uomo. Indossava un grigio cappotto dalla foggia antiquata, pesante, una mano ficcata in tasca, nell'altra una piccola borsa. In anticamera, fu illuminato dalla luce bianca della lampada. Non doveva avere ancora vent'anni. Il viso era serio, come gli occhi. Nello sguardo un fondo di paura. "Questo è il signore che ti porterà dove potrai dormire stanotte - spiegò il pastore. - Domani verranno a prenderti per condurti in Svizzera. Puoi fidarti." "Buonasera signore". Salutandolo il giovane scoprì piccoli denti bianchissimi, perfetti; poi le labbra ritrovarono la consueta serietà. "Buonasera." Fabio porse la mano. Ma il giovane non tolse la sua dalla tasca; si limitò a un sorriso meccanico, interrogativo. Poiché Fabio teneva la sua a mezz'.aria, fu il pastore a stringergliela. · "Grazie. Lo porti da Anna. Le dica di dargli da mangiare. Da me ha soltanto dormito. Non ha voluto altro; e sono tre giorni che non mangia quasi. Almeno ... di solito quelli che arrivano qui sono in queste condizioni." "D'accordo." "Allora arrivederci." "E i bagagli?" "Quelli li farò recapitare io in Svizzera. È bene che viaggi senza niente. Le poche cbse di cui ha bisogno sono nella valigetta che ha con sé." Fabio fece un cenno di assenso e si diresse alla porta. Il pastore la socchiuse e mentre uscivano disse ancora: "Non si fermi da Anna. Lo porti soltanto fin là." La porta si richiuse. Senza rumore, come poco prima si era aperta. Le ultime, burocratiche raccomandazioni del pastore lo infastidirono nuovamente. Gli parve falsa, di maniera, quell'atmosfera cospirativa. E Anna poi! Sembrava la scontata caratterista di un film americano: bella, vistosa, volgare, una donna dal cuore in mano che aveva fatto la prostituta. La viuzza era al termine. Abbandonati i lampioni giallognoli, stavano per arrivare nel luminoso corso, ingombro di traffico, di negozi, di luci. Il giovane continuava a camminare a capo chino, la valigia stretta nel pugno, l'altra mano ficcata in tasca. Quando la grande via fu sorpassata, di nuovo li protesse una strada oscura che conduceva alla prima circonvallazione. Ancora case basse, pochi lampioni, qualche residuo d'orto. La nebbia, rada e sospesa, uniformava le molteplici case, le voci emergenti 70 dalla tranquillità notturna, i diversi quartieri, in un'unica città, dandole un aspetto intimo, affaccendato e ospitale. Anche il giovane pareva rassicurato da questa città non curiosa e dall'accompagnatore col quale aveva appena scambiato qualche parola. Ed ecco, con un successivo cambiamento, una zona popolare. Case di lavoratori, costruite nei primi anni del '900 per ospitare gli operai di qualche grossa fabbrica. Ora gli stabilimenti si erano allontanati dalla città e quelle case raccoglievano abitanti eterogenei: eredi dei vecchi operai, emigrati, una piccola borghesia approdatavi a ondate successive negli anni del dopoguerra. Anna abitava lì. La grande arcata del portone metteva in un andito chiuso da un basso cancello in modo che coloro che entravano fossero costretti a passare davanti alla guardiola del portinaio. Ma ora la guardiola e la piccola stanza adiacente erano state trasformate in abitazione di fortuna. Una tenda malchiusa mostrava una famiglia seduta attorno alla tavola in un'incredibile confusione. Bambini che vagavano per la stanza rovesciando piatti semivuoti, agitando posate; una giovane donna che faceva la spola fra la cucina e il piccolo locale di soggiorno, mentre un uomo cercava invano di sentire la televisione tenuta a alto volume, urlando anch'egli per imporre un silenzio che durava un solo attimo. Così nessuno chiese nulla ai due uomini che, scivolati attraverso il corridoio, sbucarono in un largo cortile. Dopo ripetuti squilli di campanello Anna venne a aprire. Anche nel suo appartamento, la televisione a pieno volume si univa agli urli dei bambini. "Oh! Non vi aspettavo così presto- disse con voce sottile. - Un attimo, che mi metto un po' in ordine." E, lasciando i due uomini, si affrettò verso uno stanzino che doveva essere il bagno. · Riapparve quasi subito, abituata com'era a farsi rapidamente bella. E bella lo era davvero, malgrado i capelli di un falso biondo, il troppo rimmel sugli occhi. Fabio si accorse di non averla mai guardata bene prima di allora, di averla tutt'al più squadrata con sufficienza e fastidio, le rare volte in cui Luisa lo costringeva a incontrarla. Ma Anna badava poco a lui. Era al giovane che continuava a volgere lo sguardo. Carico di una solidarietà calda e immediata, quasi palpabile. Mentre Fabio continuava a guardare, Anna non perdeva tempo. Posata la valigetta su un sofà, aiutava il giovane a togliersi il cappotto. Fabio si accorse solo allora di ciò che per Anna era stato subito evidente e l'aveva spinta a sbottonare il pesante paltò. La mano destra mancava. Al suo posto, u11moncherino, protetto da una grossa fascia. Gli occhi del ragazzo guizzarono e un leggero rossore gli si soffuse sulle guance: si vergognava che Anna lo vedesse così. "Poverino", esclamò Anna, ma non c'era alcuna commiserazione in questa parola. Sollevò l'arto mutilato e risistemò con cura la fascia che si era allentata. "Dopo te la rifaccio; prima che tu vada a letto."
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