Linea d'ombra - anno VIII - n 45 - gennaio 1990

... dèll'Io, in termini passionali? Da una riflessione filosofico-razionalistica sul linguaggio. Già il senso com\Dle fa tremare chiunque pensi di poter costruire la propria esistenza in termini "passionali". La scelta della Bachmann, laricercaostinatadi fondare il suo bisogno umanissimo di assoluto in termin/razionali la tiene al riparo da ogni mistica a buon mercato del , s~timento e dell'interiorità. Ma prima è bene ncordaredove tutto ciò punti. Nel saggio radiofonico sul romanzo L'Uomo senza qualilà di Musil, cerca di riformulare l'utopia dell' "altro stato" con le considerazioni del suo stesso autore. Di Musil, oltre a una grande ammirazione, condivide i tratti salienti del suo orientamento "ideologico": il rifiuto dell'irrazionalismo, il tentativo di ricomporre il razionale e il sentimentale, l'esistenza intesa come esperimento, la coincidenza tra lo-stato mistico e il sentimentale. Ma ecco I'ultima prospettiva dello scrittore: "Musil," dice la Bachmann, "sa che questa utopia (l'altro stato, la pura contemplazione) è condannata al fallimento giacché [Musi I]: Fuggire il mondo non ha senso. Come risulta già dal fatto che ci si pone Dio come scopo, qualcosa di irreale e irraggiungibile.( ... ) Per una vita nella società questa utopia deve essere sostituita dalla utopia della situazione sociale data. Musil la definisce anche l'utopia del carattere induttivo". Questa ''nuova utopia sociale", una delle battaglie della Bachmann, viene anch'essa espulsa, in quanto utopia, dalla nostra quotidianità storica: è I 'unica formulazione concreta di ogni possibile svolta etica, il corrispettivo sociale di una soggettività ricomposta. Ma non è, nei suoi termini essenziali, una battaglia J>?litica? È proprio questo il secondo messaggio della Bachmann: ogni ricomposizione del soggetto tende, per sua natura, a una svolta praticabile, totale, del mondo. Più o meno, ciò che si pensa in molti, forse in altri termini ma nella stessa sostanza. L'arco a cui teruie'una· estremasoggettivizzazione dell'esistenza, come in Bemhard, è una risposta politica: Piazza degli eroi, l'ultimo dramma dello scrittore, è una requisitoria, un'invettiva come I 'ha definita Moravia, contro questa Austria di oggi per un'altra Austria. E veniamo alle riflessioni filosofiche sul linguaggio. Perché l'utopia si esprime con la parola? L'unica risposta ragionevole~: perché tutto si esprime con la parola. L'importante è il come, ancora una volta. Il discorso centrale di Agamben sulla "claritas", su una chiarezza mediana o cristallina che sia già al di là dell 'indicibilità dell'utopia non prende in considerazione il fatto che la "chiarezza" è pur sempre una questione di stile, è un come. Che poi il linguaggio non riesca a esprimere l'assoluto, arJZisia proprio il luogo della lacerazione, della pena, è cosa fuor di dubbio. Ma appartiene al senso comune, visto il concetto di babele ling~isti_ca. ~ però il linguaggio poetico, sta propno ha dimostrare la possibilità, con l'astuzia dello stile, di aggirare l'ostacolo: con la musicalità. B~ta confrontare le date degli esempi riportati da Agamben per accorgersi dell'errore. Il verso che lui traduce "Non una parola, o parole" preso a modello dalla claritas bachmannianaèdel 1961.Puredell961 èilracconto Il trentesimo anno che si concludecon la frase: "Non ci sarà nuovo mondo senza nuovo linguaggio", quindi un appelloaunalingu~ diversa, un come. E nel 1960, un anno prima, la - Bachmann diceva alle suelezionidi Francoforte che i frammenti in nostropossessodi lingua poetica sono "spezzoni di speranzarealizzata di una lingua totale, espressionepiena per I'uomo in trasformazione e per ilmondo in trasformazione." Un cammino da percorrere, dove l'utopia è di là da venire, ma intanto si scrive. Se poi si va per il sottile, l'errore_diAgam~n diventa un mancamento o una inaccettabile forzatura: laBachmann,nellaJiricaA voiparole non dice come vorrebbe il filosofo, "Non una parola.'o parole" ma "Non una parola di morte, o parole." Cioè un ennesimo ·c~, seppure al negativo: non di morte,.ch~,n~ll ideologia vissuta della Bachmann nch1ama qualcosa di molto vasto e preciso: l'am_ore. La spiegazione dell'incomprensibile traduzionedel filosofo è in nota. Andrebbe lettaanchequella. Maallora inchesensolaBachmannfucosì · affascinata aa°llafrase diWittgenstein"I confini del mio linguaggio significanoi confini del mio mondo'"? Lo ripeté anchenel 19?1, come si legge in In cerca difrasi vere, pur nfiutan~o un livello puramente filosoficodella sua scnttura. L'argomento è ampio, e può solo_ess~re accennato. La filosÒfia del Tractatus d1W1ttgenstein, da cui è ripresa la citazione;delimita rigorosamente l'esistenza del "mistico": i confini tra ciò che è reale, quindi dicibile col linguaggio della scienza e dellalogica(ilmondo del fattuale) e ciò che reale non è, dal qual_ela scienza e la logica devono ritirarsi.Un desiderio, un sentimento, un 'utopia non J>?sson? (ancora) essere scientificamente m15urat1. Accomunare in un campo tantovasto-tuttociò che può accadere nel "mistico" può ~em?rare confusione, ma è la massima formad1razionalità al confine col non-razionale. È questo uno dei punti di forza del modello. Difattiv_u?ldir~ sottrarre il "mistico" al dominiometaf1s1co:d1 una fede di una filosofia, anche di una letteratura. La ~etafisica della soggettività,un'ipoteca romantica, un angolino mollemente sentimentale in cui ritirarsi dal mondo, un neoclassicismo: tutto ciò non farebbe che, con 1a scrittura ostacolare alla scrittura l'esperienza. .Ma l'es~ienza è un vincolo, com~leidisse in due versi: "questa/rase nonlascrivenessuno! che non la sottoscrive". Come si vede,laBachmann agì implacabilmente "anche co~tro se stessa", come ha affermato laWolf. Enpropone quello stare al limite tra il reale e l_'immaginario tanto caro alla tradizione austnaca, quel percorrere simili confini "perché nonsonosolo confini ma anche falle di ciò che simostra,che è esperibile misticamente o con la_fede.:• In questo credo laico, ogni nuova e~nenza ~ un allarganiento, un'incursione oltre I conf'.'IIU~cl reale verso una fondazione dell'immagmar10. C'è un passo che, più di ogni altro,indi~ail centro della sua scrittura. Il limite che la scienza e la logica si ponevano quan~ a spieg_are il mondo si riduce a un'equazione d1uguaghan~a che, in logiça, diventa una banale tautolog,a, cioè che "il mondo è come è". Dice la Bachmann ne Il trentesimo anno: "Il mondo è anche un 'uguaglianza, che poi si risolve col risultato che I 'oro è oro e il sudiciume è sudiciume. Ma ·nulla in te gli è uguale, e nulla in te è uguale al mondo. "Ben inteso, al nostro mondo. E questa differenza non è di là da venire, non è una metafisica, anche se va tenuta sotto prudente controllo. E se è vero che -lo afferma la Wolf a proposito della Bachmann - ogni donna avventuratasi in un campo maschile come la letteratura sperime,nti, nel nostro secolo, il desiderio di autodistruzione, va ricordato che la Bachmann, dopo la prima metafisica e "maschile" esperienza arinichilente, e poi quella quotidiana del suo mondo, ne ha nominata una terza: essere arinientati dall'amore. Una spiegazione, per l'ennesima battaglia, è formulata anche in Premesse a Cassaruira: la storia umana come oppressione sulla donna. La Bachmann, se vogliamo, ha aggiunto una sola cosa, non da poco, a Heidegger: al dover parlare non già l'agire, ma il dover agire. E il dover trovare, a ogni costo, le parole adatte. Ma al pullulare delle sconfitte, c'è una buona notizia da opporre: le aveva trovate. In Thomas Bernhard, definito, col tono spavaldo e sicuro di una simpatica lottatrice, molto superiore anche a Beckett. 31

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==