Linea d'ombra - anno VIII - n 45 - gennaio 1990

SAGGI/RAMONDINO Un patto con l'illusione che si stringe grazie alla lucidità del cuore e che proprio mentre ti consente di abbandonarti ali' entusiasmo, tifa presagire il disincanto. amicizia, ne ricordo esattamenle il momento. Si discuteva in tanti una sera intorno al grande tavolo della cucina lauritana, quando io dissi qualcosa che non ricordo; ricordo invece il suo sguardo, come se da esso fosse caduto il velo della tolleranza - quanto spesso, e non solo intimamenLe, insofferente·- che frapponeva fra sé e le stupidaggini che udiva, e si fosse detto: Beh, non è sciocca come pensavo! - E dal suo sguardo anch'io capii che con quella mia frase, che aveva lasciato gli altri interdetti, tranne lui - una frase che in qualche modo riprendeva il concetto leopar- .diano che solo a partire dalla consapevolezza delle comune derelizione gli uomini possono fondare un vero sodalizio sociale, e non fidando nelle "magnifiche sorti e progressive" -, si era creata fra noi un 'inLesa particolare, che solo con pochi si può avere. Al piacere infaui di scoprire un'affinità di pensieri, di sentimenti.di gusti si aggiungeva la complicità di sapere che tanto la sua quanto la mia vita si fondavano su un patto che ciascuno di noi separatamente aveva stretto con l'illusione. Un patto che si stringe grazie alla lucidità del cuore e che proprio mentre ti consenLedi abbandonarti ali' entusiasmo, ti fa presagire il disincanto. Come sai, era fra i primi e pochissimi lettori dei miei manoscritti e io ne temevo e desideravo il giudizio al pari di quello di Laura, perché, nonostante la loro grande diversità, avevano in comune alcune rare capacità: vedere il nucleo poetico e nel contempo tutte le imperfezioni che lo soffocavano;· immedesimarsi nelle mie visioni e ossessioni, rispettandole e nel contempo rasserenandole, tanto nella sostanza che nella forma; infine riuscire a leggere il testo senza forzarlo a una loro concezione del mondo - e della scrittura. Tutti segni di larghezza e profondità di vedule e di magnanima generosità. Sapevo di Carlo che aveva scritto poesie e che le aveva distrutte. Ogni tanto recitava dei versi, ma non ne diceva il poeta, che - si capiva - era lui. In un periodo in cui· forse con troppa insistenza gli chiedevano le ragioni del suo silenzio, mi regalò la Lettera di Lord Chandos di Hugo von Hofmannsthal, in cui, quasi fosse una sua risposta, lessi: In tali momenti una qualsiasi creatura insignificante, un cane, un topo, un insetto, un melo intristito, una carrareccia che si snoda sulla collina, una pietra muscosa vengono a significare per me assai più dell'amante più bella e generosa nella più felice delle notti. Queste creature mute, talvolta· inanimate si levano verso di me con una tale pienezza, una tale presenza d'amore, che il mio occhio letificato non riesce a scorgere dattorno nulla che si!l morto. ,Mi pare che tutto, tutto quello che c'è, tutto di cui mi sovviene, tutto quanto sfiorano i miei più confusi pensieri, sia qualche cosa. Anche la pesantezza, la strana ottusità del mio cervello mi appare come un qualche cosa. Sento dentro di me e attorno a me una solleticante infinita rispondenza, e tia gli elementi che si contrappongono nel gioco non v'è alcuno in cui non sarei in condizione

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