rompe: "Smettetela di litigare, e ditemi almeno cos'è 'sto indicibile!" Qui lo volevo. Ma come può pretendere che glielo dica il fùosofo, se si tratta di un indicibile che diventa sempre più indicibile? Se questa è la filosofia di Heidegger, ècomeuncaneche si morda la coda: prima afferma l'esistenza dell'ente, poi ci spiega che non può spiegarcelo. È una filosofia condivisibile, per tutti coloro che cr~dono come un nucleo della ".erità rimanga sempre inspiegato: per esempio nell'origine mitica, religiosa e culturale della letteratura. Ma nella sua giustezza è anche banale, servè a poco. Detta filosofia però risulta non vera laddove affermi che, nel caso della Bachmann, l'essenziale sia stato sempre e ancora, come per Holderlin, fare l'esperienza dell'irraggiungibilità dell 'assoluto edell'utopianellinguaggio eco I linguaggio, una sorta di cedere le armi con onore al mistico. Perché la Bachmànn praticava l'indicibile per cambiare il mondo, e lo ha sempre scritto. Non andrebbe rimosso. E allora, proviamo almeno a spiegare cos'era l'indicibile per la Bachmann. Avremo delle sorprese, non riusciremo a spiegare tutto il percorso della scrittrice, ma almeno sarà chiaro quanto lei non sia mai arrivata alla sublimazione del silenzio, né alla "claritas" metalinguistica. Il bello e il nuovo delle liriche della Bachmann è consistito nel misurare la verità delle proprie p~sioni elem~tari, scomode e anche dolorose, col mondo post-bellico. Il punto di partenza della sua poesia è disarmante per semplicità quanto temerario nell'esecuzione. Una do~a, che si libera volutamente di ogni concezione del mondo, di ogni "griglia interpretativa" scende al confronto con un reale, come lei <lisse, "in cui la guerra non viene più dichiarata ma continuata", nella ferrea fiducia che, dietro la propria sensibilità, c'era tutta la storia della letteratura, e solo quella, pronta a salvarla. Con il progetto di soggettività del classicismo weimeriano, con l'analisi e la scomposizione del soggetto in tutta la letteratura novecentesca, e con l 'ultiina, disperata salvezza beckettiana dell 'lo, condotta ne L' innominabile, che lei interpretò in questi termini: "È il miracolo dell'Io che, ovunque esso parli, esista; non può morire( ...) quest'Io senza certezze!" Vien subito voglia di dire che il mondo le abbia fatto pagare la sua fruttuosa presunzione, anticamera di una "veggenza" interpretata da ~hrista Wolf. Quest'ultima si è sempre più mteressata alla poetessa di Klagenfurt fino a fame un nume tutelare, una novella Cassandra. L'emotività, la passione, l'amore, il dolore, questo armamentario irriducibile e secolare de!la soggettività (di quale "soggettività" si è chiesta anche la Wolf, dando le sue risposte) non ha un suo quadro sistematico e forse non è nTure possibile metterlo assieme in una filo- :i:c:erò ha ~ retroterra culturale, ideale, .• ha nutrito tanta letteratura giacché, ~e nco~<;lala Wolf il Faust di Goethe dice: non nell unpenurb b"li, . Veiz&.So . a 1 tà cerco la mia saiILE che il brivido è il meglio dell 'umani- ~':ianto ,ilmondo cerchi di avvelenargli pro:, !duomo,quando è commosso, ha n o del prodigio" (pag. 149). CONFRONTI lngeborgBachmannnel 1964. Già nel 1966, ancora in piena revisione della sua idea di letteratura come rispecchiamento, la Wolf intravide il significato della Bachmann: "Lei con ciò occupa una posizione estrema nell'odierna letteratura borghese, il tentativo di difendere i valori umanistici di fronte al totale impulso distruttivo della società tardò capitalistica." (M.T. Mandalari invece di "posizione estrema" traduce "posizione estremistica". Già qui nasce un 'interpretazione non condivisibile. Cfr. "Linea d'ombra" n. 41) Il tono lukacsiano della Wolf è fin troppo palese, ma svaporerà presto. E l'interpretazione, pur lungimirante, ha una zona oscura: il termine "valori umanistici". Il problema della Bachmarm consiste proprio nel fatto che ciò per cui si batte non è un valore di questo mondo, perché se in questo mondo "ci fosse un valore, non avrebbe nessun valore" (Wittgenstein, Tractatus, 6.41). Cioè non sarebbe un assoluto indiscutibile, ma una qualsiasi entità mercificabile e corrompibile. "L'etica è trascendentale" afferma sempre Wittgenstein (Tractatus 6.421). Nel momento in cui la Bachmarm difende il "valore umanistico", essa deve renderlo assoluto e, al contempo, espellerlo da questo mondo, farne un'utopia, con lo stesso procedimento con cui Simone Weil "espelleva" Dio dal mondo: per renderlo puro, scontandone però la sua assenza totale. L'assolutezza del valore umano è il suo atto quasi-metafisico: esso appartiene al "mistico", è ciò di cui "non si può parlare" perché, razionalisticamente, non è verificabile, misurabile, analizzabile. Nondimeno, non bisognà dimenticarlo, esso appartiene alla tradizione letteraria (intesa come risposta etica) e in più, questo è centrale: se non èlogicamente"dicibile",essoèvivibile.Come? Con la passionalità: un'esperienza vissuta all'insegna della passione. • È proprio qui la novità della letteratura della Bachmann. Ridotto ai termini più banali, il suo messaggio suona: poco importa che il mistico sia indicibile laddove possiamo viverlo, esperirio e darne formulazione nel linguaggio poetico che gli è deputato. Ed è per questo che la Wolf, sempre nel saggio del I966, scrive che, quanto alla Bachmann, "non può sorgere l'impressione dell'epigonalità. Lei non scherza con la disperazione, con la minaccia e con il turbamento: lei è disperata, è minacciata e perciò desidera davvero essere salvata( ...). Gli sforzi éhe lei intraprende sono implacabili anche contro se stessa." (p.180) Vediamo in una delle sue liriche più citate come si esprime questo nudo gettarsi nel mondo del soggetto poetico. La lirica Messaggio (Botschaft) tematizza l'orrore per la storia nei secoli e per quelJa recente di allora: "Dall'atrio celeste, tiepido di sàlme, spunta il sole./ Non gli immortali sono lassù,/bell3Ì. i caduti, apprendiamo./ E lo splendore non si cura della corruzione. La nostra/ divinità, la Storia, ci ha riservato un sepolcro/ da cui non vi è resurrezione." Il sentimento dell'orrore si produce con gli echi dovuti ai termini "gli immortali", "la divinità", "la resurrezione". Ovviamente la Bachmann non crede a nessuno dei tre, e il tono scettico della razionalista è evidente. Ma basta citarli "in absentia" come misura che, se deve esistere, è estranea a questo mondo, basta "dirla" questa mis\ll"a per scatenare l'effetto del sentimento e del giudizio. Con un ammiccamento alla tradizione letteraria e a quella cultural-religiosa. L'inverso procedimento, giocato sempre sulla negazione, c'è in Tutti i giorni (AlleTage). Eccone una strofa: "La guerra non viene più dichiarata.Ima proseguita.L'inaudito/ è divenuto quotidiano. L'eroe resta lontano dai combattimenti. Il debole/ è trasferito nelle zone di fuoco./ La divisa di oggi è la pazienza,/ medaglia la misera stellai della speranza appuntata sul cuore. (...)" Qui il perno è il termine "proseguita", condensazione della similitudine "è come se venisse proseguita". Chi può farla questa affermazione, se non un soggetto che senta l'esistenza come orrore e quindi usi una "non-misura" per eccellenza che appartiene a questo mondo, "la guerra"? Da dove nasce, o meglio, come si catalizza questa "espulsione" dell'etica del mondo e l'annullamento/ricomposizione del soggetto,
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