Linea d'ombra - anno VIII - n. 46 - febbraio 1990

CONFRONTI di sapere e di capire e che non esita a lasciare i propri genitori - teledipendenti giocatori di bingo e banditeschi commercianti di auto che la disprezzano perché legge libri - per andare a vivere con la maestra Dolcemiele perché tra loro c'è simpatia solidarietà e affetto vero, Dahl frappone ben più di un abisso. C'è in questi libri, in generale, un grande rispetto per l'infanzia e una rivendicazione di rispetto per essa, insieme alla denuncia qel fatto che per i bambini è molto forte il rischio di essere soli. E anche per.questo che diventano come necessari questi "grandi" magici e fiabeschi, solitari, diversi, inequivocabilmente senza potere ma provvisti della forza che viene loro proprio dall'essere senza potere e contro il potere. E il potere e le istituzioni - siano esse la scuola, la famiglia, le associazioni arbitrariamente protezionistiche di categorie che di tali protezioni devono soltanto diffidare - da queste storie escono piuttosto male, trattate anche con indignazione e senza dimenticare mai la forza del riso, magari anche un po' amaro ma sano perché sapiente e beffardo. Sono preziosi, i libri di Dahl, anche perché sono molto divertenti. E i libri per bambini dovrebbero esserlo davvero, perché i bambini "ridono volentieri", come sostiene Matilde, lettrice avidissima che ha letto tutti i libri per bambini della biblioteca e poi è passata agli altri e ha molto amato Il giardino segreto di Frances H. Burnett, i libri di Faulkner, Orwell, Kipling, Hemingway ("Hemingway dice un mucchio di cose che non capisco, soprattutto sugli uomini e le donne. Però mi è piaciuto moltissimo. Ha un modo di raccontare che mi fa sentire come se fossi proprio lì, a vedere quello che succede"), e molti altri, ma soprattutto è avvolta "nell'incantesimo che Dickens, il grande inventore di storie, aveva saputo creare". E il "grande inventore di storie" è molto presente a Dahl e alle sue storie: per il divertimento, per le infanzie insidiate, per le direttrici Spezzindue e i loro sgabuzzini di punizione, per i commercianti di auto usate vendute come nuove, per il parlare abbondante- ma mai esibito - dei tempi correnti. C'è da sperare che molti bambini leggano i libri di Dahl - e saranno molti di più se la Salani riprenderà a pubblicarli nella collana "Gl'istrici" facendone, come i primi, dei bei tascabili brossurati che costano intorno alle diecimila lire anziché, come ha fatto invece per gli ultimi titoli, facendoli diventare "I superistrici", cioè inutilmente lussuosi libri di grande formato con copertina cartonata e sovracoperta, a prezzo inevitabilmente raddoppiato. E c'è da sperare anche che molti di noi adulti li leggano, per divertirsi e capire. Magari insieme a qualche altro libro. Non necessariamente quelli del Dahl "per adulti", a mio avviso di scarso rilievo, e comunque di altra pertinenza; piuttosto quelli "per adulti" dell'autore delle Scarabattole. Fermandoci magari anche soltanto - però almeno un po' a hingo - su una poesia, o su due versi soli: "l'infanzia che m'ha dato / questo caro sgomento mio d'esistere". E ruminare a lungo, sopra il caro sgomento, e cercar di capire dove ci metterebbe Dahl. Il nuovo romanzo storico e la scomparsa del 11 referente" Paola Splendore I Chi ha il diritto di raccontare la storia? come si cattura il passato? come si usano i documenti? il 'racconto' della storia può testimoniare la verità? siamo alla fine della storia? Sono le domande inquietanti poste da alcuni romanzi storici degli anni Ottanta in cui la storia non è più, o non solo, sfondo, cornice o centro tematico, ma un referente problematico e ambiguo, incerto nei dati e nella sua trasmissibilità. L'incubo della storia, il fantasma che il modernismo tentò in ogni modo di tenere lontano, sembra avere una parte rilevante nel postmodernismo, anche se con esiti formali che non rientrano immediatamente nelle definizioni date del genere 'romanzo storico'. Non sempre infatti questi romanzi offrono una ricostruzione 'artisticamente fedele' del passato, perché ciò che conta in essi non sono tanto i fatti o i personaggi veramente esistiti, bensì la problematica relativa alla 'rappresentazione' dell'evento storico, ai modi cioè di trasformazione dell'accaduto nel 'racconto' della storia. I romanzi a cui mi riferisco - /figli della mezz'anotte (edizione italiana Garzanti) e La vergogna (Garzanti) di Salman Rushdie, Il pappagallo di Flaubert di Julian Bames (Rizzali), Maggot, la nin/adiJohnFowles (Garzanti),L.C. di Susan Daitch, Il paese dell'acqua di Graham Swift (Garzanti), Aspettando i barbari (Rizzoli) e Dusklands di J.M. Coetzee - per lo più trattano la materia storica in senso lato (non tutti per esempio sono· ambientati nel passato), ma tutti offrono quel miscuglio arbitrario di elementi storici e di finzione che non solo produce inattesi scenari sulla possibilità dell'accaduto, ma finisce per spostare 20 l'attenzione del lettore dall'evento, che è a volte irrilevante (come nel caso del Pappagallo di Flaubert) e che resta comunque inconoscibile, al "discorso" della storia, cioè ai modi di rappresentazione dell'accaduto e al rapporto che intercorre tra verità e scrittura, rendendo così problematica la nozione stessa di conoscenza storica e di trasmissibilità del passato. Nel suo discusso saggio sul postmoderno, Frederic Jameson ha lamentato, tra l'altro, la scomparsa sotto il mantello dello 'storicismo' -che egli intende come "saccheggio indiscriminato di tutti gli stili del passato" - del referente storico: "il passato come 'referente' è gradualmente messo tra parentesi, e quindi completamente cancellato; a noi non restano altro che testi" (Il postmoderno, Garzanti 1989, p. 39). Il che non è poi tanto male se si parla di letteratura. L'esempio di romanzo storico dal 'referente assente' citato daJameson èRagtime di E.L. Doctorow, un romanzo che mi pare possa rientrare nella categoria più su descritta, in cui la storia è cioè un insieme di dati incerti, ipotetici e fantastici, e dunque 'opinabili'; un romanzo che dimostra chiaramente che non è più possibile presentare in maniera 'oggettiva' il passato storico né raccontare la 'verità' sui fatti, perché il filtro soggettivo di chi registra/usa la storia, confondendola con la propria esperienza individuale, diventa l'elemento che li ha determinati: "la storia è qualcosa che si scrive- afferma Doctorow nel corso di un 'intervista. Qualcosa che deve essere scoperto e composto. Qualcuno deve comporre la storia. E se non è composta in un certo senso non esiste, sia che abbia una presenza

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