Linea d'ombra - anno VIII - n 45 - gennaio 1990

mansi e soddisfatti. Ma parlavano e inveivano i giornali dell'opposizione monarchica e reazionaria. Questo è un governo o un club di giocatori di poker? Ho sentito crescere la delusione numero uno, che debitamente corretta si potesse ripetere a Roma l'esperienza che nel Nord, nonostante tutti gli attriti, aveva permesso la vittoria. Mi ero ingannato ritenendo che grandi obiettivi C9me la Repubblica e la Costituzione potessero legare e indurre a concentrare gli sforzi non meno che una guerra di liberazione. La seconda delusione mi venne dalla Resistenza. Già in due missioni compiute a Roma e nel Sud nel 1944 e '45 avevamo constatato con disappunto quanto fosse grande la disinformazione sulla lotta oltre la linea gotica e sul suo costo. A Napoli era completa anche l'indifferenza. Ora, nel luglio del 1945, non ero così ingenuo - come sostengono caritatevolmente in coro tutti i commentatori della mia defenestrazione dal governo -da meravigliarmi dell' indifferenza dell'eterna città per la lotta partigiana, della cauta ostilità della burocrazia ministeriale, della puzza di abitudini e di rimpianti fascisti affiorante in tutti gli angoli. Mi preoccupava un e.ertodivario di fondo che rilevavo con la classe che faceva politica e guidava i partili. Faccio eccezione naturalmente per i compagni portati a Roma dal vento del Nord: Il primo segno l'avevo avvertito negli ultimi giorni della liberazione quando. Longo era stato ritirato dal comando del CVL e assegnato a compiti di direzione del partito. Dunque la lotta di liberazione è passata agli atti? Certo dovevo capire anch'io che era la lotta politica che ora prendeva il primo interesse. Era il diverso angolo visuale col quale considerava la Resistenza e la guerra partigiana chi l'aveva vissuta e chi la conosceva.solo dai racconti altrui. Ben pochi dei componenti dì quel governo l'avevano sentila come cosa loro. De Gasperi si era informato con attenzione, quasi con scrupolo. Ma c'erano dentro in prima linea i comunisti, amici di Stalin e quindi nemici degli alleati. Posizioni dunque da non aggredire, ma da accantonare. lo non potevo far capire alla gente fredda quanto valessé la purezza del sacrificio volontario dhanti giovani, e dei più bravi, éome non dovesse essere ignorato e passato anch'esso agli atti il martirio delle popolazioni. Io sono un sentimentale e i sentimenti non si travasano. Ma vi era un'altra cosa che dovevo volere si capisse. Un popolo che Disegno di Co rio levi. ~.".IJ ·. •·' ';:- - ◄ SAGGI/PARRI senza ordini, senza capi, fa la scelta d'insorgere, organizza una rete nazionale di comitati per la lotta politica, crea un'armata volontaria di combattenti che perde nella lotta un quarto dei suoi effettivi, preceden: do gli eserciti alleati nella liberaziorie delle città, mantenendo sino allo scioglimento il carattere di insurrezione popolare e l'unità di forza nazionale: questa nella storia del nostro paese è una cosa grande. E ne è il momento più alto poiché il paese vivo ha scelto di riscattare col sangue dei suoi ragazzi la vergogna della disfatta fascista. Credevo dovesse essere questo lo spirito col quale si doveva esigere dagli alleati una pace da combattenti, non da inti. Credevo che le semplici parole di libertà e giustizia, accettate come linguaggio comune da tutta la Resistenza, dovessero aprire la Costituente. Era un discorso che i politici romani preferivano scartare. . Una terza elusione si aggiungeva a questa malinconia. Mi accorgevo solo ora quanto danno veniva dalla condizione di movimento minoritario della Resistenza: minoritario socialmente e territorialmente. Una parte del paese non la capiva, le classi possidenti, specialmente gli agrari, la temevano, a Sud e a Nord. I contadini del mezzogiorno non avevano altro modo di aver voce e peso che bruciar municipi ed invader latifondi. E non avevamo ben capito che la struttura burocratica e statale del fascismo era stata appena scalfita dall'epurazione. I giudici docili ed i professori zelanti erano ancora al loro posto. E non avevamo ben capito che, ripreso fiato, questa Italia che si era trovata così bene col fez e con l 'impei;o avrebbe cercato di riprendere il posto e il potere, con la stessa sagomatura mentale e morale che venti anni di fascismo le avevano dato. La misericordia democristiana ha grandi braccia, ed è anche naturale che numerosi gruppi sociali vi.trovassero accoglienza e la loro espressione politica naturale. È altresì naturale che esercitassero il loro peso sulla politica così rapidamente pluralista del partito. Si stava producendo un vasto e silenzioso riflusso sociale che già si colorava politicamente. Prima di tutto, blocco dei rossi. E poi sotto sotto una certa diffusa aspirazione, portata soprattutto dallo scirocco ,delSud, di liberarsi dei liberatori. Dava fastidio l'agitarsi sul coperchio del bailamme di quei mesi di confusione dei catecumeni e dei neoconvertiti alle bellezze della democrazia. L'attività legislativa e amministrativa si faceva difficile e faticosa. Mi dava pensiero il ritardo della convocazione della Consulta, obiettivo fondamentale amio giudizio di un governo che non avendo camere elettive cui rispondere era doveroso si provvedesse di un autorevole e rappresentativo organo di dibattito quasi in sede vicaria. Vedevo in-. grossarsi in prospettiva i problemi del referendum istituzionale, della convocazione della Costituente e del sistema elettorale. Comunisti, socialisti, democristiani e liberali puntavano, ogni partito, su obiettivi propri e diversi. E io, lì in mezzo, che cosa ci rimanevo a fare con le mie idee troppo semplici e gli ideali troppo seri? Ruini, che si era assunto con i colleghi di governo l'incarico d'insegnarmi l' ABC della politica, come un bonario Nestore, non gradiva che mi dichiarassi soddisfatto della mia ignoranza. In realtà ero uno spaesato. Uno spaesato inquieto. Perché dobbiamo cedere? La lotta di liberazione ha lasciato al Nord e in buona parte del centro-Italia un' ampia rete di organismi di dialogo e di dibattito, una rete di rapporti politici. Restano pur sempre, come punti di riferimento, quasi tutti i prefetti politici della Resistenza. Perché non utilizzare questa trama, riordinarla, ravvivarla ed estenderla? Se sentiamo nell'aria una certa volontà di riscossa conservatrice, reazionaria, monarchica, clericale, anzi clerico-fascista, perché non preparare una barriera di contenimento e di controffensiva? Non diversi erano i pensieri a Milano e nei compagni dei CLN del Nord. Si strinsero accordi, si fece qualche piano. Ma un primo segno del tempo . nuovo lo avevamo dalle esitazioni di compagni democristiani e dal ritiro dei liberali. Bastò questo segno di ripresa ciellenistica per scatenare l'attacco al governo, ma particolarmente al suo presidente. Conducevano con molta grinta i liberali, secondari da ali marcianti e strepitanti di monarchici e di agrari. Non mancavano nella politica quotidiana del governo motivi di polemica, per esempio, contro gli interventi del ministro della Giustizia Togliatti, del ministro dell'Agricoltura Gullo, del ministro dell'Interno Parri a proposito di disordini locali, presto 67

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