Linea d'ombra - anno VIII - n 45 - gennaio 1990

TRE LEffERE A LINUCCIA SABA Carlo Levi a cura di Daniela Ferraro e Monica Ratti Queste lettere provenienti dal carteggio Linuccia Saba - Carlo Levi, conservate nel Fondo Manoscritti di Autori Contemporanei dell 'Università di Pavia, costituiscono una valida testimonianza non solo del lavoro di scrittura, ma anche dei dubbi dell'autore e dell'atteggiamento della critica nei confronti deL' Orologio, che era stato da poco pubblicato (Einaudi, 1950). Il romanzo, ambientato nell'Italia del • 45, ripercorre, attraverso una narrazione in prima persona, le vicende vissute da Levi quando divenne direttore de "L'Italia libera". Su una trama semplicissima (l'arrivo a Roma da Torino, il viaggio inaspettato per raggiungere a Napoli lo zio malato, la morte di questi e il successivo ritorno a Roma), si innesta un proliferare incalzante di piccoli episodi, incontri, ritratti (personaggi storici o gente comune delle borgate romane e dei bassi napoletani), riflessioni di vari0,11,rgomento,ricordi. Il tutto nel breve arco di tempo di tre giorni. Tema della lettera II è la parte finale del romanzo, sulla quale Levi chiede consiglio a Linuccia, essendo in dubbio su due possibili varianti. Nella redazione definitiva opterà per la prima, "più classica", e che gli permette di concludere circolarmente, attribuendo al padre il dono del primo orologio, la cui rottura scatena la vicenda, e allo zio l'eredità del s~ondo, che invece ne segna la fine. Ed è il destino dell'orologio come oggetto, simbolo del tempo reale, la chiave di lettura di tutto il romanzo. L'infrangersi del quadrante introduce il passaggio dal tempomatematico al tempo individuale, psicologico, quello della coscienza, della memoria, che non procede in senso lineare, ma si frammenta nel ricordo di eventi vissuti e di personaggi incontrati. Non a caso Levi ripiega, a differenza di quanto espresso nella lettera, sulla figura paterna, autoritaria, quale donatrice dell'orologio che, regalo di laurea, rappresenta per il figlio il Carlo Levi nel Sud nel ·1948. A destra: Linuccia e Umberto Saba. riconoscimento della raggiunta autonomia e che, pian piano, strappatolo alladimensionesenza tempo dell'infanzia, lo costringerà tirannicamente al ritmo incessante del reale; solo lo spezzarsi delle lancette permetterà alprotagonista di perdersi nel suo viaggio verso Roma e poi verso Napoli, cioè in un percorso di fatto memoriale. Perfettamente coerente a tale motivazione strutturale e semantica e vero spunto innovativo, la tipica frammentazione del romanzo in ritratti, episodi, disquisizioni di vario argomento, non incontrò il favore della critica. Secondo molti, la descrizione minuziosa in cui spesso l'opera si perde, la riflessione prolungata, l'elencazione dettagliata appesantivano il romanzo, rendendone ardua e stucchevole la lettura. Anche Levi, del resto, si era preoccupato di questo possibile limite deL' Orologio (lettera I). Il suo timore, quindi, trovò effettivamente conferma nelle accuse di farraginosità, che vennero mosse al romanzo, accanto a quelle di descrittivismo esasperato, simbolismo ingenuo, dannunzianesimo; e non solo: la quasi totalità dei critici pose l'accento sulla scarsa vitalità della materia trattata, che appariva costruita all'eccesso; per esempio Cecèhi parlò di un'esagerata scopertura del "canovaccio intellettualistico" e individuò tendenze baroccheggianti nella rappresentazione della realtà descritta: "gigantismo barocco e macabro" (1). Anche il giudizio di Piccioni su "Il Popolo", pur sottolineando il valore letterario delle felici descrizioni pittoriche e l'acuta osservazione della Roma del dopoguerra, non fu affatto "favorevolissimo", come dal carteggio potrebbe apparire. Lo studioso, infatti, mise in rilievo la mancanza di coesione strutturale della materia e criticò la superficialità dell'analisi storica, collegandosi con tale appunto a un filone critico assai seguito (lettera III) (2). Al di là dell'aspetto puramente letterario, infatti, l'opera di Levi si presentava come romanzo "politico", nato negli anni della crisi che videro il naufragio degli ideali della Resistenza e lo scioglimento dei Comitati di Liberazione Nazionale, di cui aveva fatto parte anche l'autore in Toscana. Quest'analisi amara di un periodo complesso della storia italiana, nel quale Levi forse vide pure lo scacco del suo ideale di autogoverno (la cui realizzazione avrebbe potuto essere demandata ai CLN), si caricò di temi fortemente polemici. Intenzionalmente provocatoria appare senza dubbio la nota in calce al libro, dove l'autore mette in chiaro il carattere puramente immaginario dei personaggi, definisce casuale ogni riferimento a persone e a cose, quindi aggiunge: "Se tuttavia taluno ritenesse di ravvisarsi, per avventura, in questa o in quella delle persone del libro, attribuisca questo fatto al caso, o piuttosto alla capacità di verosimiglianza della fantasia" (3). Non sfugge l'accento polemico di questa precisazione, con61

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==