CONFRONTI della sociologia". Omaggio generoso, perché del tutto immeritato: l'avverbio anodino della frase di Economia e società citata non ha nulla da spartire con il potente strumento concettuale messo ali' opera in Genesi. E - se ci è concesso - omaggio forse un po' fuori luogo, considerando la diffidenza che Weber nutriva nei confronti dell'uso di generalizzazioni nel campo delle scienze sociali, diffidenza espressa a chiare lettere negli Scrilti metodologici. Ma può anche essere che Francesco Alberoni abbia effettiv amente sovrastimatò l'espressione "stato nascente" impiegata da Max Weber. Su questa seconda ipotesi è proprio la filologia che può aiutarci. Occorre innanzitutto notare che l'edizione italiana di Economia e società utilizzata da Francesco Alberoni riporta in corsivo l'espressione in questione: come sottolineature dei. manoscritti, dunque per evidenziare termini ritenuti importanti dagli autori. Ciò non avviene nel caso che stiamo esaminando: l'edizione italiana del 1961 riserva la spaziatura alla suddetta funzione, e impiega il corsivo esclusivamente per i vocaboli in lingua straniera. In effetti, nel passo citato, statu nascenti è ablativo latino, lingua colta cui Weber fa sporadicamente ricorso, come capita a tutti coloro che hanno ricevuto una formazione umanistica. Così nello stesso testo, qualche pagina più oltre, usa l'espressione de facto quando avrebbe potuto impiegare, più semplicemente, tatsoechlich, "di fatto" o "in effetti"; o, qualche pagina prima, scrive optimum mentre avrebbe potuto scriveredas Beste, "la cosa migliore" o "il meglio". Il lettore medio non attribuisce particolare importanza a questo genere di vezzi linguistici. marie e secondarie sopra riportati - che Francesco Alberoni non è affatto un lettore medio: egli ha la peculiarità "inattuale" dello scarso ricorso àlle letture dirette. Niente di più probabile che, poco aduso, di fronte alla pagina weberiana in questione (pagina che, insieme àlla precedente, è sicuramente una fonte primaria) sia stato tratto in inganno dal corsivo, e abbia confuso la simbologia grafica indicante "vocabolo straniero" con quella che denota "termine importante". Naturalmente, è solo un'ipotesi: ma ci sembra interessante, oltre che suffragata sia sul piarto filologico che su quello esegetico. dedica "Al Lettore" che accompagna Genesi: "Genesi è il risultato ultimo, lo sbocco di venticinque anni di ricerca, la sintesi di tutto il mio pensiero" (F. Alberoni, Genesi, cit., p. ?). Interpretando questa frase come pro.- messa di non scrivere più, e conoscendo la severità dell'Autore nei confronti delle inadempienze (si veda, nel quindicesimo capitolo di Genesi, il paragrafo intitolato Razionale è mantenere la promessa, ibid., p. 496), avremo sicuramente I' lndexAlberonianus prima dello scadere del millennio. Questo, anche tenendo conto realisticamente di alcuni tempi tecnici necessari all'Autore per sospendere le numerose collaborazioni a quotidiani e periodici: e abbiamo notato con piacere che la sua rubrica nella rivista "Gioia" porta già da qualche tempo anche la firma di Rosa Giannetta Alberoni, il che prelude evidentemente a un passaggio del testimone. L'impegno, dunque, è serio, e possiamo essere ottimisti. · si sa, il corsivo viene impiegato, in talune edizioni, per rendere le Noi sappiamo però - in base ai dati quantitativi sulle fonti priConcludiamo con un 'ultima informazione sulla ricerca AFA e del CALDO. Come abbiamo anticipato, il completamento dell'opera intrapresa è previsto per il 1996. Va precisato che la possibilità di rispettare questa scadenza riposa interamente sul presupposto che Francesco Alberoni tenga fede all'impegno assunto nella Il quotidianoche Bilenchidiresse. la storia del "NuovoCorriere" OrestePivetta Roi:nano Bilenchi è morto più di un mese fa, un sabato, lo stesso sabato in cui Occhetto riferiva ai veterani di Bologna che si doveva cambiar nome e corso al Pci. Appartato e malato, si è portato via un brano di storia del Pci, delle sinistre, dell'Italia del dialogo e dell'Italia della guerra fredda. B ilenchi da tempo era fuori dalla politica attiva, anche se nel 1973 si era di · nuovo iscritto al Pci. Latesseral'avevarestituita sedici anni prima, nel 1957, al sindaco di Firenze Fabiani. L'episodio di allora e la morte recente resteranno forse leggeri nella storia d'Italia e nella storia di un partito. Una figura può passare senza scandalo, anche dopo traumi e rotture. Bilenchi fu protagonista di un caso comune. Dopo l'Ungheria divenne un dissidente, ma scelse per sé il silenzio, forse perché non si era mai sentito "importante", sicuramente perché non era un uomo d'apparato. Nei ritratti di Amici (recentemente ripubblicati da Rizzoli), quando lascia spazio a se stesso, si presenta piuttosto fresco d'entusiasmo e d'ingenuità. Vantava, e lo si legge, una intelligenza aperta, tollerante, perniente dogmatica (risultato di un travaglio intimo, dal "fascismo di sinistra" al Pci attraverso la Resistenza), una intelligenza che lo aveva condotto trent'anni fa a una posizione lontana dalle "chiese". Il teorema di Bilenchi (dal quale si potrebbe dedurre per contrapposizione tanta parte della cultura politica di quei tempi) si ripercorre attraverso le pagine de "Il Nuovo Corriere", il quotidiano che lo scrittore diresse per nove anni, al quale gli Editori Riuniti hanno dedicato 38 una antologia (Autobiografia di un giornale. Il Nuovo Corriere di Firenze /947-1956, pagg. 330, lire 30.000), scelta di brani ai quali si accompagnano alcuni documenti, alcuni scritti critici e testimonianze di lavoro (di Fabrizio Bagatti, Bruno Schacherl, Lanfranco Caretti, Enzo Forcella), desunti peraltro da un recente convegno. L •antologia si apre con un scritto di Bilenchi. I curatori - Fabrizio Bagatti, Ottavio Cecchi e Giorgio van Straten-hanno avuto il merito di riproporre qualcosa ch'era ormai sparito, quasi sottratto alla nostra memoria, ma si sono dovuti imporre scelte molto limitatrici. Per esempio poco documentato risulta ciò che fu il giornale nella produzione quotidiana di informazione, nel suo intreccio tra cronaca, commento, servizio, nei procedimenti e nella macchina editoriale, persino nel suo incontro con il pubblico. Schacherl e Forcella, nelle loro testimonianze di cronisti, riescono ad aprirci qualche varco nella redazione del "Nuovo Corriere", tra le sue pagine e i suoi inviati (con accenti davvero chiarificatori, per esempio, per quanto riguarda il ruolo, cui fa riferimento Schacherl, di Umberto Morra, notista politico romano, poi affiancato da Forcella, liberale crociano, attento soprattutto a una "cronaca" poco istituzionalizzata, e quindi imbalsamata). Ma è forse poco. Lo spazio maggiore tocca alle pagine e alle iniziative "alte" del giornale, quando si tratta di letteratura, di critica letteraria, di dibattito ideale, dove si documenta una qualità di contributi che si possono esemplificare nei nomi e negli scritti di Gatto, Bernari, Tobino, Ungaretti, Cassola, Bontempelli, Bigongiari, Cases, Bo, Devoto, Caretti, Rosai, ottime prove della culturad •allora.Ma il "Nuovo .Corriere" era prima ancora giornale politico, giornale del Pci, come si direbbe ora, "fiancheggiatore", secondo una strategia di ripartizione delle varie testate che s'era decisa alla fine della guerra, come racconta Bilenchi: "Fu fatto un piano. La "Nazione del Popolo" doveva passare ai democristiani e ai liberali, che avrebbero tenuto la testata per pochi giorni cambiandola poi in "Giornale del Mattino" ... Le sinistre ... avrebbero ottenuto il "Corriere di Firenze" ... Nel timore che gli alleati sopprimessero il "Corriere di Firenze0 per non lasciarlo alle sinistre, la sera del giorno stabilito per l'inizio delle pubblicazioni, io, che avevo ricevuto l'incarico di redattore capo, insieme a un proto della tipografia della "Nazione" di nome Fanfani, socialdemocratico, cambiai il titolo del giornale in quello di "Il Nuovo Corriere"...". A decidere che Bilenchi diventasse direttore fu lo stesso Togliatti, come gli riferì Felice Platone, uomo d'organizzazione del Pci. Bilenchi rispose titubante: sì, poteva, il mestiere l'aveva imparato alla "Nazione", che, per virtù del suo padrone, era un'ottima scuola di giornalisti ... "e io, dal passare la notizia a impaginare, so far tutto". Ma un dubbio l'aveva. E aveva ragione, perché Togliatti l'aveva rimproverato all'epoca di "Società", la rivista che aveva fondato, perché non era di stretta osservanza marxista. "Il Nuovo Corriere" l'avrebbe voluto fare con le s~e idee: "lo sono per il colloquio con i cattolici, per l'unità sindacale, per l 'unione delle sinistre, di tutte le sinistre di tutti i partiti, non credo alla dittatura del proletariato che porta per forza alla dittatura della polizia politica ..." All'impegno, divenuto direttore, Bilenchi tenne fede: "Per nove anni mi battei per la
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