Linea d'ombra - anno VIII - n 45 - gennaio 1990

. l CINEMA ITALIANO: I GIOVANI GianniVolpi Nella sola bella·scena di un recente, mediocre thriller americano,-un anziano luminare del foro, ormai minato da un male incurabile, sistemando i dieci volumi di frasi famose che lo hanno accòmpagnato per tutta la carriera, dice a un giovane e rampante pupillo, quasi in forma di testamento morale: "Non citare mai. Parla di ciò che sai". Senonché anche questa è una citazione, da Emerson. La scena mi sembra fissare bene anche la situazione del cinema italiano più o meno giovane, quello chiamato in Francia "della convalescenza", e le ·sue irrisolte contraddizioni. Tra volere e non potere, tra voglia di realtà e incapaci là a individuarla e esprimerla, tra bisogno di originalità e vecchio vizio della cinefilia, tra ricerca di linguaggi personali e tentazione di canoni e stereotipi usurati. Può apparire un giudizio duro; in realtà lo è perché "ottimista" per quanto questo cinema, in alcuni momenti, in alcuni autori, ha lasciato intuire: frammenti di realtà, culture, sensibilità vere, che scopriamo o in cui è possibile riconoscersi. Tanto più allora, sorprende che questa sia una generazione che non ha prodotto la sua critica, i suoi autori-critici, come era sempre avvenuto dopo le Nouvelles Vagues. Come se si trattasse di una generazione povera di riferimenti e di riflessione, non a caso patologicamente riottosa a definirsi rispetto a altro da sé e da un' autoespressione che si pretende "artistica", a rapportarsi a un progetto che dia un senso al proprio e all'altrui lavoro, a farsi proposta, in anni comunque difficili per tutti, ma non privi di 82 tentativi- e l'assenza di un volto comunque riconoscibile nella ·molteplicità delle esperienze è quanto continuiamo a ritenere uno dei suoi limiti più gravi e sintomatici. Essa non ha prodotto critici, ma tanti cinéphiles, con il gusto · o la mania del genere, della citazione. Armi a doppio taglio, difficili da usare.L'ha provato sula sua pelle Corrado Franco con Corsa.in discesa. Un buon soggetto letterario (da Woolrich), attori di nome come Rudiger Vogler, un budget non poverissimo (con contributo di Reteitalia), ma anche l'incapacità di capire che il noir non è la sua superficie, le sue mitologie, scene, gesti, oggetti di culto che, trasferiti in una Torino che non è_LosAngeles e soprattutto non può fingere di esserlo, si rivelano asettici, svuotati di tensione, neppure sfiorati dalla forza di ossessioni assolute o della passione intellettuale o del mestiere e della precisione artigianale necessari. E appena più smaliziato è Visioni private, gioco privato e intellettuale di Ninni B'ruschetta, Francesco Calogero e Donald Ranvaud che ironizza blandamente, con una punta di "giallo" e le dovute citazioni, su una fauna festivalieta (di Taormina e di ogni dove) che non merita attenzione o si meriterebbe ben altra cattiveria. Si salva qua e là una certa metafisica "accidia" siciliana che già percorreva il più riuscito, anche se meno entusiasmante di quanto si sia scritto, La gentilezzadel tocco, trovando qui un suo punto di fusione con una cultura più solida (Pessoa). · Questo è un momento favorevole di "occasioni" via RaiItalnoleggio-sovvenzioni statali, persino produttori privati; è il momento del necessario confronto.con alcune "dipendenze primarie" all'interno di una logica d'autore. A prima impressione, sembra prevalere una sorta di minimalismo professionale, che è come la conseguenza riduttiva della polemica d-ianni fa contro le velleità confuse, contro le "moderne" teorie di non-stile. Non vi sfugge del tutto neppure il film più interessante, Mignon è partita di Francesca Archibugi, che è una commedia non più che amarognola, di un microrealismo che si direbbe non tanto cechoviano,

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