Linea d'ombra - anno VIII - n 45 - gennaio 1990

SAGGI/ ARMANI se ne era ufficialmente attribuita la responsabilità alle forze reazionarie. La fine delle speranze di rinnovamento effettivo della vita italiana che Levi collega alla caduta di Parri si unisce, ne L'Orologio, al disgusto per il riemergere del vecchio stato, al senso di tragedia che gli deriva dalla constatazione del fallimento dei programmi dell'antifascismo e della Resistenza. Ciò che più lo offende - e che pochi denunciano con l'incisività di Levi - è la generale insensibilità manifestata, sia da destra che da sinistra, al richiamo di Parri, e il fatto che i partiti di sinistra non abbiano posto, al riguardo, questioni di principio, ma si siano dedicati alla collaborazione con le forze moderate o più apertamente reazionarie compiendo transazioni inaccettabili. · La ricapitolazione delle vicende del governo Parri, cui rimanda l'editore Einaudi invitando alla lettura di alcuni testi storici e memorialistici citati nella nota introduttiva alla ristampa de L'Orologio, consente di acc~rtare che Levi era nel giusto quando ne scriveva. Costituito all'indomani della liberazione del nord (21 giugno 1945), il governo Parri restò in carica soltanto cinque mesi, ma non fu una semplice parentesi fra il precedente governo Bonomi e il successivo governo De Gasperi. Imposto dalle forze resistenziali coordinate dal Comitato di liberazione nazionale per l'Alta Italia, esso fu l'espressione istituzionale della presa del potere da parte delle organizzazioni combattenti antifasciste (del cui comitato militare Parri era stato il coordinatore dal dicembre 1943). Il dramma di Parri fu che questa presa di potere si realizzò soltanto formalmente, come soluzione transitoria consentita dai partiti di massa in vista della successiva adozione di diverse forme di governo, fondate sulla loro stretta collaborazione e con la presidenza del leader cattolico (secondo una linea di condotta cui Togliatti pensava fin dal 1944, e che richiamerà al riaprirsi dei giuochi politici, l'l l dicembre 1945, indicando nell'accordo dei comunisti con la democrazia cristiana "l'asse della stabilità governativa in regime repubblicano"). Quando Parri fu costretto a dimettersi non aveva realizzato se non in modestissima parte il suo programma, per i limitati spazi di movimento di cui poteva disporre e per la necessità di far fronte a problemi indilazionabili di amministrazione corrente manifestatisi subito dopo la costituzione del governo. E, quando cadde, poté sembrare che fosse sua la responsabilità degli scarsi risultati e della fine traumatica della sua esperienza. Il compito più importante che Parri si proponeva assumendo la presidenza del consiglio era di assicurare non tanto una, pur necessaria, mediazione fra i partiti del Comitato di liberazione nazionale, quanto la rifondazione democratica del paese. L'Italia era rimasta per alcuni anni divisa in due, con una parte centromeridionale toccata marginalmente dalla lotta armata di liberazione, e un 'altra, quella settentrionale, che ne era stata investita direttamente e in modo generalizzato. Era necessario provvedere con rapidità a colmare il distacco fra le diverse esperienze, le diverse sensibilità, il diverso tono morale delle due Italie, per evitare che la peggiore sopraffacesse la migliore, e per estendere a tutto il paese un programma di rinnovamento delle istituzioni e dei modi di governo, capace di far superare i guasti del fascismo. Parri si accinse a questo compito facendosi garante dell'enorme impegno che esso richiedeva più col suo prestigio personale di 64 antifascista e di combattente che per il sostegno del Partito d' azione, al quale apparteneva, le cui forze non si erano ancora elettoralmente contate ma che già appariva Partito di élite, senza vasti consensi. Quando il "vento del nord" esaurì la sua spinta, e i quadri politici, economici,. burocratici e militari passati indenni dal prefascismo al fascismo mostrarono di essere sopravvissuti anche alla fine del regime, la vecchia Italia si dispose a riprendere il sopravvento, e la crisi del governo Parri fu il segno di una sconfitta che investiva, col suo presidente, tutta una linea di rinnovamento radicale che, in seguito, non sarebbe stata più realizzabile. La paralisi del governo Parri, e la sua rapida sostituzione, furono la prova che, al di là delle intese formali che ne avevano consentito la costituzione, e in elusione dei programmi che nominalmente gli si affidavano, vi era un accordo più saldo e ben nascosto fra le forze partitiche maggiori per riprendere il controllo della situazione, appena consentito alla Resistenza armata di giustificare la sua vittoria con una transitoria assunzione del potere. Le deci~oni più importanti che il governo Parri avrebbe dovuto prendere (la convocazione dei comizi elettorali e l'avvio dei lavori della costituente, con la precisazione dei suoi compiti anche legislativi) furono rinviate a tempi successivi, e a Parri fu lasciata soltanto la gestione ordinaria, nella quale l'empito riformatore era destinato ad esaurirsi senza conseguenze di rilievo. Con la sconfitta del governo Parri si ebbe la sconfitta della Resistenza, nei suoi programmi politici destinati ad essere realizFerruccio Porri.

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