Linea d'ombra - anno VIII - n. 46 - febbraio 1990

contro l'altra grande certezza, quella della morte. Ho avuto una formazione strettamente cattolica, d,? bambino, avrei perfino dovuto farmi prete ... C'è in me un fondo di misticismo che non rinnego, ma non ho mai trovato una certezza che mi difendesse dalla morte solida e profonda come questa: che tutti possiamo essere soffi di un vento più grande, come dice in un verso il poeta peruviano Cesar Vallejo, che io considero uno dei grandi maestri. del nostro secolo. E io sento che questo vento più grande non ha niente a che fare con ile olore della pelle, il luogo di nascita, o altre stupidaggini, ma con la volontà di giustizia e di bellezza. Chiunque agisca animato dalla volontà di giustizia e dalla volontà di bellezza è mio compatriota, è mio contemporaneo, in qualunque momento sia nato e in qualunque posto sia vissuto. Le religioni uruguayane venute dall'Africa ci insegnano che ogni uomo ha due memorie: una, mortale, sottoposta ai colpi del tempo e delle passioni, è la memoria individuale; l'altra è la memoria eterna, invulnerabile, quella colletti va. Anche da questo è nato il mio libro. L'America Latina è una regione del mondo condannata al silenzio o al disprezzo. Io sono una delle sue voci e non lo ignoro. So benissimo che il mio lavoro non è innocente, perché è un lavoro di rivelazione di voci proibite dall'ordine internazionale. C'è un'espressione, usata soprattutto dai vescovi ma anche dai sacerdoti della teologia della liberazione: "noi siamo la voce di quelli che non hanno voce". Non mi piace per niente: i popoli hanno voce, eccome, ma sono costretti a tacere, e la cosa è molto diversa. Hanno da dirci cose bellissime e interessantissime, ma c'è una concezione della cultura che tappa loro la bocca, che impedisce loro di esprimersi. Il sottosviluppo non è solo una questione di statistiche: si tratta di una struttura mondiale di dominio che si basa sullo sfruttamento economico ma che trova la sua giustificazione ideologica nei meccanismi per cui la maggior parte dell'umanità è abituata a non camminare con le proprie gambe, a non pensare con la sua testa, a non sentire con il suo cuore. C'è ancora una cultura dominante, malgrado il cosiddetto boom dei nostri scrittori, che è cultura di importazione: applaude la copia, ricompensa il bravo imitatore e condanna chi crea. Uno dei drammi del!' America Latina è che la cultura dominante condanna la creatività, l'innovazione, l'immaginazione. Il che ha un contenuto di classe, è un modo di far tacere le classi suba!terne, giacché in pratica è nella cultura popolare che si trovano le maggiori energie creative, di pazzia inventiva, di immaginazione. In Memoria del fuoco racconto un aneddoto:_nel 1860 e rotti, quando l'Equador manda la sua rappresentanza all'Esposizione Universale di Parigi, presenta la sua pittura con un catalogo che esalta le virtù degli artisti ecuadoregni, capaci di copiare alla perfezione le grandi opere della scuola fiamminga e dei maestri italiani e francesi. E in effetti manda ali 'Esposizione copie ecuadoregne dei grandi capolavori dell'arte europea. Nello stesso tempo nei mercati, nei villaggi, lungo le coste del paese, per le strade, c'era gente capace di trasformare in meraviglie, con le mani, il fango, il legno, le briciole di pane, e questo non veniva considerato arte, al contrario, era disprezzato dal!' élite dominante che usava e continua a usare il termine artigianato. Ma lì batteva il vero polso della vita, e non nella copisteria ufficiale. Ecco la INCONTRI/GALEANO contraddizione: una cultura ufficiale incapace di rivelare la realtà e una cultura popolare sottomessa e mutificata. Non che non abbia voce, ha la bocca tappata dal disprezzo e dai divieti. Torniamo a Memoria del fuoco: è cronaca, è testimonianza, è storia ricreata, è romanzo, è poesia, è una specie di summa ... Credo di sì. Senza essermelo proposto, è molte cose insieme. Non lo collocherei in nessun genere, perché mi sembra che tutti gli stiano "stretti". Vorrei che lo si trattasse come un libro di storia, perché almeno in parte lo è. Vorrei che la storia venisse rivelata come una possibile meraviglia. È davvero così.Memoria del fuoco è un insieme di voci, un libro che, per la sua scrittura, fa riferimento a una grande quantità di documenti. Ogni ritratto, ogni episodio, con la libertà che mi consentono la poesia e l'immaginazione, partono da un documento reale, dalla storia scritta. Sono testimonianze delle visioni del mondo mediate dalla visione dell'autore. I materiali che utilizzo li racconto a modo mio, con la libertà propria dello scrittore. ma non traviso niente, non invento niente. Solo, trattando tutto dal mio punto di vista, riesco a sfuggire alle norme stabilite. Quelle della storia ufficiale? Sì, e dell'antropologia, dell'etnologia, dell'economia, della narrativa ... Il risultato è che Memoria del fuoco si può leggere come un libro di antropologia, anche se esce dai limiti. Tradisce la forma ma non il contenuto. La mia intenzione era di rivelare un · mondo vietato, o almeno dimenticato. Di permettere l'avvicinamento a un mondo per molti sconosciuto, come se fossimo condannati a vivere nelle tenebre o a vedere attraverso la nebbia. Non essendo d'accordo, io, come autore, prendo partito, e lo faccio attraverso la soggettività, mi metto per intero in quello che scrivo, che racconto; so di star violando delle norme stabilite, quelle ferree dell'oggettività (storica, antropologia, economica...). Per questo sono tre volumi in cui emerge l'infamia, pieni di orrore, in cui racconto le cose più atroci e più belle della nostra realtà continentale. I professori l'etichetteranno come real-meraviglioso ... Secondo me tutte le storie sono reali-meravigliose e realiorribili: inferno e paradiso. Forse questa è la chiave della nostra storia, del nostro mondo, in cui il meraviglioso e l'orribile, l'inferno e il paradiso, vanno sempre insieme, come la vita e la morte. ma non c'è un solo momento della nostra storia in cui non si possa scoprire una piccola luce di meraviglia tra gli orrori più grandi e atroci. La struttura dell'opera risente molto della tua esperienza giornalistica, come laprecedente Il saccheggio dell'America Latina. . Sì, naturalmente. Il giornalismo mi ha insegnato a usare le parole con una grande capacità (o necessità) di sintesi. La struttura a brevi paragrafi può anche essere dovuta all'influenza del cinema, giacché come tutti gli scrittori del nostro secolo, oltre che dal giornalismo, sono stato influenzato dal cinema. Io scrivo usando immagini, ma cerco con ansia un linguaggio molto personale, o sempre più depurato, in cui ogni parola abbia il suo

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