TRE RACCONTI DI GIOVENTÙ Andrej Platonov traduzione di Gianfranca Scutari VOLCEK C'era un cortile alla periferia della città. E nel cortile due casette. Un portone e una·palizzata con dei puntelli davano sulla via. Io vivevo là. Andavo a casa passando dalla palizzata. Il portone e il cancelletto erano sempre chiusi, e io mi ci ero abituato. Anzi, quando ti arrampichi sulla palizzata, ti fermi in cima per un secondo o due, da lì puoi vedere un campo, una strada e qualcosa ancora, scuro e lontano, come una nebbia bassa e silenziosa. Ma poi piombi subito a terra, sulle lappole, e te ne vai. Volcek mi viene incontro senza affrettarsi, lo sa che sono io, mi guarda con i suoi miti occhi umani e pensa a qualcosa. Anch'io lo guardavo sempre a lungo, in lui c'era ogni volta un che di diverso rispetto al mattino. · Una volta passai dal portone e vidi Volcek dormire sull'erba. Mi avvicinai senza far rumore e mi fermai. Il fulvo Volcek sbuffava leggermente e dalle narici soffiava sulla terra il suo candore. Dal suo pelo si riconosceva il cane del pop. Tutt'intorno un mattino pallido e silenzioso. Il sole si levava, avvolto da una tiepida foschia, che si disperdeva, si disperdeva e si condensava in nuvole nell'azzurra profondità del cielo. Lontano c'era una locomotiva accanto a un semaforo spento e suonavano le campane delle chiese. Le piantine di lappola erano immobili, non c'erano né vento, né rumore, né ragazzini. Volcek si svegliò e non si mosse, continuò a stare sdraiato nella stessa posizione, con gli occhi aperti guardava la scu~ umidità sotto la pianta del lappo. Io mi chinai e restai in silenzio. Volcek, probabilmente, non sapeva di essere un cane. Egli viveva e pensava, come tutti gli uomini, e questa vita lo rallegrava e lo opprimeva. Era come mè, non poteva capire niente, e non poteva riposare a causa del pensiero e della vita. La vita c'era anche nel sonno, soltanto che là si contorceva tutta, si rivoltava, faceva paura ed era più luminosa, più bella e più impercettibile sulla nera parete dell'oscurità e del mistero. Davanti, davanti a lui e davanti a me, tutto è gioioso e luminoso, dietro invece, immobili e perenni, ci sono le tenebre, e nei sogni sono più visibili, mentre di giorno sono più lontane e te ne dimentichi. Un sogno opprimeva Volcek. Anche nel sogno vedeva queste piantine di bardana e il buio umido vicino alle radici, lì tutto era uguale, ma anche diverso. Ecco, egli guardava di nuovo e non poteva capire niente. Nel cortile c'era anche la cagna Cajka. Quando andava in calore i cani si arrabbiavano, correvano dietro a Cajka, il solo Volcek era lo stesso di sempre e non si azzuffava per Cajka. ., Il s~o p~~one pensava che fosse malato è dopo cena gli dava pm ossi e pm zuppa. Ma Volcek era grande e grosso e perfettamente sano. Non cacciava via i bambini estranei che entravano a giocare nel cortile, ma scodinzolava e guardava con rispetto e mansuetudine. Io non consideravo Volcek un cane, per questo aveva preso ad amarmi, come mi amava mia madre. 52 Anch'io non sapevo e non capivo niente e nei sogni avevo una visione pallida e silenziosa della vita. Nuvole confuse tremolavano in cielo e il vento piegava intere querce come verghe, e io mi trovavo in un giardino e non sentivo rumoreggiare il vento, e d'improvviso mi stupivo e capivo che era un sogno, e mi svegliavo. C'era la luna piena e una luce pallida illuminava il pavimento della stanza. Io mi allungai e saggiai con una mano le fredde assi del pavimento. Una volta chiesi a mio padre, che mi amava e si preoccupava di me come se io fossi ancora piccolo, se non conoscesse qualcosa che ancora nessuno conosce e di cui non c'è scritto niente neppure nei libri. Mi disse di no, che 'pensava che di così sconosciuto ci fosse soltanto Dio, che non si può comunque conoscere. E il giorno dopo a pranzo terminò il discorso: perché noi non sappiamo niente e non ci è dato sapere niente. Ma a te, a che serve sapere? AI che io risposi: sì, ma allora come vivere? E qualcosa da conoscere c'è, per lo meno c'è il fatto che noi vogliamo conoscere tutto, anche se non c'è niente da conoscere e tutto vive di per sé nelle tenebre e nel vuoto. Perché tutt'intorno ci sono tormento e lotta? Ecco, noi siamo vissuti per un po' dopo la rivoluzione, e abbiamo già visto come è facile rendere tutti sazi e soddisfatti, purché resti a noi il potere di noi stessi. Ma noi vogliamo sapere, e non noi soli. Mio padre tacque e smise di mangiare. Ho lavorato tutta la vita -disse la sera-, vi ho dato da mangiare e da vestire, non ho mai potuto non pensare, ma adesso ci ho fatto l'abitudine. Adesso la vita è diversa e io ho perso tutto. Ma io ti voglio bene e tu, forse, imboccherai una grande strada, quindi fa ciò che vuoi, io sono sfinito, dormo da seduto. Aspetto soltanto qualcosa di buono, ma cosa sia non lo posso sapere. Tutta la vita ho aspettato qualcosa di buono e ti consegno questa speranza . Il giorno dopo tornai a casa dal htvorò passando come al solito dalla palizzata e Volcek mi venne incontro con occhi affettuosi, e nei suoi vuoti occhi acquosi c'era un vero pensiero, morto come una montagna di pietra sulla strada di casa. Cajka era sempre tra i piedi, ma Volcek se ne stava discosto in silenzio e guardava. Gli era rimasta una sola alternativa, o crepare,o aspettare il primo calore e azzuffarsi con gli altri maschi
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