Linea d'ombra - anno VIII - n. 46 - febbraio 1990

FEBBRAIO1990· NUMERO46 LIRE8.000 I mensile di storie, immagini, discussioni e spettacolo SPED.IN ABB.POSTALEGR. 111-70%.VIAGAFFURIO 4. 20124 MILANO

In un villaggiopadano del Seicento, cancellato dalla storia, la tragica vita di Antonia, strega di Zardino. L'attualità di un'epoca dimenticata, in un romanzo dagli innumerevoli intrecci. «Supercoralli», pp. 308, L. 26 ooo PremioCalvino 1988 GabrieleContardi Navidicarta Un biglietto enigmatico conduce due amici in una Marsiglia fredda e malinconica, alla ricerca di una donna misteriosa. «Nuovi Coralli», pp. 146, L. 14 ooo CristinaPeriRossi li MuseodegliSforziInutili Imprevisti tragici e comici di tutti i giorni nei racconti di una nuova scrittrice sudamericana. Traduzione di Vittoria Spada. «Nuovi Coralli», pp. 170, L. 16 ooo GustaveFlaubert Latentazione disant'Antonio nellatraduzionediAgostinoRichelmy I tormenti e le passioni di un santo in preda ai fantasmi dei peccati capitali. «Scrittori tradotti da scrittori», pp. 137, L. 16 000 GuidoGozzano Lepoesie L'intera produzione in versi di Gozzano con il commento, aggiornato e integrato, di Edoardo Sanguineti. «Gli struzzi», pp. xn-406, L. 28 ooo Einaudi FrancoFortini Versiscelti 1939-1989 Un'antologia che testimonia in modo esemplare l'intera attività di uno dei maggiori poeti italiani del '900. «Gli struzzi», pp. v-463, L. 24 ooo SamueBl eckett Finaledipartita «Siete al mondo, non c'è piu rimedio». Un capolavoro del teatro contemporaneo. Traduzione di Carlo Fruttero. Nota introduttiva di Paolo Bertinetti. «Collezione di teatro», pp. IX-51, L. 9000 WolfgangGoethe Stella Una commedia per amanti. A cura di Italo Alighiero Chiusano. «Collezione di teatro», pp. 1x-53, L. 9000 EnricoFilippini Laveritàdelgatto Quasi un diario filosofico nelle interviste di un inviato un poco speciale. A cura di Federico Pietranera. Co·nuna prefazione di Umberto Eco. «Saggi brevi», pp. xm-212, L. 18 ooo HermannBroch li Kitsch Il Kitsch come trionfo dell'inganno e del «male»: l'arte e le sue implicazioni politiche, psicologiche e mitologiche nelle pagine di un grande scrittore. Prefazione di Luigi Forte. Traduzione di Roberta Malagoli e Saverio Vertone. «Saggi brevi», pp. xxx1v-201, L. 18 ooo CesareSegre Fuordi elmondo I modelli nella follia e nelle immagini dell'aldilà in letteratura: da Dante a Ariosto, da Cervantes fino a Morselli e Sabato. «Paperbacks», pp. VI-159, L. 22 ooo FrancoVenturi Settecentroiformatore L'Italiadeilumi 2. La RepubblicdaiVenezia(1761-1797) Un appassionato dialogo di secoli nell'illuminismo veneto: la volontà della ragione e la nuova coscienza storica. «Biblioteca di cultura storica», pp. XIII-478 CO(]. 41 illustrazioni fuori testo, L. 85 ooo SvetlanaAlpers !:officinadiRembrandt Nell'Olanda del SeicentoRembrandt interpreta in modo nuovo e originale la figura e il ruolo del pittore. Traduzione di Antonella Sbrilli e Perla Avegno. Introduzione di Enrico Castelnuovo. «Saggi», pp. xx-152 con 159 illustrazioni in bianco e nero nel testo e 12 a colori fuori testo, L. 48 000 HansJonas li principioresponsabilità L'uomo è diventato per la natura piu pericoloso di quanto un tempo la natura non lo fosse per lui: un'etica per la civiltà tecnologica. A cura di Pier Paolo Portinaro. Traduzione di Paola Rinaudo. «Biblioteca di cultura filosofica», pp. xxxi-291, L. 45·000 GianPieroBona Gliospitni ascosti Un viaggio sorprendente verso l'ignoto. «Collezione di poesia», pp. 76, L. 7500

~ tl TASCABILI e,o Una nuova collana, i Tascabili delle Edizioni elç,: libri di sicuro valore, importanti segnali della nostra epoca, letture interessanti, da gustare ma anche da meditare, a un prezzo accessibile, . per invogliare a leggere sempre di più. Bohumil Hrabal Treni strettamente sorvegliati Un esempio insuperabile dell'ironia praghese. Le disavventure di uno Charlot boemo , rese famose nel mondo dal film omonimo premiato con l'Oscat Rainer Maria Rilke Due storie praghesi Due novelle dedicate alla città natale, Praga, "piene di strade buie e di cortili misteriosi". NELLA COLLANA EST Vladimir Makanin Azzurro e rosso Dall'Unione Sovietica un autore interessante, originale, il cui nome figura degnamente accanto a quelli dei grandi autori russi cui è stato da varie parti associato: Gogol, Cechov, Dostoevskij. Christa W olf Cassandra La storia di Cassandra e della guerra di Troia rivista con gli. occhi di una donna. Un grande classico dei nostri giorni. Lev Tolstoj Il diavolo e altri racconti L'arte del racconto al suo massimo livello, sui temi della morte, della passione, dell'adulterio e dell'ascesi. Due novelle intrise di ironia e spiritualità, piene di suggestioni filosofiche ma anche autentiche "storie" magistralmente raccontate. Dell'ottima letteratura che ci fa anche capire • molte cose della Russia. Edizioni e/o - Via Camozzi 1 - 00195 Roma -Tel. 06/352829,

GALASSIAGUTENBERG Mercato e mostre del libro 18-22 Febbraio 1990 Mostra d'oltremare - Piazzale Tecchio - Napoli Segreteria organizzativa: e/o Unione Industriali, Piazza dei Martiri, 58 80121 Napoli - Tel. 081/406522 (PBX) - Fax 413462 CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI Sabato 17 febbraio 1990 ORE 17.00: Tavola rotonda (Presso il Salone dell'Unione Industriali di Napoli) "Un Sud e un Nord per l'editoria? Il con-. tributo meridionale allo sviluppo editoriale in Italia" Coordina Alberto La Volpe Martedf 20 febbraio 1990 ORE 11.00: "Scuola, Università, Ricerca" Coordina Ernesto Quagliariello ORE 17.00: "Riscrivere i libri" Coordina Massimo Oldoni "Mostrasui PapiriErcolanensi" curato dal dott. Litta, dalla Mostra d'Oltremare e dalla Bibl. Nazionale di Napoli "La Biblioteca piu grande del mondo'' Presentazione del Progetto della Nuova Biblioteca di Parigi a cura de l'lnstitute Française de Naples "Incontro con l'autore" a cura delle Case Editrici "Incontro con le librerie" a cura de/i'ALi di Napoli Tavole aperte Domenica 18 febbraio 1990 ORE 11.00: Inaugurazione alla Mostra d'Oltremare ORE 17.00: "Ecologia del libro" Coordina Alberto Abruzzese Mercoledf 21 febbraio 1990 ORE 11.00: "Fortuna e sfortuna delle riviste culturali". Coordina Roberto Esposito ORE 17.00: "Oltre il libro" Coordina Annibale Elia Mostre "La ScuolaMedicaSalernitana" a cura della Sovrintendenza 88.AA.SS. di Salerno e l'Università di Salerno "Biblioteche di Napoli" Mostra a cura del Comune di Napoli Rubriche "La Biblioteca di" Incontri con le biblioteche di personaggi famosi. Lunedf 19 febbraio 1990 ORE 11.00: "Editoria e bambino" Il libro. da O a 12 anni. Coordina Guido Petter ORE 17.00: "Libro e Immagine" Coordina Guido Savarese Giovedf 22 febbraio 1990 ORE 11.00: "Biblioteche in Italia" Coordina Enzo Esposito ORE 17.00: "Disperata editoria; grandi problemi di piccoli editori" Coordina Vanni Scheiwiller "Medioevo del teatro" a cura del Centro Studi "Teatro Medioevale e Rinascimentale" "40 anni di teatro 1946-1986" a cura della rivista "Sipario" ''Performance musicali'' a cura di Girolamo De Simone. Associazione Musicale Ferenc Liszt

Direi/ore: Goffredo Fofi Direzione editoriale: Lia Sacerdote Collaboratori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, . Enrico Alleva, Isabella Camera d'Afflitto, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Mario Barenghi, Alessandro Baricoo, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli, Paolo Bertinetti, Gianfranco Bettin, Francesco Binnf. Lanfranco Binni, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Marisa Caramella, Cesare Cases, Roberto Cazzola, Grazia Cherchi, Francesoo Ciafaloni, Luca Oerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Curninetti, Peppo Del Conte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Riccardo Duranti, Bruno Falcetto, Marcello Flores, Giancarlo Gaeta, Fabio Gambaro, Filippo Gentiloni, Piergiorgio Giacchè, Paolo Giovannetti, Aurelio Grimaldi, Bianca Guidetti Serra, Giovanni Jervis, Filippo La Porta, Gad Lemer, Stefano Levi della Torre, Marcello Lorrai, Maria Madema, Luigi Manconi, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Paolo Mereghetti, Santina Mobiglia, Diego Mormorio, Maria Nadotti, Antonello Negri, Maria Teresa Orsi, Cesare Pianciola, Gianandrea Piccioli, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Marco Revelli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Joaquin Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Emanuele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi, Egi Volterrani. Progetio grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche iconografiche: Barbara Galla Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Regina Hayon Cohen Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Rina Disanza Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Roberto Barbolini, Franoo Cavallone, Natalia Del Conte, Giovanna Delfini, Renata Delfini, Giorgio Ferrari, Carla Giannetta, Anna Giubertoni Mila; Grazia Neri, Lorenzo Pe!lizzari, Radio Popolare di Milano, Storiestrisce, l'ufficio stampa della Longanesi, la libreria Popolare di via Tadina 18 a Milano. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 - 20124 Milano Tel. 02/6691132-6690931. Fax: 6691299 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Te!. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie PDE - Viale Manfredo Fanti 91 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Stampa Lltouric sas - Via Puccini 6 Buccinasco (MI) -Te!. 02/4473146 LINEA D'OMBRA Mensile di storie, immagini, discussioni Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393 Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo III/70% Numero 46 - Lire 8.000 Abbonamenti Annuale: ITALIA: L. 75.000 da versare a mezzo assegno bancario o c/c postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. ESTERO L. 90.000 l manoscrilli non vengono restituiti Si risponde a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Questa rivista è stampata su carta riciclata. UNEAD'DMBRA anno VIII febbraio 1990 numero 46 4 6 8 Gianfranco Bettin Joaquìn Sokolowicz Paul Ginsborg Fine d'anno a Bucarest Come l'America Latina entra nel decennio Famiglia e Stato in Italia a cura di Marcello Flores 10 Piero Brunello Se si tocca Togliatti 13 Bianca Guidetti Serra Un libro sulla Fiat 14 Marcello Flores Al di là della guerra fredda 16 Filippo Gentiloni Foto di gruppo.dei "nuovi cattolici" RUBRICHE: In margine (G.Cherchi a pag. 15). ' 20 Paola Splendore Il nuovo romanzo storico 35 Bianca Tarozzi Un ritratto di Jean Rhys . e A.Cristo/ori su Memoria del fuoco di Galeano (a p. 24), L.Rastello su Libuse Monikovà (a p. 25), F. Binni su un'antologia di scrittori ebrei americani (a p.27),P. Bertinetti su Naipaul (a p. 29), F. Gambaro sui racconti di Mia Cmllo (a p. 30), M. Caramella sul West di Richard Ford (a p. 31), G. Canova su Cornell Woolrich (a p. 32), E. Vitale sui premi Nobel perla pace (Il p. 34), Promemoria (a p. 37), Indice analitico (a p. 52), Gli autori di questo numero (a p. 95). 38 60 62 • 51 52 56 69 71 75 43 78 James Fenton . Antonio Delfini Giovanni Giudici Julio Ardi/es Gray Andrej Platonov Enrico Morovich Giovanni Battistini Pia Pera Carlo De Angeli • .·.·.·-:.•,•,•,• ...... ,','•'·:•:::,:,,:,•,::_::::: Eduardo Galeano Alan Sillitoe ••.· ::::1111111111~::[;!i!:!iii!i]::::::]:t MUSICA: 84 TEATRO: 86 90 91 VIDEO: 93 94 Massimo Mila Piergiorgio Giacchè Bruna Filippi François Kahn · Mario Barenghi Maria Maderna Bellezza, pericolo e sgomento a cura di Maria Del Sapio Tre poesie Da Jalta in poi Il figlio adottivo Racconti di gioventù Tre racconti presentati da Francesco De Nicola Fuorusciti Tre lettere di Ro Ricardo Le due memorie a cura di Fabio Rodriguez Amaya Scrivere e pubblicare Programma per un Circolo Mozartiano Ragionamenti sul teatro "minore" seguito da: Il teatro a domicilio Un tributo a Chico Mendes Sposi promessi, sposi omologati · Il "video della differenza" La copertina di questo numero è di Franco Matticchio (dist. Storiestrisce)

ILCONTESTO Fine· d'anno a Bucarest GianfrancoBettin 1. "Non è di questo che sono orgoglioso" dice Razvan. "Troppa distruzione" aggiunge. Mostra, intorno, piazza del Palazzo, il centro di Bucarest. L'aria brucia dell'odore di spari, di incendi, degli scarichi dei carri armati col motore acceso fermi a presidio. Il vecchio Palazzo Reale ha lunghe severe facciate annerite, e grandi finestre senza più vetri dove pendono, smosse dal vento, lunghe tende bianche strappate, la libreria Nazionale è ridotta a un cumulo di macerie. Di fronte, il Palazzo del Comitato Centrale del Partito Comunista ha l'aspetto di un tetro castello appena conquistato. Fa un certo effetto aggirarvisi dentro, tra i segni recenti di scontri furibondi, segni di fumo e di fuoco, tra carte, sedie, tavoli e armadi rovesciati, bossoli sparsi, e accampamenti di soldati improvvisati nelle grandi sale di marmo. "Troppa distruzione" ripeteRazvan guardando intorno. Ha 25 anni, ed era qui quando tutto è incominciato, la sera del 21 dicembre. Era andato alla manifestazione ufficiale convocata da Ceausescu per "ristabilire la verità" sul massacro di Timisoara, imputato a "teppisti e terroristi pagati da potenze imperialiste", e per vedersi confermare l'appoggio del popolo. "Avevo saputo la verità su Timisoara da RadioFreeEuropee da VoiceofAmerica, come tanti. Ma non avevo molta speranza che le cose cambiassero. Ero indignato, ma senza speranza. Avevo in tasca una lettera, quella sera. Dopo il raduno l'avrei consegnata all'ambasciata americana. Era il primo passo per tentare di andarmene da questo paese". Invece le cose sono cambiate, improvvisamente. Gli studenti hanno osato la sfida. La gente è stata prima a guardare quel confronto impari: studenti e Securitate che si fronteggiavano in piazza, con l'esercito fermo, incerto. Poi, negli scontri, la gente non si è tirata indietro. "Ecco, di questo sì che sono orgoglioso" dice Razvan, che ha una ferita alla testa. Poteva essere un'altra Tien An Men. Lo è stata, quanto ai morti e aiferiti, certamente migliaia. Solo in un cimitero improvvisato alla periferia di Bucarest ho contato più di cinquecento fosse e, in una notte trascorsa in un ospedale, ho incontrato molte decine di feriti e sentito i calcoli dei medici sulle vittime già . censite (centinaia solo lì). Non ha molto senso la contabilità precisa invocata fuori di Romania. È vero, nei primi giorni giravano cifre tremende: sessantamila morti, cinquantamila. Anche per Tien An Men era andata così, e inoltre l'esito era stato di sconfitta. Ma poi: le otto-diecimila vittime del Natale romeno pesano davvero meno di quelle inizialmente stimate? Le dimensioni della tragedia risultano così inferiori? Solo per chi ha bisogno di rifarsi a una logica da "Guiness dei primati", forse. Le ore e i giorni di Timisoara e di Bucarest e delle altre città, villaggi, province romene sono state ore e giorni di grande tragedia comunque. Dopo Natale, quando Bucarest era più facilmente accessibile si vedevano arrivare in città gruppi e delegazioni dell'interno del paese. Portavano aiuti - frutti poveri della povera economia soffocata dalle priorità imposte da Ceausescu - e volevano vedere cosa stava accadendo, volevano esserci. Portavano anche notizie di quanto era successo fuori dal raggio d'azione delle telecamere che, dalla libera TV romena, trasmettevano al mondo le immagini dell'insurrezione. Ed erano altre notizie di morti, di rappresaglie, di resistenze dei fedeli di Ceausescu. Di vendette, anche. 4 2. Nel tardo pomeriggio del giorno di Natale, attraversando il grande ponte sul Danubio tra Ruse e Giurgiu alla frontiera tra Bulgaria e Romania, eravamo entrati nel Paese in rivolta. Al posto di confine, in un clima di estrema tensione, stavamo espletando le formalità di passaggio, quando la musica trasmessa dalla radio ·romena, accesa a tutto volume dalle guardie, si è interrotta d'improvviso. Una voce grave ha letto il comunicato che annunciava la conclusione del processo militare ai coniugi Ceausescu e la loro avvenuta esecuzione. Un grande applauso si è levato subito dai soldati, in un'onda di cupa allegria. La gente ha voglia di esprimersi - veni va da pensare in quei giorni - di raccontarsi; e ha anche voglia di giustizia e di vendetta. Ho visto la registrazione del processo, e delle immagini di Nicolae e Elena Ceausescu morti, insieme a un gruppo di romeni. Insulti, irrisione, felicità alla vista dei due cadaveri, hanno accompagnato costantemente la trasmissione. In una strada di Bucarest, davanti al Ministero della Difesa, tra auto e jeep squarciate da colpi di cannone, c'erano i corpi di alcuni "securisti". Erano dilaniati, sventrati, a pezzi. La testa di uno, mozzata, era appoggiata su una ruota di una jeep rovesciata e posta di traverso. I bambini sputavano sui cadaveri, la gente si fermava, rideva, guardava senza pietà la scena. È forse inevitabile tutto questo, specie nei giorni della guerra e degli agguati. È il nucleo di dolore e di crudeltà, inestirpabile, deposto dalla tirannia nel fondo del cuore e della storia di un popolo. Un fondo di rancore, anche, che forse assumerà forme meno feroci ma non meno drastiche nel corso della nuova stagione politica, delle lotte che di sicuro si apriranno - che già divampano, anzi - sugli assetti futuri del Paese. I sentimenti, e i risentimenti, fanno spesso la storia. La politica ne è spesso oggetto, anche se tenta sempre di confinarli, di dominarli con una ratio che si pretende superiore. Ma quando la politicapur armata del potere di uno stato poliziesco - viene travolta da ciò che aveva a lungo soffocato, anche una nuova politica fa molta fatica a imporsi, a incontrare fiducia e credibilità. Per questo Gorbaciov misura non nel mondo intero, che lo acclama, ma nel proprio immenso paese, le asperità del cammino da fare, le diffidenze, le esasperazioni, l'emergere esplosivo di radici e caratteri che l'impero sovietico aveva immurato. La rivoluzione romena, che ha sfondato i cancelli della reggia di Ceausescu, non si accontenterà di guardare indignata e stupefatta le ricchezze e i tesori (sottratti ai musei nazionali) accumulati dal Conducator e dalla sua famiglia. Restituirà il tutto al Paese, ma si guarderà poi intorno. Sfratterà il Museo del partito dal vecchio prezioso palazzo che occupa e vi ripristinerà il Museo nazionale etnografico. Ma chiederà anche conto delle complicità, di chi sapeva e taceva nei lunghi anni della dittatura, e magari oggi siede nel nuovo potere. Chiederà di ricominciare tutto. A volte, di sicuro, non per andare più avanti, ma per tornare indietro, a prima del comunismo. E non sarà facile frenare questa tendenza. Il regime comunista si era dipinto come futuro, utopia in corso d'opera, fine della storia, età dell'oro finalmente sopraggiunta. Da quale momento si riparte, ora che la volgare, pietrosa, polverosa storia è ricominciata? Ora che la storia di carne e di sangue, di sentimenti e risentimenti, di conflitto e di dialogo, torna a pulsare?

3. All'università gli studenti dicono di guardare oltre il comunismo. Nei corridoi e nelle aule affollate giovani assonnati e indaffarati discutono, scrivono, ridono. Su qualche muro si leggono versi di poeti-Dinescu e Ana Blandiana soprattuttoe scritte che inneggiano alla libertà e ai Beatles. Razvan dice che andrà lo stesso in Amerièa, più avanti. Che intanto vuol vedere cosa accadrà adesso. Altri non hanno la stessa voglia di andare oltre, anche oltre i confini nazionali. Vogliono piuttosto tornare al passato, riaccoglierlo e riscoprirlo entro le mura romene. · Romene e basta, senza aggettivi. Ovunque il simbolo e il nome della Repubblica Socialista sono stati strappati, dalle bandiere, dalle targhe, dalle scritte su palazzi, strade, piazze, scuole. Come non capire questa voglia di ritrovare il proprio tempo rimosso e insu_ltatocosì a lungo? Eppure sarà certo lì che si annideranno insidie per la nuova Romania, altri conflitti, forse altro sangue. Gli studenti, anima e critica audace della rivoluzione; i contadini, umiliati, offesi e ora tornati a contarsi, a pesare; gli operai, che con gli studenti e i soldati hanno abbattuto a Bucarest il potere "socialista". Questo è stato "il movimento reale che ha abolito il comunismo". Tanta gente diversa che forse vuole cose troppo diverse. Tranne una, ovviamente: la libertà, che ha unito tutti finora - nell'assenza prima, nell'era del Conducator; nel suo dirompere poi, nell'imprevista, straordinaria fine d'anno in Romania. Fine di secolo in Romania s'intitolava una riflessione del poeta e saggista Petru Crezia trasmessa dalla BBC il 21 dicembre scorso: un quadro della situazione interna e delle prospettive, tra speranza e disperazione, dell'opposizione. "Sono nato con la corda al collo" aveva scritto Mircea Dinescu in una poesia. Parlava della Romania come di una "sorella di solitudine e prigionia". Evocava la tristezza del destino di un popolo soggiogato. Un vecchio proverbio romeno, tra il cinico e il · rassegnato, un po' alla Bertoldo, dice che "unà testa piegata non viene tagliata". Allude a un carattere servile che a volte è stato rimproverato ai romeni. Cioran stesso ne ha parlato (salvo fare ammenda dopo la rivolta). Ma Cioran è una specie di professioBucarest, dopo la battaglia (foto di Enrico Dagnino). IL CONTESTO nista del vuoto di speranza, e vi indugia con troppa voluttà per esprimere davvero il senso tragico di quel destino. Esso invece echeggia davvero in Celan, ebreo di lingua tedesca nato in Bucovina, frontiera asburgica, romena, sovietica, a seconda dei capricci travolgenti della Storia. Un destirio, in Celan, in cui tutto ammutolisce dopo il male assoluto dei campi di sterminio. In cui tutto, invece, parla, e si colora, e segue trame e storie bizzarre e affascinanti nei racconti di Panait Talrati, che i lager nazisti non li vide (morì nel '39) ma vide e denunciò fra i primi, inascoltato, la realtà dell'Urss di Stalin. La Romanià comunista ha cercato di presentare se stessa come il punto d'approdo, perfetto, di questo destino, cancellando voci ed echi dissonanti. Che hanno però resistito, sia negli esuli - da Ionesco a Tzara - sia in chi, con grave rischio, restava in patria a contestare il silenzio e la retorica. È il caso di Patru Dimitriu, che scrisse già negli anni Sessanta, per primo, dei lager rumeni; di Paul Goma e lon Negoitescu, che firmarono nel '77 una lettera di opposizione al regime. Di Mounteanu, scrittore e saggista, che abbandonò il partito pubblicamente nell'88. Poi di tutti gli altri, da Dinescu a Crezia, dalla Blandiana ai giovani come Chachir, Oroveànu, Sarinesca e altri, poeti, scrittori, artisti che hanno anche saputo far politica, gettarsi nella mischia dopo averla lungamente preparata come in tutte queste rivoluzioni dell'Est è accaduto. Come è accaduto quasi .sempre nella storia, in verità. È anche accaduto, quasi sempre, che questo rapporto tra politica e arte, cioè tra storia e destino, si sia poi scisso, schiacciando arte e destino, cioè il contenuto più intensamente umano, individuale, delle rivoluzioni. Accadrà ancora? Ogni rivoÌuzione, quando esprime un salto d'epoca - e certo queste dell'Est lo esprimono - propone, in se stessa, una novità radicale, che trascina tutto in una nuova dimensione. Che spiazza e supera, per così dire, le ottiche tradizionali. La novità contenuta nelle rivoluzioni di questo '89 potrebbe risiedere nell'idea, nella . difesa, del conflitto come fonte della libertà e delle forme democratiche. Nel rifiuto della "fine della storia" come orizzonte, sogno pacificante, che si rovescia in alibi e in copertura rituale alla miseria e alla tetraggine del presente. Lucidamente un pensiero

IL CONTESTO del genere lo ha esposto Adam Michnick, parlando dell' esperienza di Solidarnosc: "Credo che Solidarnosc abbia introdotto nella cultura europea un èlemento completamente nuovo: la priorità della pr~si rispetto al pensiero utopico. In questo mi ritrovo. Solidarnosc si batteva per una società civile, che per sua natura è una società imperl tta. Noi lottiamo per una società conflittuale, nella quale però i conflitti possano essere definiti nell'ambito di determinate rcgo1e del gioco democratiche. Se oggi mi chiedo se sono rimastt>,fedele a me stesso come 'sessantottino' dentro Solidarnosc, o se invece ho rinnegato me stesso, allora penso che non ho rinnegato me stesso. Credo di _essererimasto fedele alla miaopzioneantiautoritariadel 1968". E, in fondo, l'idea che vera garante del pluralismo e della vitalità democratica è l'esistenza di una società civile libera, complessa, anche conflittuale appunto, in grado di resistere con forza e consapevolezza autonoma ali' invadenza dei tradizionali poteri politico ed economico e, oggi, all'influenza onnipervasiva, dunque al potere reale, dei "media" (il Grande Fratello a Est come a Ovest). "Anche il peggiore socialismo è meglio del migliore capitalismo" disse a lungo Lukàcs. "Corruptio optimi pessima" gli ribattè Ernst Bloch, citando Sallustio - la corruzione del meglio è, la peggiore di tutte. In entrambi, appunto, persisteva l'idea che il socialismo era "il meglio assoluto''. e che si stava, pur tra errori e deviazioni, provando a realizzarlo. Il '68 cecoslovacco rappresenta ancora un tentativo del genere, e l'invasione che lo stronca probabilmente estirpa anche quest'idea. Che infatti, oggi, non trova gran credito a Est- e nemmeno sembrava trovarlo,a Tien An Men, prima della repressione. , 4. Una città in mano alla rivoluzione sembra la più nitida illustrazione del pensiero di Michnick (che recupera in effetti lasostanza attualissima delle lontane, a lungo sottovalutate, idee di Tocqueville). Bucarest, nei giorni di fine anno, è una folla curiosa .chegira, si incontra, racconta di ieri e si interroga sul futuro. Che cerca gli stranieri e parla. Che forma partiti, crea movimenti, nuovi giornali, che cambia i nomi ai vecchi giornali, alle strade, ai palazzi, che abbatte monumenti e ne erige di nuovi, spesso con poveri materiali. Che esprime dolore e lutto per i cadpti. E rabbia, voglia di giustizia, di rivincita, grida di vendetta. E un magma rovente, che nemmeno l'inverno romeno più nevoso e gelido da molti anni in qua riesce a raffreddare. Tutto ciò che era stato abolito e rimosso torna alla luce e reclama il diritto a esistere. Qualsiasi inevitabile normalizzazione non potrà ignorarlo. Sta qui la vera sfida per la nuova Romania, -come per l'Unione Sovietica di Gorbaciov. 5. A un presidio ci viene affidata una scorta per recarci alla villa di Ceausescu. "Rambo" dice un ufficiale. Ci accompagna un giovane alto, atletico, con una fascia sulla fronte, un mitra in mano. È un civile, ora aggregato all'esercito. "Rambo" dice, indicando se stesso~Ci racconta che faceva il meccanico, prima della rivoluzione. Dice del suo odio per il regime, e che adesso farà il soldato "per impedire che tornino quelli che avevano cancellato una generazione intera". Per questo è diventato Rambo. Un'altra volta a scortarci è un soldatino giovanissimo. Ha l'aspetto mite, simpatico. Ha con sé un'armonica che ogni tanto suona. Di sicuro, fra poco, avrà i capelli lunghi e un orecchino. Ovunque, in città, su~carri armati che sono presenti in ogni angolo cruciale la gente i)a infilato fiori nelle bocche di cannone, ha costruito pupazzi cfu<evesui cingolati, ha scritto sulle fiancate "l'esercito è con noi". Attorno agli alberghi la piccola folla di intriganti, di cambisti in nero, di puttane, non sa cosa aspettarsi dai cambiamenti in corso. Qualcuno ammicca a noi dell'Ovest e sembra aspettarsi tempi di buoni affari. , "Quando andrò in America passerò da voi, in Italia, voglio vedere Venezia, e Firenze, Roma, Napoli ..." dice Razvan. "Così vedrai che non meritiamo i tuoi sogni" dice uno di noi, un giornalista. Ma noi, che diritto abbiamo di dirgli questo? Noi, che andiamo a prenderci i bambini messi in vendita da Ceausescu--:-- "orfani di Stato" - e ci sentiamo tanto buoni. Noi, che andiamo a Cuba e torniamo contenti del sole, del mare e di Fidel. I lager, laggiù, sono ancòra fuori mano, fuori vista. Cannonate da Washington · e bombe in -terza classe Come l'America ·Latina entra nel decennio Joaquìn Sokolowicz Nel momento in cui il presidente Gorbaciov si dedicava a esaltare "il maremoto della storia" avvenuto durante l'anno che sarebbe finito allo scoccare della mezzanotte, nel suo messaggio televisivo da Mosca al pubblico statunitense, e mentre dal Texas il presidente Bush a sua volta prospettava ai telespettatori sovietici un'era nuova grazie "agli investimenti e al libero movimento dei· beni e delle idee", in Bolivia e ad Haiti soltanto alcune poche famiglie avevano una vera cena per accogliere in allegria il nuovo decennio. La Radio Vaticana esprimeva in diverse lingue la soddisfazione del Papa perché "la storia haportato ha termine alcuni suoi conti" e, frattanto, altri conti, 'non trascendentali, venivano fatti a chiusura del 1989 lontano da Piazza San Pietro: 178 civili morti ammazzati nel Saivador (in maggioranza per mano degli squadroni _d'.~strema destra), 3198 vittime della violenza politica in Perù (c1v1h,guerriglieri e milir.ari),circa mezzo milione di nuovi disocc1;1pa_tii~Argentina (per la chiusura di altre fabbriche e per la fine d1ogm mtroito attraverso i lavoretti "sommersi"). · I paesi latinoamericani si sentono più che mai abbandonati alla 6 loro sorte. Non che prima delle svolte e degli sconvolgimenti · nell'Europa dell'est percepissero una solidarietà convinta nel di, chiaratointeressamentodellepotenzeailoroproblemi,maigoverni di quei paesi sapevano se non altro di contare su una carta: la possibilità di offrire lauti guadagni alle aziende straniere solo accettando le condizioni che queste ponevano, ovverosia il massimo sfruttamento della forza lavoro e delle potenzialità economiche locali. Il Cile sotto il dittatore Pinochet, per esempio, ha ricevuto investimenti ed è riuscito a contenere l'inflazione su livelli quasi "europei" ma lasciando in cambio alla fame 5milioni di persone (il 40 per cento dell'intera popolazione nazionale). Oggi s'è affievolito sensibilinenteil potere d'attrazione esercitato dai paesi latinoamericani sui padroni di capitali alla ricerca di affari vantaggiosi a breve termine, quel potere su cui fanno leva i campioni del liberalismo "per risanare la nostra economia''. (oltre che per arricchire ulteriormente infime minoranze locali). E verso altre latitudini che vanno adesso le maggiori attenzioni delle potenze e delle loro aziende. "Quest'evoluzione è molto grave per il nostro continen-

te", secondo un presidente conservatore, il brasiliano Sarney. Sono chiari e del resto espliciti i propositi di Bush nei confronti dell'Europa ex comunista ma non si sa quale sia la sua politica verso l'America latina, ammesso che ne abbia una, dietro le iniziative semplicemente dirette ad assicurarsi in quell'area la presenza di governi obbedienti alla superpotenza occidentale. Una volta insediato alla Casa Bianca, i su.oimessaggi rivolti quand'era candidato alla successione di Reagan all'indirizzo dei governi latinoamericani nel senso della disponibilità ari vedere i meccanismi del commercio e della finanza internazionali (gli Stati Uniti sono determinanti nel funzionamento di entrambi) sono rimasti lettera morta; e se ci sono alcune agevolazioni per i grandi debitori, introdotte dal suo segretario al Tesoro, la lentezza nell 'applicazione di tali provvedimenti non tiene il passo con l'urgenza delle necessità dei beneficiari. I debitori, quindi, vedono sempre aumentare i loro debiti. Un disegno politico riguardante l'America.Latina non potrebbe, oggi, che intaccare il sistema dei rapporti economici internazionali. E non ci sono segni che indic)1inoun'intenzione di Bush di affrontare così le cose. Ha invece deciso di usare le maniere forti nei confronti di quell'area per superare le difficoltà a controllarla, dopo essere apparso spesso esitante al riguardo durante il primo anno da presidente. Avrà forse scelto questo comportamento a scopi preventivi, in mancanza di proposte di fondo per evitare i probabili sussulti che le penurie economiche possono provocare anche a catena nei paesi latinoamericani; oppure, semplicemente, l'attenzione internazionale è attualmente così distratta da quanto sta avvenendo a est da non badare più di tanto a gesti del presidente americano in altra direzione, gesti che gli fanno avere dalla sua la maggiora!!Za dell'opinione pubblica interna. Probabilmente è Foto di Ivo Soglielli. IL CONTESTO proprio questo obiettivo di politica interna il motivo fondamentale dell'invasione militare di Panama e dell'invio di navi da guerra al largo delle coste colombiane. Con l'opinione pubblica statunitense Bush si sentiva in debito da quando fallì il tentativo di colpo di stato contro il regime di Noriega fatto da militari panamensi organizzati da Washington. Il debito era poi diventato compromettente allorché, rovesciato quel regime dalle truppe spedite apposta e che nell'operazione avevano lasciato sul terreno i cadaveri di 23 soldati americani, gli occupanti non sono riusciti a catturare l'odiato generale. Anche per il rischio di un'autentica figuraccia a causa dell'incapacità dei servizi segreti della superpotenza di assicurare tale cattura, Bush ha esercitato forti pressioni sul Vaticano perché gli consegnasse il deposto dittatore rifugiatosi nel frattempo nella sede della nunziatura a Città di Panama. Si può infatti spiegare solo con il desiderio di saivaguardare la propria immagine l'insistenza di Bush per portarsi via Noriega, visto che il prigioniero è in grado di raccontare, nel previsto processo a suo carico, parecchie cose imbarazzanti per l'amministrazione degli Stati Uniti. Agente della Cia ai tempi in cui essa era diretta proprio da Bush, Noriega è fra l'altro sospettato da molti di coinvolgimento nell' "incidente aereo" mai chiarito in cui ha perso la vita il suo predecessore, Torrijos (il governante populista che s'era battuto per ottenere dalla superpotenza l 'impegno à lasciare il canale di Panama, impegno poi sottoscritto dal presidente Carter con la scadenza del 2000). In ogni caso ci vogliono parecchi mesi per preparare il processo e, certo, non si può sapere cosa riservi la provvidenza durante un lasso di tempo cosìlungo,forseanchepercancellarelepresumibilipreoccupazioni attuali dell'uomo della Casa Bianca. In America Latina è stata notata con preoccupazione l'assenza di qualsiasi accenno al trattato che prevede il ritiro dal canale alla fine del secolo in tutti i comunicati e discorsi venuti da Washington a proposito della vicenda panamenge_Già quasi tutti i governi 7

IL CONTESTO della regione, e non soltanto quelli di Cuba e del Nicaragua, avevano condannato l'intervento militare statunitense. Non che fossero solidali con la dittatura in quel modo abbattuta né che gradissero i presunti loschi traffici del suo capo. Ma il comportamento da Rambo, se fatto passare sotto silenzio, potrebbe essere comodamente usato ogni volta che Washington volesse imporre la sua volontà contro qualsiasi opposizione o dissidenza (senza badare, poi, al prezzo in vite umane tra la popolazione civile: gli americani non hanno detto quanti panamensi sono rimasti uccisi dalla loro impresa "Giusta causa"). E se governi e movimenti politici latinoamericani potevano prima vedere nel Vaticano un mediatore affidabile in conflitti internazionali e nazionali - un ruolo caro al pontificato di Wojtyla ....:_l_a_c,onsegna di Noriega alle truppe assedianti della nunziatura- una resa malamente mascherata dai comunicati - ha compromesso la credibilità del vertice cattolico in questo senso. Ventiquattrooredopoche il capo del deposto regime panamense era stato rinchiuso in una cella provvisoria a Miami, da una base navale degli Stati Uniti salpavano una portaerei e diverse altre unità in direzione delle coste atlantiche della Colombia. Lo scopo era quello di intercettare, o semmai di scoraggiare, il narcotraffico in partenza via mare da quel paese in cui le potenti organizzazioni della droga stanno combattendo una guerra sanguinaria contro i nemici della loro prospera attività. Da Washington si precisava poco dopo che le navi avrebbero stazionato in acque internazionali, a scanso di equivoci sulla volontà di rispettare la sovranità territoriale colombiana. E quando però, nel paese sudamericano .s'è sollevata la protesta generale per questa presenza militare di fronte alle proprie coste, Bush si affrettava a negare di avere inaugurato una politica interventista-militare nei confronti dell' America Latina. Ma, anche se non fosse di per sé significativo il fatto che il governo di Bogotà non era stato neanche avvertito preventivamente dell'arrivo della flotta (''uno spiacevole errore di dimenticanza", è stato spiegato dal Pentagono), la gravità o la delicatezza estrema di imprese come questa è indicata se non altro dai rischi obiettivi: essendo presenti in Colombia, a parte i clan del narcotraffico, diverse organizzazioni antigovernative armate, basterebbe un eventuale scontro anche fortuito tra queste e le forze statuni tensi per coinvolgere automaticamtmte Rambo nel conflitto politico interno. Il problema della droga preoccupa i governi latinoamericani non meno di quanto preoccupi quello di Washington, a causa del potere enorme e crescente dei padroni del settore; si pensi al peso acquisito in Italia dalla mafia, la .camorra e la 'ndrangheta e si capirà quanto spazio ancora maggiore possono occupare simili associazioni in paesi più fragili del nostro. I latinoamericani contestano tuttavia la linea seguita da Washington di colpire la produzione al fine di ridurre il consumo. Le autorità dei tre paesi da cui proviene la maggior parte della cocaina del mondo (Colombia, Bolivia, Perù) sostengono, dati alla mano, che il narcotraffico è stato sensibilmente ridimensionato soltanto quando s'è riusciti a limitare la vendita ai consumatori (gli Stati Uniti sono il principale mercato di consumo mondiale). Il rovesciamento dei criteri nella lotta intrapresa, cioè gli sforzi concentrati sulla destinazione inveC(; che sull'origine, viene regolarmente e inutilmente sollecitato dai rappresentanti latinoamericani a ogni confronto sul tema con quelli della potenza consumatrice. Come si fa, poi, a bloccare la crescita della produzione laddove essa è diventata o sta per diventare il principale mezzo di sostentamento per la popolazione? La Bolivia rappresenta l'esempio più drammatico, con le sue miniere di stagno chiuse o da anni in atti vi tà ridotta (spesso si ricava dalla vendita del minerale sui mercati esteri meno di quanto costi la sua estrazione!) e con famiglie che si aggiungono continuamente a quelle che a migliaia hanno già trovato i mezzi per sfamarsi soltanto nelle piantagioni di coca ai 8 confini con il Brasile. Bolivia e Haiti figurano, nelle statistiche sullo sviluppo, agli ultimi posti. Le statistiche sono tuttavia fatte di medie e le cifre offerte da esse risultano a volte elevate dagli introiti enormi di gruppi minuscoli in mezzo a intere popolazioni affamate. La disperazione, insomma, è anche di quattro quinti dei 130 milioni di brasiliani, della grande maggioranza dei peruviani, e di equadoriani e honduregni e via dicendo. Questi popoli non troveranno da mangiare attraverso le svolte storiche in mezza Europa né li riguarda la prospettiv~ di un "movimento dei beni" che fa esultare il primo mondo. E anche probabile che il "maremoto" si faccia sentire prima o poi sul versante occidentale dell'Atlantico e spazzi via il regime cubano (ora appare davvero chiaro quel che c'era dietro l'esecuzione dei gorbacioviani guidati da Ochoa, ordinata dai fratelli Castro) ma non cambieranno neppure in questo caso le condizioni di vita dei latinoamericani. Non cambieranno se non si sostituisce con un sistema equo la distribuzione delle ricchezze del mondo così com'è gestita sotto l'egemonia degli Stati Uniti con la collaborazione di altri quattro o cinque paesi, cioè in modo da far guadagnare sempre di più le ditte di quelli e di questi. Neanche le forme democratiche, in tutti i casi migliori per le varie popolazioni nazionali delle brutali dittature militari degli anni scorsi, hanno modificato la drammatica situaziòne dell 'America Latina. Siccome si vota più o meno liberamente è cercata con angoscia un'alternativa attraverso le urne. Ci si affida in Brasile alla demagogia moralistica del liberale Mello de Collor (eletto presidente grazie al potere della televisione, anche se le elezioni hanno tuttavia indicato una spaccatura in due della nazione); in Uruguay si dà il voto alla sinistra per l'amministrazione di Montevideo e al candidato di destra per le presidenziali (soprattutto per fermare il principale antagonista perché amico dei militari della passata dittatura); tutto lascia prevedere che nell'imminente consultazione in Perù sarà preferito per la massima carica lo scrittorepolitico Vargas Llosa, rappresentante del blocco liberal-conservatore (perché le buone intenzioni e i coraggiosi gesti del socialista in carica, Garcìa, non hanno lasciato alcun risultato concreto a quella maggioranza che un tempo lo appoggiò). Lecosedovrannoin'qualchemodocambiareperché,comeama ripetere l'ex ministro argentino Caputo, "anche chi viaggia sulla nave in prima classe non può rimanere tranquillo se un passeggero della terza ha con sé una bomba". Certo, in un mondo interdipendente com' é quello odierno la pace st{lbileè nell'interesse di tutti, anche di chi vi si trova ottimamente. E probabile che i latinoamericani trovino in futuro nuovi mercati e nuovi soci tra quei paesi dal passato regime comunista ed è prevedibile a scadenza non lontana un inserimento di questi paesi nel blocco dei grandi debitori internazionali, che ne trarrebbe da ciò maggior forza contrattuale. Ma i latinoamericani non hanno molto tempo a disposizione per aspettare siffatti sviluppi politico-economici nel mondo. Per lo più mancando loro i canali di anni passati, i grandi movimenti di sinistra armati o senz'armi, oppure con quei movimenti oggi indeboliti, o con altri che sono sospetti quanto ai loro veri·scopi, potrebbero semplicemente finire per lanciarsi a prendere ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere e che gli viene negato, senza disegni politici. Si offrirebbero in questo caso le ennesime occasioni ai militari per prendere in mano il potere nelle varie capitali. Oggi, però, i militari sono in generale divisi di fronte a simile prospettiva ("costituzionalisti" contro "golpisti"): il termine "libanizzazione" è entrato a far parte dellinguaggio giornalistico in diverse aree latinoamericane, nelle analisi delle prospetti ve della rispettiva vita nazionale. Già l'anno scorso i venezuelani di Caracas sono usciti a cercare il cibo con la forza e hanno continuato nell'opera anche mentre accanto loro cadevano in molti sotto le pallottole; pochi mesi dopo gli argentini assalirono i supermercati in diverse città. Le bombe sono molte, nella terza classe, che è di gran lunga la più vasta. ·

IL CONTES'.1'0 Famiglia, stato, società Incontro con Paul Ginsborg a cura di Marcello Flores Il libro di Paul Ginsborg da poco apparso in libreria (Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi 1943-1988,Einaudi, due voll.,pp. 622, Lire 40.000) rappresenta un avvenimento editoriale e culturale di tipo particolare. Si tratta infatti, come hanno mostrato i riconoscimenti e le critiche che ha suscitato, di una interpretazione della recente storia d'Italia che interessa fortemente anche il presente; gettando su di esso la luce di una ricostruzione attenta e problematica dei decenni di vita della Repubblica. Una ricostruzione che è incentrata, tra l'altro, sul riconoscimento di alcune peculiarità italiane che rendono lo scenario politico e sociale degli anni Novanta di più facile comprensione. I temi attorno a cui ruota la ricostruzione di Ginsborg sono quelli dello stato e della famiglia, dei movimenti collettivi e delle risposte istituzionali a essi: un fascio di problemi su cui occorrerà ritornare in sede di discussione storiografica, ma che è opportuno segnalare a chiunque sia curioso di comprendere meglio, attraverso il passato, anche il presente e il futuro. Per indicare ai nostri lettori l'importanza di questo saggio pubblichiamo un'intervista coli' autore accompagnata da una risposta dello storico Piero Brunello.alle poco convincenti obiezioni mosse al libro da Rossana Rossanda. Il tuo libro sulla storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi, oltre ad avere, come sembra, un buon successo di pubblico, ha suscitato un dibattito sulle interpretazioni di fondo che suggerisce. Uno dei temi centrali del tuo libro è quello del ruolo della famiglia nella storia d'Italia, un tema che è stato visto da qualcuno in modo riduttivo e da altri forse in modo troppo enfatico. È una tematica innovativa nel campo storiografico, ma il rischio è che si appiattisca in una sorta di ripetizione di un luogo comune, quello appunto dell'eccesso di "familismo" nel nostro paese. Mi ha fatto piacere che molti abbiano privilegiato questo aspetto e sottolineato questa chiave interpretativa, ma vorrei aggiungere che si tratta di una delle chiavi, non dell'unica. Mi è dispiaciuto, invece, che qualcuno vi abbia visto solo una ripetizione dei luoghi comuni sul familismo, deJle idee di Banfield, il sociologo americano che negli anni Cinquanta ha studiato il paese di Chiaramonte, in Basilicata. Qual è allora, in sintesi, il discorso-che hai voluto fare sulla famiglia, quanto deve a vecchie interpretazioni e quanto ti sembra invece originale? Il caso italiano, secondo molti, per esempio Tullio Altan, è caratterizzato da un familismo accentuato, al punto da mettere al priino posto il valore della famiglia a esclusione di altri, come la solidarietà o la partecipazione collettiva. lo ho cercato di dire che non c'è semplicemente un familismo lineare, univoco, e che anzi è necessario cercare di analizzare il contesto storico dei vari momenti della storia recente italiana. Se si guarda con attenzione alle varie regioni del paese e ai diversi decenni, ci si accorge che non sì tratta solo di familismo amorale ma che in moltissime occasioni famiglia e collettività si può dire che marcino insieme. In più punti, ma specie negli anni che riguardano la riforma agraria o quelli del boom e dell'emigrazione operaia al nord e delle lotte degli anni Sessanta, intrecci in modo abbastanza continuo una visione economico-sociale con gli aspetti che riguardano lafamiglia. Paradossalmente, ti si è rimproverato di non avere una visione di classe e di sopravvalutare l'interpretazione allaAltan,per intenderci, quando invece ciò che manca a quel discorso.prevalentemente antropologico, èproprio la relazione dèlfamilismo con la dinamica della società. Mi sembra che tu, comunque, non abbia scelto una interpretazione, ma piuttosto tre-quattro momenti forti di interpretazione che hai cercato di connettere uno con l'altro. Se posso tornare al discorso sulla famiglia, non c'è dubbio che in Italia ci sono forti legami familiari, e molti osservatori lo hanno riconosciuto. La domanda da porsi è: da dove viene questa peculiarità? Non voglio dire che non ci sono familismi anche in altri paesi, qualsiasi storico dell'Inghilterra sa che anche in Inghilterra la famiglia è importante, però nella storia d'Italia questi legami sono particolarmente forti. Ci sono due spiegazioni: una è di dire che si tratta di una caratteristica nazionale degli italiani, rifluire come spiegazione nella specificità nazionale; un'altra, quella che io ho cercato di dare, è di vedere le radici storiche di questo fenomeno, di collocarla in un contesto storico. Osservando questo fenomeno si affaccia subito, così, un'altra chiave interpretativa del libro, quella che riguarda lo stato. L'altro grande filo conduttore del tuo libro è lo stato, la mancanza di una riforma dello stato. Attorno a questa mancata riforma, l'incapacità riformista complessiva che le classi dirigenti, anche quelle di opposizione, hanno mantenuto per tutta la storia del dopoguerra. Che rapporto c'è tra questa mancanza di riforma dello stato, il fallimento del riformismo tout court, e il ruolo della famiglia? Sono aspetti legatissimi, e occorrerebbe forse andare ben più indietro di quanto non faccia io, che parto dal 1943, tornare perlomeno all'inizio dello stato unitario: uno stato con una unificazione malfatta e malriuscita, con Je classi popolari non rappresentate, spinge necessariamente le classi subalterne verso altre soluzioni: da una parte verso un'organizazzione di classe, dall'altra nel ripiegamento sulla famiglia. C'è un intreccio continuo in cui a volte prevale la solidarietà • di classe, in altre fasi invece l'aspetto del ripiegamento familista ... È proprio quello che ho cercato di rintracciare nelle varie regioni e in diversi periodi dal dopoguerra a oggi. Dal 1943, proprio questo rapporto non riuscito, tra stato e cittadino, per mancanza delle riforme, questo rapporto deformato, che è un' altra peculiarità italiana, conduce a lotte e solidarietà anche grandiose, sia nel sud negli anni Quaranta che nel nord negli anni Sessanta e Settanta, ma porta anche a una forte accentuazione del familismo. Non pensi che aver accomunato nel fallimento delle ipotesi riformatrici innazitutto le classi di governo ma anche quelle di opposizione, il movimento operaio e il partito comunista, possa aver contribuito afar sottovalutare quest' aspetto del tuo discorso? 9

IL CONTESTO Mi sembra assurdo dire che ho liquidato la lotta di classe, · come ha scritto la Rossanda, ma vorrei dire che forse è compito di uno storico straniero, se ha qualche merito, cercare proprio di restare il più distaccato possibile. Qualcuno forse s'è arrabbiato perché non ho lodato il partito comunista o la nuova sinistra ma sono stato un po' critico verso tutti. Ma uno straniero vede le cose un po' da lontano, non con l'ottica di una posizione politica italiana. Torniamo al partito comunista. Tu metti spesso in evidenza il ruolo positivo, su una serie di piani e in una serie di momenti, del suo comportamento, ma dai un giudizio di complessivo fallimento delle sue ipotesi propositive. Come se il Pci avesse vinto solo nella sua strategia di sopravvivenza come or,ganizzazione non omologabile al mondo capitalistico circostante, che è forse la consapevolezza che ha portato Occhetto a prendere le iniziative che sappiamo. Non sono del tutto d'accordo. Intanto il Pciha giocato un ruolo Se si tocca Togliatti... Piero Brunello Confesso di avere anch'io, come tutti, un ultimo desiderio da esprimere al mondo, ed è quello di poter leggere un buon libro di storia scritto nel 2500 d.C., perché spero che Ii.elfrattempo, se il pianeta tira avanti, qualcuno abbia potuto mettere le mani almeno sugli archivi della Cia, del Vaticano e del ministero degli Interni. Detto questo non me la prenderei proprio con chi mi racconta la storia italiana dell'ultimo mezzo secolo, come invece fa Rossana Rossanda recensendo il libro di Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi ("Il Manifesto", 5 gennaio 1990), accusando l'autore di avere scritto un libro di storia "senza tentazione alcuna di ricerca personale sul campo" e senza sentire il bisogno di "verifiche inedite" (che sarebbero in questo caso documenti ~•archivio, "a parte forse - nconosce Rossanda - i documenti delf'occupazione americana e fngl~se durante e dopo la guerra '): Siaperché come tentazione mi sembra già sufficiente quella di voler mettere insieme la ~to~ia_ politica e sociale degli ultuni _cmquant' anni del nostro pae~e mun qualche centinaio di pagme, come è dimostrato dal ::lo che prima d'ora una cosa I genere in questa forma nessuno se l'era sent1'tad1· f . . hé . are; sia pez~ ~on credo che la buona stort~ ~1 faccia solo con documentimediti (i quali tra l'altro secondo questa 1 • · • og1ca, perde10 rebbero d'interesse una volta pubblicati). Non proverei in altrt; parole alcun fastidio a leggermi un libro del genere scritto da quello che Rossanda definisce "un giovane studioso straniero documentato dalla documentazione altrui". E perrestare in tema devo dire che già l'affermazione con la quale si apre la recensione di Rossanda, secondo cui "un fellow a Cambridge è colui che, quando altri ha fatto la ricerca, vi scrive sopra un libro", mi mette addosso 'una certa agitazione; anzi mi sento in dovere di informare che anche a Venezia e Padova, per quanto ne so, si fa lastess;i cosa, e suppongo anche aRoma, senza che nessuno vi trovi qualcosa da ridire, al di làd'ell'ovvia discussione dei risultati raggiunti. Io tenderei insomma a garantire pregiudizialmente a tutti, anche agli inglesi, non importa di quale età, il diritto di scrivere libri sui libri altrui, libri di storia sulla base di libri di storia, articoli" di giornale a partire da notizie di agenzia o scritti di altri giornalisti, e, visto quello che .sto facendo, recensioni suscitate da recensioni (soprattutto quando, come nel mio caso, a qualcuno possa sembrare che la recensione da cui prende spunto non dia conto al lettore di come un libro è costruito, e anzi ne travisi profondamente il significato). In breve, dopo l'affermazione di principio. che ho fin qui riferito, Rossanda sostiene che Ginsborg fa del familismo o devozione alla famiglia "il carattere nazionale costitutivo" in grado di spiegare immobilismo politico e debolezza dei movimenti della nostra storia recente; trova infondate nel primo volume (dal 1943 agli anni Cinenormemente importante nella difesa della democrazia durante la storia dell'Italia repubblicana, un ruolo che va indicato e rispettato. In secondo luogo, è vero che il Pci ha sempre evitato sia le riforme del mero riformismo che la presa di potere di tipo sovietico, cercando una terza via con un tipo di ricerca che considero affascinante. Nessuno può dire che questa ricerca teorica e ideologica sia stata portata a compimento, e ne è quindi derivato, successivamente, il riconoscimento del!' importanza del riformismo di tipo anglosassone, molto in ritardo rispetto al dovuto. Di quelle riforme tra le quali si trova quella di cui io parlo più a lungo, quella dello stato. Hai parlato del ruolo del Pci nella difesa della democrazia. A questo proposito vorrei ricordarti che "Il Manifesto" ti ha accusato di prendere sottogamba la strategia della tensione, il ruolo della P2 e dei legami e complotti oscuri contro la repubblica; dall'altra Curi su "L' Unità" ti ha accusato di non voler vedere il valqre positivo della adesione del Pci alla politica del!' emerquanta) le ctitiche al Pci di avere attuato tra le altre cose una politica di subalternità alla Dc, e aggiunge che nel secondo volume (19581988)questo giudizio convive con unasottov alutazione del movimento sia operaio che studentesco; sostiene infine che il libro nel suo complesso non pone interrogativi di fondo ed è quindi destinato "a lasciare a bocca asciutta chi, in questo volgere di secolo, si interroga su chi siamo stati e perché" (e tralascio di ricordare il sommario, che si direbbe buttato giù da qual- . cuno che il libro semplicemente non l'ha letto, secondo cui "uno studioso anglosassone( ...) trascu- .ra di porre domande e di cercare risposte"). . È superfluo dire che sui giudizi e sulle interpretazioni del libro c'è di che discutere, come mi pare del resto si stia facendo. Perciò è ovviamente del tutto legittimo essere in disaccordo con le critiche di Ginsborg a Togliatti e con l'analisi che egli dedica ai movimenti di sinistra. Ma perché liquidare tali critiche chiamando, alla vigilanza contro il dilagare odierno di una imprecisata "certa sinistra radical-socialista"? Si riconosca almeno che queste stesse critiche, meno sempliciotte di come Rossanda vuol far credere, vengono da quella Nuova Sinistra (unita per molti versi alla tradizione culturale gramsciana) cui "Il Manifesto" deve e ha dato molto: sicché tanto giustificazionismo rispetto alla storia del Pci risulta ancora più incomprensibile, a meno di non stabilire che l'ossessione che alcuni provano nel sentirsi circondati dal Nuovo Corso Occhettiano vieti d'ora in poi di parlar male di Togliatti. Sul ruolo del familismo e del "particulare", viene poi da pensare che Rossanda non abbia capito, o abbia letto unpo' frettolosamente: seç'èunacaratteristica in tutto il libro di Ginsborg, è infatti quella di dimostrare che gli interessi familiari a volte sono preponderanti e in contrasto e a volte invece si intrecciano agli interessi collettivi, e che di conseguenza il rapporto tra famiglia e collettività inltaliaèmoltomeno semplicistico di quello che C. Tullio Altane E.B anfield prima di lui, con uno schema, quello sì riduttivo e unilaterale, hanno sostenuto. Quanto al giudizio complessivo sul modo in cui è costruita l'argomentazione storica, io personalmente trovo che Ginsborg ha la buona abitudine di individuare interrogativi e questioni aperte, portare testimoniarIZe, riconoscere inmodo esplicito il lavoro fatto prima di lui dagli storici, mettere a confronto e discutere interpretazioni storiografiche diverse, proporre e giustificare la propria ipotesi di spiegazione: in uno stile molto lontano dal procedere compilativo e "sempre asseverativo" che Rossanda gli attribuisce. E nell'impossibilità di dimostrarlo come sarebbe giusto, invito l'eventuale lettore a farsi un'idea di persona; anche senza leggersi tutti i due vo1umi, gli consiglierei, per convincersene, di cominciare col capitolo VII che riguarda il miracolo economico, e di passare poi ai due capitoli (IV e V) sulla riforma agraria e sulla Democrazia Cristiana.

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