Julian Barnes,J.M.Coetzee (foto di G.Farleyl e Graham Swilt (foto di Orsolya Drozdikl. umano e in quanto tale fallace o mentitore o semplicemente poco informato sui fatti. Co~ì l'autore prende le distanze del metodo storico, opponendo alla sua 'presunta' scientificità la libertà beffarda del romanziere, colui cioè che non è legato alla ricerca di un disegno o di una ragione nei fatti accaduti: "Ho il massimo rispetto per la storia esatta e scrupolosamente documentata, anche perché le dedico (con estrema umiltà) una parte della mia vita; ma questa difficile disciplina è fondamentalmente una scienza, e i suoi scopi e i suoi metodi sono immensamente diversi da quelli della narrativa" (p. 481). · Il tono autoironico del narratore istilla inoltre qualche dubbio nel lettore che la storia possa riuscire con i suoi metodi ad appurare i fatti, a scoprire nei racconti reticenti e lacunosi dei testimoni il disegno sottostante. ' In un altro romanzo contemporaneo non apparso in italiano, L.C. (Virago 1986), dell'americana Susan Daitch, la preoccupazione espressa dalla voce narrante appare simmetricamente inversa a quella del narratore di Fowles: "Qualcuno potrebbe accusarmi di aver inventato tutto. Si dirà: ha scritto sostenendo di trattarsi della verità, ma manca la conferma dei libri di storia" (p. 138). Chi parla è l'autrice di un diario, un 'documento' originale citato per intero nel testo, Lucienne Crozier, vissuta a Parigi all'epoca della Rivoluzione del 1848, amica di Delacroix e del juilletiste Jean de La Tour, lei stessa militante del gruppo "14 Juillet". Anche in questo caso il lettore si trova di fronte un doppio o multiplo filtro narrativo: il diario è introdotto e annotato da una studiosa americana che, entratane in possesso n.el 1968 a Parigi, e turbata da quelle pagine, le ha tradotte in inglese senza poi avere il coraggio di divulgarle, quasi temesse di rivelare qualcosa di sé. Dopo la sua morte il diario verrà nuovamente recuperato, questa volta dalla segretaria della studiosa, che ne sarà a sua volta catturata e deciderà di pubblicarlo corredato di un suo commento che ne mette in luce una configurazione diversa (sarà quella giusta, la più autentica?) rispetto a quanto vi aveva colto la prima traduttrice. Eppure anche questa si era posta di fronte al diario in maniera problematica sollevando dubbi sia riguardo ali' obiettività del testo ritrovato: "I diari (specialmcmte in traduzione) dovrebbero leggersi con qualche diffidenza" (p. 5), che sul proprio lavoro di traduzione che, sentiva, avrebbe reso l'opera irrimediabilmente altra, a causa degli elementi non riproducibili - la grafia, i disegni sui margini, i pezzi di giornale incollati sulla pagina. La seconda lettrice si rende cont0 infatti che la traduzione, al di là degli anacronismi e dei pregiudizi dell'autore trasmessi senza volerlo al testo, quasi impercettibilmente, attraverso piccoli errori e omissioni ha finito col tradirne lo spirito originario. 22 Le domande implicite che si pongono nel testo riguardano da un lato la questione dell'autorità e della neutralità dei documenti storici, dall'altro i limiti della traduzione. Viene a mente Jaques Le Goff che nell'Enciclopedia Einaudi intitolava la sua voce "Documento/monumento" ritenendo che "ogni documento è menzogna", in quanto è "il risultato prima di tutto di un montaggio, conscio o inconscio, della storia, dell'epoca, della società che l'hanno prodotto, ma anche delle epoche successive durante le quali ha continuàto a vivere, magari dimenticato, durante le quali ha continuato a essere manipolato, magari dal silenzio" (1978, voi. V, p. 46). Le domande e le problematiche poste da questi romanzi non sono esclusive dell'ambito letterario; esiste anzi una interessante convergenza tra queste e il dibattito degli ultimi anni svoltosi in sede storiografica e filosofica che vede contrapposte una concezione della storia che rifiuta la narrativa (gli storici delle "Annales", Femand Braudel) e una che identifica storia con narrativa, (Laurence Stone, Hayden White) ritenendo la narratività un valore intrinseco al discorso storico.L'obiezione principale degli storici anti-narrativi è che i documenti parlano da sé e non è necessario organizzarli in racconto, perché se la Storia si fa racconto, non potrà sottrarsi ai condizionamenti del linguaggio e dell'ideologia, rinunciando sostanzialmente a ogni pretesa di ·obiettività. Secondo Hayden White invece, non solo gli 'eventi reali' non parlano da sé, ma neppure i documenti e gli annali possono porsi come ~oggetto di narrazione. Perché gli eventi possano parlare, essi devono essere narrati, organizzati cioè in storia, in modo da rivelare la loro struttura immanente, giungere a una spiegazione e una conclusione che la pura registrazione annalistica non fornisce. "L'autorità della narrativa storica è - per White-1' autorità della realtà" ("Lettera internazionale", n. 18, autunno 1988). In altri termini, che cosa conta di più in sede storica, l'evento o la trasmissione dell'evento? le fonti d'archivio, in quanto testi possono essere ritenute neutrali o autentiche? è legittimo interpretare i silenzi della Storia? Nel saggio Il discorso della storia Roland Barthes sostiene, citando Nietzsche che "non esistono fatti in sé. Bisogna sempre cominciare con l'introdurre un senso perché possa esserci un fatto". Lo storico infatti tende sempre a 'colmare' il senso della storia; egli "mette insieme più significanti che fatti e li riferisce, cioè li organizza al fine di stabilire un senso positivo e di colmare il vuoto della pura serie". Il discorso storico è dunque "essenzialmente elaborazione ideologica, o per essere più precisi immaginario, se è vero che l'immaginario è il linguaggio con il quale l'enunciatore di un discorso 'colma' il soggetto dell'enunciazione" (Il brusio della lingua,Einaudi 1988, p. 147).
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==