CINEMA se, che abbiano ancora un peso, che esprimano e raccontino qualcos'altro. Perché il cinema, credo, ha'a che fare prima di tutto con delle immagini, con uno sguardo. Uno sguardo preciso. Per questo ogni tanto mi fanno un po' ridere tanti discorsi sulla sceneggiatura- la crisi della sceneggiatura, gli sbagli di sceneggiatura ... Non si parla mai di crisi dello "sguardo'.' del cinema italiano. E forse sta proprio qui il problema. Chiunque ormai si improvvisa regista. Basta che la sceneggiatura piaccia à qualche produttore, che sia un film comico, o che almeno tino o due attori siano famosi per garantire la vendibilità del prodotto. Come poi una sceneggiatura venga trasposta in immagini sembra che in fondo non gliene freghi niente a nessuno - basta che il film sia "fatto bene", senza errori, con una buona fotografia (magari patinata come una rivista di.moda) e una recitazione nella norma. Così, alla banalità televisiva imperante in Italia, il cinema italiano si allinea con la sua banalità linguistica, "senza errori" di grammatica. Problemi di linguaggio filmico non esistono più. E attorniati, bombardati come siamo da immagini di ogni tipo, nella confusione più totale qualsiasi immagine risçhia di andar bene. Passa. Se bisogna ripartire da zero o quasi - come temo sia il caso, se davvero si crede nella possibilità di un reale seppur minimo rinnovamento del cinema italiano- bisogna ripartire dallo "sguardo". Lo sguardo sul reale. Lo sguardq sulla storia che si vuole raccontare. Lo sguardo sui personaggi, che poi diventa sugli attori, sulla scena, sul paesaggio. Lo sguardo su come le persone realmente agiscono, interagiscono, parlano (o non parlano) nella vita, e da qui lo sguardo sulla recitazione. E in questo sguardo complessivo deve esserci un senso, un punto di partenza e una .direzione precisa. Così anche ogni inquadratura deve avere un senso, una direzione precisa. Se la macchina si muove o meno, se segue un personaggio o lo lascia uscire di campo, se lo guarda dal basso o dall'alto, in primo piano o in campo lungo, se si avvicina con un carrello o si allontana •.. Come può non esserci un senso in tutto questo? A concludere e legare questo mio frammentario intervento spero che riesca il mio film. UN PO' D'AMORE FrancescaArchibugi Quando m 'iscrissi al Centro Sperimentale di Cinematografia, appena finito il liceo, avevo le idee molto confuse sul cinema, un po' della rimasticata cinefilia che andava allora, ma soprattutto avevo le idee confusissime sulla vita, sui fidanzati, gli amici, la mia famiglia e la mia città. Erano anni di borghesi derelittismi generazionali espressi in ripetuti attentati alla salute, relazioni dissennate o amicizie serrate fino allo strazio. Non ci mancava il motorino né l'opera completa di Honoré di Balzac, ma ci mancava tutto il resto, perfino la cognizione che qualcuno avrebbe voluto la possibilità di fare quelle scuole tanto engagées che noi disertavamo". A diciannove anni vivevo già da sola e posso dire, adesso, che senza saperlo mi sentivo veramente sola; riempivo il buco con i luoghi comuni detti "metropolitani", comprensivi di prima fila al Filmstudio alle quattro di pomeriggio. Andavo a farmiJare compagnia da Renoir, da Rossellini e da Truffaut (non dimenticherò mai che è stato definito minore su queste pagine: ed aureo non ha il dolore), film romantici, pensierosi ma lievi, Aurora, Qualt:uno verrà, Rocco, Tarda primavera, storie di paesi, di amori, di famiglie che non avevo più e non avevo ancora. . Mi sono accorta, così, che quando penso a una storia (all'inizio veramente si pensa da sola, poi si lascia civettuolamente · pensare finché non l'afferro per l'orecchio e la porto su carta) mi metto al lavoro per fare compagnia a un branco di ragazzini soli i.n platea, con dei genitori in analisi, degli amici violenti, dei professori ignoranti, dei ragazzini che annegano nel solipsismo, nel qualunquismo, nel!' indiviqualismo ma, non per questo hanno le idee più chiare su se stessi, anzi forse proprio per questo non ce le hanno affatto. Mettere un occhio fra un marito e una moglie, fra una cassiera e una proprietaria di uno snack bar, fra un pensionato e un quartiere, o più semplicemente (ma non è più semplice ...) all'interno, fra i dolori delle persone, è.poi quello che il Romanzo ha sempre fatto (anche da defunto). Tornare quindi a fare di un film un Romanzo non è certo per quella esangue pretesa di "letterarietà" tutta controluci e misteriose lady e struggenti sax, bensì per osservare l'evolversi del pensiero, dei sentimenti e dei costumi dell'uomo. Che quasi sempre si sente solo e si racconta le storie per pensarci di meno. Quest'impulso a 'fare compagnia' è l'unièo straccio di vocazione alla narrativa che posso rintracciare, se proprio devo fare autoesegesi. E scegliere come mezzo narrativo il cinema implica molta presunzione, esigendo un'attenzione a ventiquattro al secondo, tenend,opiantati lì in platea, ingìungendo di aprire occhi e orecchiee cuore, inchiodando agli sehhh degli altri spettatori che sono i guardiani della somma attenzione. Però implica anche una strana, amorosa umiltà: al c.inema si offre allo stesso prezzo, assieme alla storia, anche un luogo. · Va al cinema anche chi a casa ci sta male, con madri invadenti o mariti sempre in vena di televisione; al cinema ci si va anche per incontrare qualcuno di nascosto e tenergli quietamente la mano; per annullare la coscienza, smettere per duè ore di pensare, e soffrire: lasciarsi allagare dalle storie degli altri come fosse un valium o una pera. Però, nello scegliere un lavoro creativo, non bisogna negare che insieme allo slancio candido e umanitario c'è anche un po' di narcisismo eroico, lo stesso che ci fa vedere sudati battitori di grandi rovesci a tennis, il presidente degli Stati Uniti sotto la doccia, e dentro la bara al funerale dove tutti ci piangono. E per · quanto ci si mortifichi quando chi vive con noi ci coglie in flagrante, costernato e ilare, sono scivoloni infantili che non bisogna scacciare con la maturità, perché è il modo più indolore per ricordarci che siamo impegnati in una professione fuori dall'ordinario, e non possiamo liberarci dalla responsabilità morale che ci stiamo beccando e ci dobbiamo meritare. Il pudore, il candore o il cinismo possono spingere a non penetrare nel senso profondo del lavoro di narrazione, e nel cinema si è fatto davvero troppo poco. Da Rossellini, che è stato l'autore italiano che si è interrogato di più, sono pervenute due risposte: i rosselliniani di sinistra hanno assunto il concetto che narrare è insegnare quello che si è imparato. Fare un film su Gobetti o sulla moglie che ti sta lasciando soltanto per capirne di più, dando quello che si è appena preso, ancora vivo e pieno di dubitativi; i rosselliani di destra hanno invece assunto i concetti di Genialità Pura e Improvvisazione, distillando dal pensiero quel coté di debiti, imbrogli, balle, Ingrid Bergman e splendida prole, giustificando l'idea che la creazione debba essere istintiva, irri85
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