Linea d'ombra - anno VIII - n 45 - gennaio 1990

In realtà, se c'è o c'è stata rimozione, la si coglie oggi, a distanza, oltre che in questa interpretazione, nelle risate che scoppiavano, tra le donne, negli anni Settanta, durante la proiezione dell'omonimo film di Rohmer, tratto dal racconto di Kleist. Allora, alcune ci chiedevamo: ''Come mai ridono? che cosa le fa ridere?". Ora abbiamo capito. Ma non è assolutamente vero quanto ci vuol far credere Rossana Rossanda, che quell'ilarità fosse allora suscitata dall'introduzione nella storia, da parte di Rohmer, di una pozione di papavero, per giustificare l'incoscienza della Marchesa durante l'unione (chiàmiamola così) sessuale. Era vero, piuttosto, che quelle donne, emancipate e illuministe come la signora Rossanda, consideravano arcaico e definitivamente superato tutto quel fatto, non sostenendo dentro di sé l'immagine di una donna 'squisita' che potesse aver subìto violenza e che, per di più, ingenua e ignara e ancora tutta confusa, pubblicasse su di un giornale un.annuncio alla ricerca del padre del figlio che portava in grembo. Ecco, proprio per queste donne che insistentemente ridevano, Rossanda ha scovato quest'interpretazione mortifero-assoluta, che ne vorrebbe placare l'angoscia. Niente paura, dice loro, la Marchesa era partecipe, così partecipe che ha dovuto rimuovere. Ecco che l'orrore non è più nella realtà dei fatti, ma solo dentro di sé, nel pregiudizio culturale! E sia benedetto questo tipo di psicoanalisi! Ma per fortuna la sapienza dei poeti, donne e uomini, è più grande e riesce un poco a salvarci. Anche se sono tutti morti, i poeti riescono ancora a dire qualcosa, a parlarci. Per questo dispiace quando,_forse involontariamente, forse superficialmente, vengono uccisi, dopo la morte, nell'unica cosa che loro rimane: il testo. Per fortuna il racconto di Heinrich von Kleist dice infinitamente di più e di meglio, ci lascia più incerti e in sospeso, ma ci comunica Un celebre eroe kleistiano: Ilprincipedi Homburg con Gérard Philipe. CONFRONTI cose preziose sulla vita. Demoniaco e angelico stanno insieme, ci dice, convivono intimamente in un modo tale che solo l'ironia, la levità dell'espressione poetica ci può far reggere, sottraendoci anche se per poco ali' orrore. Perché Kleist non ci illude e affida soprattutto al Conte F., alla sua figura di maschio dominatore e aggressivo ma allo stesso tempo gentile, prepotente e frettoloso stupratore forse, ma certamente paziente corteggiatore, angelico e demoniaco lungo tutta la storia, con le sue irruenti apparizioni e sparizioni, il senso della vicenda, che sempre vicenda di guerra è, in cui anche Eros ci appare nient'altro che spietata guerra, con ampie schiarite e barlumi di gentilezza e devozione. La Marchesa non combatte ad anni pari col Conte F. in questa guerra (forse lo farà qualche secolo dopo): si prepara a passare dalle mani del padre a quelle del futuro sposo, ma non da vinta, giacché, a differenza delle compagne spettatrici del film di Rohmer, non vuole negare di avere, in un modo che non percepisce chiaramente, subìto violenza. La sua forza sarà proprio, attraverso l' annuncio di quella violenza e larichiestaall 'ignoto padre di uscire dall'ombra, la sua trasformazione in angelo, messaggera dignitosa e coraggiosa di misfatti subìti, che col matrimonio rientreranno in una ricomposizione assolutoria, ma che l'ironia del testo fa intravedere precaria, mortale. Come i poeti. Apropositodi frasi vere. lngeborg Bachmann anti-metafisica RobertoMen.in Le incursioni filosofiche nella letteratura non fanno a volte né bene né male. Sembrano essere l'ennesima prova, esame di maturità o patente di guida che sia. La candidata si lascia esaminare secondo lo standard, nella certezza che dopo l'esame ci si deve arrangiare da soli nella vita. L'importante, in fondo, è superarlo. E se uno non avesse studiato per l'esame? Ai fini dell'esame, non conta. Fuor di metafora, stavolta è a Ingeborg Bachmann che è toccato l'esame, da parte di Giorgio Agamben, nella sua introduzione a In cerca di frasi vere, raccolta dì interviste alla scrittrice pubblicata da Laterza. La prova si svolge sul programma del secondo Heidegger. La candidata la supera brillantemente. Per Agamben, l'esperienzadellaBachmann · è quella di una densa disillusione. Partita, nella sua tesi di laurea su Heidegger, con l'affermare "l'estrema possibilità di esposizione dell 'indicibile" grazie alla forza del linguaggio poetico ed estetico, in grado di opporsi alla "cattiva" lingua della storia, essa arriverebbe, tramite un'esperienza di "violenza dell'orrore e del- !' annientamento" non a verificare la possibilità di un linguaggio, ma l'impossibilità di ogni linguaggio a esprimere l'assoluto. Questo risultato negativo -1' indicibilità dell'essere - si trasforma poi, con un colpo di coda, in positivo: dato che il linguaggio pur sempre sopravvive, esso festeggia la sua parte mancante tramite una "claritas", una trasparenza del puro enunciare che non esprimeJPiÙniente, se non l'indicibile, ma col silenzio. Sembrerebbe un discorso che fa acqua da molte falle. Difatti ci si chiede: ma se la Bachmann si è distinta proprio per la sua coraggiosa enunciazione dell'indicibile, e in un centinaio di liriche? Se nel saggio radiofonico su Wittgenstein assegna proprio alla poesia una missione di "silenzio positivo", ovvero di parlare, in un "altro linguaggio"? Se le sue liriche coniugano proprio l'istanza "metafisica" della soggettività con i dolori della storia prossima, del nazismo, della quotidianità postbellica? Il filosofo risponderebbe compassato a queste obiezioni. Perché tutto ciò rappresenterebbe un'approssimazione ·per difetto di un'esperienza ancora da venire, più profonda, più dolorosa, più insondabile, quindi ancora più indicibile. Potremmo raggiungere un accordo: ogni scrittore che si batta per una concreta utopia farà, durante la sua battaglia, la triste esperienza in parte previstadell' irrealizzabilità dell'utopia, che è così per definizione. Tutto qui? Forse, ad alcuni tocca l'amara sorte di vedere come l'utopia si allontani sempre più, di come orrore chiami altro orrore, e le soluzioni siano sempre più ardue, il quadro si annebbi, la verità sfugga. Questo non lo afferma Agamben, ma potrebbe essere il nodo gordiano sul quale tanti autori operano inversioni di rotta. · Ma è davvero tutto qui? · Sento già scalpitare il lettore, che poi prolngeborg Bachmann nel 1965. 29

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