Linea d'ombra - anno VIII - n 45 - gennaio 1990

CON F R-0 N TI lo squallorescintillantedella realtà. Il ritornodi loria GianniTurchetta Con la ristampa di La scuola di ballo (Sellerio, pp.210, {.20.000) l'editoria italiana fa parziale ammenda dell'oblio quasi totale (se si esclude il recupero della Lezione di anatomia da parte di Claudio Lombardi Editore) in cui ha lasciato cadere da circa un quarto di secolo ArturoLoria, uno degli scrittori più interessanti del folto gruppo che gravitò, fra il 1926 e il 1936, attorno a "Solaria". In realtà le ragioni della dimenticanza di Loria sono varie, a cominciare dalle dimensioni quantitativamente esigue della sua produzione, e dal fatto eh' essa si concentri in buona parte fra l'ultimissimo scorcio degli anni Venti e la prima metà degli anniTrenta: di ricca famiglia ebraica, probabilmente a quell'altezza cronologica egli ebbe da pensare a cose ben più importanti della letteratura. Inoltre, particolare non trascurabile, Loria ha vissuto abbastanza poco (dal 1902 al 1957), e soprattutto non ha fatto a tempo a rilanciare l'immagine di sé con gli strumenti promozionali che l'industria culturale italiana ha reso operativi a cavallo del boom economico. Così che, nonostante il conforto critico di sostenitori del calibro di Cecchi, Giuseppe De Robertis ed Eugenio Montale, ci si è cominciati a dimenticare di lui assai presto, e ormai solo una misera parte della sua pure assai parca produzione è disponibile per chi volesse rileggerlo senza affrontare i disagi delle biblioteche pubbliche. E se La scuola di ballo (che è del 1932) resta probabilmente l'opera più matura di Loria, davvero sarebbe opportuno che qualche editore si prendesse la briga di riproporre integralmente anche quei due gioielli che sono i suoi due precedenti libri di racconti, vale a dire Il cieco e la Bellona (1928) e Fannias Ventosca (1930). Per capire in prima approssimazione che cosa caratterizza la prosa di Loria, bisogna anzitutto ricordare eh•egli fuuno degli scrittori più significativi di quel ritorno alla durata narrativa, alla storia filata, che, dopo le sperimentazioni e le frantumazioni del primo Novecento, si avviò negli anni Vef!tiproprio attorno a "Solaria", e che, passando da un primo, deciso recupero del genere racconto, sfocerà nel decennio successivo in una vera e propria rinascita del romanzo. In altre parole, nonostante la visibile e quasi esibita cura formale, la pagina di Loria è sempre piuttosto lontana dalla famigerata prosa d'arte del ventennio, e questa distanza è determinata dalla costante preoccupazione di costruire un intreccio, subordinando il lavorio stilistico alla messa in atto di una ben definita parabola narrativa. In molti casi anzi Loria ricorre agli espedienti più classici dell'intreccio, dall'agnizione alle tecniche gialli40 stiche della suspence. La cifra caratterizzante di questi intrecci si ricollega però piuttosto alla tradizione del racconto fantastico, ma contaminata con una sorta di picaresco angoscioso, insieme sordido e astratto. Basti pensare al racconto che dà il titolo a Il cieco e la Bellona, in cui la vendetta di un arrotino nei confronti del capocomico che gli aveva assassinato il fratello finisce per condurre a una morte orrenda anche due artisti girovaghi, appunto un cieco e la vecchia ex-ballerina detta "la Bellona", ingiustamente accusati dalla polizia e -bruciati vivi dalla folla inferocita. Molte delle storie di Loria si svolgono in ambientazioni di incerta collocazione temporale, inun un mondo sontuosamente straccione che un po' pare un Ottocento brigantesco e zingaresco, pieno di saltimbanchi e banditi e esseri contesi fra magia e deformità, e un po' sfugge a qualsiasi cronologia plausibile. È abbastanza evidente il bisogno di evasione da una realtà sentita come troppo monotonamente borghese, e la folla di figure socialmente marginali, irriducibili al vivere comune è il terreno in cui lo scrittore mette in gioco metaforicamente, come accade anche a moltissimi altri autori del nostro secolo, la sua tensione verso la libertà. Fuorilegge o esiliati volontari dal consorzio civile, seducenti insieme e laidi, i personaggi di Loria esprimono un insopprimibile desiderio di "altro", e si fanno portatori di una sorta çi elementare utopia soggettiva, che li riscatta dal sospetto di gratuito esotismo. li fascino di questo scrittore sta però anche nella capacità di dare vita, attraverso situazioni estreme ma pur sempre credibili o comunque rappresentate secondo criteri di verosimiglianza, a qualcosa come uno stravolto, allucinato realismo. Il suo universo fascinoso e òrrendo prende corpo in una scrittura caratterizzata da una patina di sobrio espressionismo, ottenuto attraverso deformazioni linguistiche minime, sapientemente dosate e celate in un tessuto sintattico e semantico regolare. Questo realismo sui generis è però, significativamente, privo di intenzioni ideologiche dichiarate: tutto deve esaurirsi senza residui nella concretezza della rappresentazione. Non c'è dunque alcuna polemica esplicita, ma d'altra parte ciò che Loria scrive mette in scena una violenza profonda, intima e non riducibile a un espediente della finzione: una violenza che non si stempera nella fuga dal presente o addirittura dal tempo, anzi ne risulta come ricaricata, proiettata in una dimensione di deforme e insieme rigorosa tragedia, non meno inquietante perché poco determinata rispetto alle misure della nostra quotidianità. Loria è capace di effetti di straordinaria intensità, e gioca le sue carte puntando su un paradossale pathos senza immedesimazione, compresso e quasi raggelato in figurazioni di conturbante precisione. È difficile non pensare alBontempelli della stagione centrale del realismo magico, anche se Loria si distingue per la pressoché esclusiva dedizione al genere del racconto. Egli non è certo, come accade a troppi scrittori dei nostri giorni, uno che compone narrazioni brevi per povertà di ispirazione: la sua dimensione è rigorosamente compresa fra le dieci e le quaranta pagine, ma all'interno di questa misura egli concentra con magistrale sapienza una materia densissima. Si è detto del deciso indirizzo verso il fantastico: è vero però che questo avviene soprattutto nel primo dei tre grandi libri di racconti di Lori a, Il cieco e laBellona, e inparte nel secondo, Fannias Ventosca. Con La scuola di ballo invece egli sembra concludere un movimento di progressivo accostamento alla realtà, che vi si fa terreno di vicende caratterizzate ancora da una spasmodica, angosciosa tensione, ma all'interno di scenari quotidiani, ridistesi come in un'immobilità d'incubo. Anche qui lo scrittore attiva intrecci rigorosi, poi però in genere non scioglie il nodo della storia, che s'incaglia senza offrire la possibilità di una catarsi. Intrappolati in una sorta di prigionia morale, i personaggi sono costretti a subire situazioni esistenziali bloccate, che non sono in grado di risolvere felicemente. Non a caso del resto i portatori potenziali di rotture, di trasgressioni ali' ordine, perdono nella Scuola di ballo le sembianze clamorose di gobbi, prostitute o furfanti per trasformarsi in più borghesi personaggi "fuori di chiave", in inetti e malati (si vada per esempio a leggere Il fratellino) che pagano la loro maggiore consapevolezza con una più drammatica incapacità di trasferire i pensieri in azione. La tensione narrativa tende così in questo libro a restare sospesa, a consumarsi nell'attesa di eventi risolutivi che non si verificheranno, o a raggrumarsi intorno a episodi minimi, che sembrano esaurirla ma di fatto rilanciano subito un'atmosfera sospesa, in cui il problema di partenza si ripresenta poco o nulla modificato. Non a caso molti dei racconti presentano finali ellittici, nei quali il probabile svolgimento futuro viene lasciato implicito: perché troppo ovvio, o irrilevante. È vero anche però che il

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