Linea d'ombra - anno VIII - n 45 - gennaio 1990

ILCONTESTO In questo tipo di movimenti non c'è ovviamente spazio per l'autonomia delle forze speciali: la loro indipendenza è esigua, e queste esperienze piuttosto che potenziare l'aggregazione degli interessi e l'azione collettiva tendono a deprimerne le potenzialità .. Per altro verso la specializzazione della classe politica in funzioni di mediazione con il centro e di organizzazione del consenso o ·del conflitto va a scapito della specializzazione decisionale. Da qui una particolare lentezza e inefficienza dei processi decisionali, che non va certo in direzione di un rafforzamento della fiducia negli apparati dello Stato e della politica locale'. A questo proposito qualche parola conclusiva va spesa sul problema della fiducia e dell'esistenza di poteri privati violenti che esercitano un dominio su ampiè zone del territorio meridionale. In una situazione come quella tratteggiata, di non ancora realizzata affermazione dei principi di mercato e di incompiuta penetrazione dell'autorità imparziale èlello Statò, la fiducia socialmente esistente è bassa. Ciò fa sì che i suoi costi siano elevati, come acci}de per tutti i beni· scarsi, E, sul piano della fiducia politica, la sua scarsità significa sostanzialmente che non v'è nessun soggetto in grado di possederne in maniera credibile il monopolio. · Poiché questo soggetto dovrebbe essere lo Stato, la sua assenza dà luogo al sorgere di poteri privati che assolvono al compito di dare fiducia offrendo protezione. Ma questi poteri, in buona sostanza gruppi mafiosi e camorristi, in quanto privati imprenditori, debbono sì garantire protezione effettiva in cambio di una controprestazione monetaria (la tangente o "pizzo"), ma debbono anche far permanere sul mercato un'elevata domanda di protezione. Devono quindi proteggere dalle proprie stesse minac- . ce di usare la violenza. È evidente che questo tipo di protezione non determina un aumento della fiducia, ma una sua diminuzione. Laddove i gruppi della criminalità organizzata detengono un dominio sul territorio e sugli affari, il già scarso livello di fiducia tende a diminuire sia · sul piano dei rapporti economici che su quello della politica. E la diminuzione dei~vello di fiducia non favorisce, anzi ostacola le possibilità di aggregazioni degli interessi, la formazione di reti solidaristiche e associative, in altri termini costituisce ostacolo alla crescita e all'affermazione della pratica deil'azione collettiva. Le cose di cui vergognarsi nella storia del Pci MarcelloFlores ·· La discussione aperta da Occhetto sulla necessità di abbandonare ormai alla riflessione storica un concetto-simbolo (il comunismo) considerato ormai inutile perun 'azione politica di trasformazione, ha avuto, come era prevedibile, reazioni molteplici; Molte di queste sono state segnate dalla passione, dal sentimento, dall'emotività, tutte cose che hanno pieno diritto di cittadinanza nel mondo della politica. La giustificazione di tali comportamen~ ti, tuttavia, è stata in genere affidata a una riflessione morale, connotata a sua volta da una precisa convinzione storiografica. Quest'ultima, data per scontata, nasconde in sé le motivazioni razionali e 'logiche di tùtti coloro che si oppongono al mutamento proposto. Val quindi la pena di discuterla brevemente. La riflessione morale è che i comunisti italiani, a differenza dei loro fratelli o fratellastri, dell'est, non hanno nulla di cui vergognarsi, non avendo mai gestito privilegi e poteri ma solo sacrifici e opposizioni. La convinzione che sottende questa riflessione morale è che la storia del PCI non può essere sottoposta a processo come sta avvenendo per i regimi orientali e come potrebbe suggerire od alludere un repentino cambiamento di nome. · Vorrei, in proposito, avanzare tre osservazioni. La prima è che, comunque si guardi al passato, cose di cui vergognarsi ce ne sono parecchie, da qualsiasi momento si voglia passare sotto giudizio la storia del Pci. Cose più gravi e meno gravi, certamente intrecciate e sovrapposte a posizioni passabili o ad azioni altamente meritorie, e che tuttavia non possono essere dimenticate senza cadere nell'infausta teorizzazione degli erroriprovvidenziali con cui Amendola cercava di giustificare assieme il passato staliniano e il presente socialdemocratico che auspicava e favoriva (cornea dire: i due aspetti peggiori è speculari della tradizione dèl movimento operaio). Si potrebbe fare un elenco e aprire, per ogni punto, una discussione puntuale. Ma non è ·questo il momento, e ognuno può trovare gli esempi che più gli aggradano. 6 La seconda osservazione è che il comunismo-al di là del suo innegabile fallimento in tutti i paesi e regimi dove si è presentato come tàle, il che non è poco né casuale - non è un optional o un desiderio. Esso esiste o non esìste m~ll'orizzonte delle trasformazioni possibili e nella coscienza di chi pensa e vuole quelle trasformazioni. Quando il Partito comunista d'Italia si formò, quell'orizzonte esisteva, anchè se probabilmente era già in fase di indebolimento e declino. Pur se la possibilitàdi comunismo venne storicamente meno attorno al 1921-23 (e non è ilcaso di veder qui la compartecipazione dei comunisti alle cause di quel fallimento), . è pur vero che negli anni Venti ed ancora negli anni Trenta il comunismo inteso come ideale possibile o come alternativa credibile a un capitalismo in crisi che faceva nascere dal suo seno i regimi fascisti sembrava esistere malgrado quello che succedeva in Unione Sovietica. Questa situazione si interruppe comunque col patto russo-tedesco e con la guerra. Nel dopoguerra la rinnovata fiducia al Pci e all 'Urss non venne data sulla base dell'attualità del comunismo (se non da chi. voleva importare anche da noi un regime da caserma di tipo sovietico, considerato l'equivalente e la realizzazione del comunismo), ma prevalentemente sull'asse pace-democrazia, che costituì il filo rosso della tradizione post-bellica da Togliatti a Berlinguer. Oggi nessuno pensa che le trasformazioni possibili siano quelle di una società senza classi o senza stato, né quelle di una astratta o impraticabile socializzazione dei mezzi di produzione o di una democrazia diretta resa impossibile, non fosse altro, dallo sviluppo demografico. Chi sostiene che abbandonare il nome comunismo significhi tradire un bagaglio collettivo di esperienze, tradizione, memorie, dimentica che le esperienze non·vanno mai disperse (o meglio, lo vanno sempre, ma è la stessa cosa}, che la memoria resta comunque (come. testimoniano in questi giorni ungheresi e céchi), che la tradizione, a volte, è-necessario lasciarla a chi ha paura del cambiamento e si difende cori l'archeologia e

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