Linea d'ombra - anno VIII - n 45 - gennaio 1990

LEffERA AD ARTURO Fabrizia Ramondino Per ricordare un amico Goffredo Fofi Si fa parte di gruppi, di più gruppi. È la nostra forza - ciò che più di ogni altra cosa ci aiuta a sopravvivere: alle avversità, al panico della . nostra condizione e solitudine, alla crisi (omorte) di speranze. F.d è anche l'appartenenza a uno o più gruppi - ma, in genere, a uno in particolare -ciò che ci permette di conoscerci e- "politicamente", pubblicamente - è il super-io che ci scegliamo da noi, quello che a ben vedere ci guida di più. Non ci sono sociologi o psicologi in grado di razionalizzare decentemente perché un gruppo resiste e un altro muore, né come avvengono le aggregazioni, le cooptazioni e le diserzioni, le accettazioni e i rifiuti. Si può farlo sui gruppi di bambini, di adolescenti; non si può farlo sui gruppi non casuali, non "obbligati" dalle biografie che ci sono state predisposte dal caso e dalle leggi di un assetto soèiale tutto sommato assai rigido: quelle leggi che permettono a chi ha l'occhio lungo e un po' di conoscenza del paese e della sua gente, di predire oggi il futuro alla stragrande maggioranza delle persone più giovani che è possibile conoscere o osservare da lontano, con poche varianti da mettere in conto. I gruppi "non casuali" sono quelli che faticosamente si scelgono da sé, che nascono e crescono ai margini delle leggi e perfino delle classi. E i più solidi tra loro sono quelli nei quali-perlomeno in una certa fase iniziale -si è "fatto qualcosa insieme". Di solito, non vi si teorizza mai la ragione e la qualità del gruppo, le si vive sulla base di una fiducia; e se essa cade, il singolo che la rompe se ne va o è, lentamente o drasticamente, messo da parte, e il gruppo può rafforzarsi o disperdersi. (La letteratura era piena un tempo di storie di gruppi "per scelta", tra le quali un romanzo mi colpì in modo particolare, benché troppo "aristocratico", e mi piacerebbe rileggere, Le pleiadi di Gobineau, influenzato da Le affinità elellive e certo meno bello e profondo di quello, ma forse più aperto.) I più resistenti dei gruppi di cui ho fatto parte, ormai numerosi emolto vari, erano legati infine da una o due caratteristiche comuni oggi solo a coloro che ancora cercano di fare o fanno, e assieme alla necessità del gruppo credono allo "essere per gli altri": la prima, l'incontro tra azione e riflessione, o il bisogno di quest'incontro, con perno ora sull'una e ora sull'altra; la seconda, che ne deriva o ne dovrebbe quasi necessariamente derivare, la varietà interna al gruppo in più possibili direzioni, ma soprattutto in quella dell'appartenenza a più strati sociali o classi. Il gruppo di cui qui vorrei parlare, per pormi e porre delle domande e per ricordare un amico scomparso che di esso faceva parte, aveva altre secondarie caratteristiche: di essere assolutamente informale, prevalentemente napoletano (i cui membri di altrove hanno comunque vissuto a Napoli e si considerano "napoletani" per vocazione) e infine composto di persone individualmente, diciamo, nevrotiche - ma di quel tipo di nevrosi oggi raro, che non ama uccidere gli altri o fagocitarli o chiuderli, ma al contrario ama cercare i simili nella più ampia diversità, per una naturale insoddisfazione della propria chiusura edi quella dell'ambiente. Esiste insomma - ne sono convinto - una nevrosi (e chissà, forse anche una psicosi) da meschinità, quella dominante, quella di chi crede gli sia dovuto più di quanto non ha e che non è molto o punto interessato al dare, ed esiste invece la nevrosi di chi parte dalla coscienza della propria meschinità e cerca di superarla nello scambio sé-altri, ma parte altrettanto dalla coscienza dolorosa o rabbiosa della miseria conformista dei più, del vivere delle maggioranze secondo norme da pecore matte. Rifugio e forza per buttarsi fuori-il gruppo ha allora la sua funzione più "democratica" e libera nel non tener conto dei conformismi attornianti, nella mossa ondulazione degli incontri. Questo gli dà forza, e allora esso resiste, informalmente, e ogriuno dei suoi membri - tramite con altri gruppi di altre ZOf!eo bisogni - vi ritorna come a uno spazio eminementemente dinamico, rigenerante. Non sto pensando in questo momento soltanto al gruppo particolare di cui faceva parte Carlo Cirillo, l'amico napoletano che si è tolto la vita qualche mese fa, padre dcli' Arturo cui si rivolge Fabrizia Ramondino nella lettera che segue. Ma mi è sembrato che il modo migliore a mia disposizione per ricordarlo fosse quello di ragionare sul gruppo di cui entrambi ci si considerava parte, che è certo uno dei più bizzarri di cuimi sia sentito e mi senta parte, e che ha resistito molto bene alla stupidità degli anni Ottanta. Esso ha una storia non dissimile da quella di altri gruppi che conosco (e di cui non faccio parte), ma forse un poco più varia, più stramba. Si è formato e si è espanso attraverso esperienze sociali di tipo "populista": dal!' ARN di cui parla Fabrizia, al lavoro di quartiere o con i bambini fatto da persone che si richiamavano a Lotta continua, al Coordinamento campano, a gruppi di origine cattolica- gente molto diversa per cultura e provenienza socio-economica - o che anche hanno fatto esperienza politica diretta, ma che riconoscevano nel gruppo il luogo di un "a parte" dotato di una rarissima mancanza di settarismo e di preclusione ideologica, forse perché agiva da gruppo per gli scontenti o gli scombinati dei "Gruppi". Con la "crisi della politica" molti suoi membri sì sonodiramati in varie attività o sono tornati ad attività precedentemente considerate solo "parziali". Forse però l'originalità maggiore questo gruppo l'ha avuta da una presenza (successiva) molto forte e a suo modo c~ismatica, indirettamente "autoritaria" - quella di Elsa Morante. Fui io a riportare Elsa a Napoli, al nostro centro di lavoro coi bambini di Montesantoe all'incontro con amici, alcuni dei quali finirono per diventare più amici suoi che miei, come per esempio Tonino, il giovane sottoproletariodel rione Traiano che è stato tra i suoi eredi, che era probabilmente il più povero tra tutti i suoi amici. Ecome Carlo, fedele fra i fedeli, nei momenti bui del declino fisico di Elsa. Il gruppo sarebbe esistito, avrebbe resistito anche senza Elsa; la forza di un gruppo va oltre i suoi singoli membri, e del gruppo hanno fattoe fanno parte persone che conobbero Elsa pochissimo, e non fannoparte persone che conobbero Elsa molto bene. Il sesto senso di Elsa sulle persone (che la faceva essere a volte anche molto crudele, perfino ingiusta poiché non calcolava il peso che le sue affermazioni- lucidissime -potevano avere sul singolo) servì però a dare a una parte almeno del gruppo una sua inconscia, non teorizzata, non rivendicata, funzione di costellazione in movimento aperta su altre costellazioni amicali,e solido ognuno nel suo definirsi individuale. L'autorità del gruppo, onel gruppo, di alcuni personaggi volta a volta centrali era sempre indiretta. Come ogni gruppo, anche questo aveva e avrà ancora i suoi riti: legite domenicali con frotte di bambini nostri e altrui a Procida (o a comprar vestiti usati a Resina); gli spettacoli di Carlo Cecchi e le presentazionidi libri di amici ma anche, un tempo, la sceneggiata al teatro 2000 o i recital di Angela Luce, di Giulietta Sacco, dell'insuperabile maestro Sergio Bruni; la festa dei Gigli a Nola, la più bella d'Italia, come appuntamento parziale (ci va ogni anno chi può, ma qualcuno c'è sempre); i pranziin qualche sperduta trattoria campestre dell'area vesuviana (edera Carloa conoscere i posti in ragione del suo mestiere di archivista statale vagante, di ordinatore di antiche biblioteche locali); certe celebrazioni di vecchi "nostri"; la lettura di dattiloscritti che passano di mano inmano, comeper esempio le traduzioni in dialetto dai grandi poeti francesi fatte da SasàDi Natale ... E le accanite e ·accanitissime discussioni su libri e spettacoliché tutti si è sempre lettori e spettatori pieni di pedagogica pazienzao impazienza verso chi ha o non ha apprezzato questo o quello, peròcon la disponibilità a farsi convincere, almeno parzialmente, da una difesao da un attacco a oltranza a un libro o a uno spettacolo. Andrebbero anche ricordati i momenti gravi, i momenti difficiliche hanno unito il gruppo: per esempio i giorni del colera, o i tempi neridel 77

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