3. All'università gli studenti dicono di guardare oltre il comunismo. Nei corridoi e nelle aule affollate giovani assonnati e indaffarati discutono, scrivono, ridono. Su qualche muro si leggono versi di poeti-Dinescu e Ana Blandiana soprattuttoe scritte che inneggiano alla libertà e ai Beatles. Razvan dice che andrà lo stesso in Amerièa, più avanti. Che intanto vuol vedere cosa accadrà adesso. Altri non hanno la stessa voglia di andare oltre, anche oltre i confini nazionali. Vogliono piuttosto tornare al passato, riaccoglierlo e riscoprirlo entro le mura romene. · Romene e basta, senza aggettivi. Ovunque il simbolo e il nome della Repubblica Socialista sono stati strappati, dalle bandiere, dalle targhe, dalle scritte su palazzi, strade, piazze, scuole. Come non capire questa voglia di ritrovare il proprio tempo rimosso e insu_ltatocosì a lungo? Eppure sarà certo lì che si annideranno insidie per la nuova Romania, altri conflitti, forse altro sangue. Gli studenti, anima e critica audace della rivoluzione; i contadini, umiliati, offesi e ora tornati a contarsi, a pesare; gli operai, che con gli studenti e i soldati hanno abbattuto a Bucarest il potere "socialista". Questo è stato "il movimento reale che ha abolito il comunismo". Tanta gente diversa che forse vuole cose troppo diverse. Tranne una, ovviamente: la libertà, che ha unito tutti finora - nell'assenza prima, nell'era del Conducator; nel suo dirompere poi, nell'imprevista, straordinaria fine d'anno in Romania. Fine di secolo in Romania s'intitolava una riflessione del poeta e saggista Petru Crezia trasmessa dalla BBC il 21 dicembre scorso: un quadro della situazione interna e delle prospettive, tra speranza e disperazione, dell'opposizione. "Sono nato con la corda al collo" aveva scritto Mircea Dinescu in una poesia. Parlava della Romania come di una "sorella di solitudine e prigionia". Evocava la tristezza del destino di un popolo soggiogato. Un vecchio proverbio romeno, tra il cinico e il · rassegnato, un po' alla Bertoldo, dice che "unà testa piegata non viene tagliata". Allude a un carattere servile che a volte è stato rimproverato ai romeni. Cioran stesso ne ha parlato (salvo fare ammenda dopo la rivolta). Ma Cioran è una specie di professioBucarest, dopo la battaglia (foto di Enrico Dagnino). IL CONTESTO nista del vuoto di speranza, e vi indugia con troppa voluttà per esprimere davvero il senso tragico di quel destino. Esso invece echeggia davvero in Celan, ebreo di lingua tedesca nato in Bucovina, frontiera asburgica, romena, sovietica, a seconda dei capricci travolgenti della Storia. Un destirio, in Celan, in cui tutto ammutolisce dopo il male assoluto dei campi di sterminio. In cui tutto, invece, parla, e si colora, e segue trame e storie bizzarre e affascinanti nei racconti di Panait Talrati, che i lager nazisti non li vide (morì nel '39) ma vide e denunciò fra i primi, inascoltato, la realtà dell'Urss di Stalin. La Romanià comunista ha cercato di presentare se stessa come il punto d'approdo, perfetto, di questo destino, cancellando voci ed echi dissonanti. Che hanno però resistito, sia negli esuli - da Ionesco a Tzara - sia in chi, con grave rischio, restava in patria a contestare il silenzio e la retorica. È il caso di Patru Dimitriu, che scrisse già negli anni Sessanta, per primo, dei lager rumeni; di Paul Goma e lon Negoitescu, che firmarono nel '77 una lettera di opposizione al regime. Di Mounteanu, scrittore e saggista, che abbandonò il partito pubblicamente nell'88. Poi di tutti gli altri, da Dinescu a Crezia, dalla Blandiana ai giovani come Chachir, Oroveànu, Sarinesca e altri, poeti, scrittori, artisti che hanno anche saputo far politica, gettarsi nella mischia dopo averla lungamente preparata come in tutte queste rivoluzioni dell'Est è accaduto. Come è accaduto quasi .sempre nella storia, in verità. È anche accaduto, quasi sempre, che questo rapporto tra politica e arte, cioè tra storia e destino, si sia poi scisso, schiacciando arte e destino, cioè il contenuto più intensamente umano, individuale, delle rivoluzioni. Accadrà ancora? Ogni rivoÌuzione, quando esprime un salto d'epoca - e certo queste dell'Est lo esprimono - propone, in se stessa, una novità radicale, che trascina tutto in una nuova dimensione. Che spiazza e supera, per così dire, le ottiche tradizionali. La novità contenuta nelle rivoluzioni di questo '89 potrebbe risiedere nell'idea, nella . difesa, del conflitto come fonte della libertà e delle forme democratiche. Nel rifiuto della "fine della storia" come orizzonte, sogno pacificante, che si rovescia in alibi e in copertura rituale alla miseria e alla tetraggine del presente. Lucidamente un pensiero
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==