tro il "mito" letterario di Verga (non è stato Sklovskij a dire che la storia della letteratura è una successione di uccisioni di padri?). A piazze siciliane accennavamo sopra. Ora, quelle praticate da Vittorini e dai vittoriniani, le piazze dei paesi della parte orientale dell'Isola, del Messinese, del Catanese, del Siracusano o del Ragusano, sono quasi sempre piazze "belle", ricostruite, dopo un qualche disastro della natura - eruzione di vulcano o terremoto _:, secondo un progetto e con un'aspirazione alla bellezza e 'ali' armonia (le piazze barocche) o sono "spiazzi" di sperduti villaggi contadini o di masserie, luoghi privi di segni storici, assolutamente "naturali". Le "conversazioni" allora, in quelle piazze e in quegli spiazzi, si scostano man mano dalla comunicazione e tendono verso l'espressione, si formalizzano, si stilizzano, abbandonano man mano il rigore logico della prosa e si spostano verso i fraseggi del canto. Le piazze dell'Occidente siciliano, e soprattutto quelle della zona delle zolfare, del Nisseno e dell'Agrigentino, al contrario, sono piazze "brutte", nate senza un progetto architettonico, ma spontaneamente da una necessità, dove gli edifici, non più in arenaria dorata come a Noto o a Scicli, sono in grigiastra pietra gessosa. In queste piazze di paesi girgentani dello zolfo, come Grotte, Aragona o Racalmuto, dove alla vecchia cultura contadina s'era sostituita la nuova cultura operaia dei minatori, la "conversazione" nascé da una necessità sociale, si svolge nel modo più secco e disadorno, più diretto e chiaro, più logico e dialettico. Ci è capitato di affermarlo ancora altrove: se non si può capire uno scrittore come Pirandello senza la realtà della zolfara, tanto meno si può capire uno scrittore come Leonardo Sciascia (ché lui ha mosso questo nostro discorso partito da lontano), questo scrittore letteratissimo e antiletterario, antimitico e antilirico, loico e laico, civile e "politico": questo grande scrittore appena scomparso. E diciamo grande per gli assertori d'una letteratura di bellezza e canto, di trepidazioni e morbidezze, di singhiozzi e lamenti per ambasce esistenziali o per disfunzioni ghiandolari, di una letteratura ludica e gratuita, esornativa e intrattenitiva. Tutta l'opera di Sciascia è una necessaria, essenziale, lucida e serrata - anche se man mano sempre più disperata - conversazione in Sicilia. Una conversazione, questa volta sì, che tende "a realizzare una comunicazione assoluta", una convivenza sociale, piuttosto che ideale, vale a dire utopica, più giusta, vale a dire più umana: una convivenza dove nessuno, individuo, Stato, rossoscuola "' LA SCUOLA NELL'URNA. Gli Enti locali e l'istruzione Analisi, interviste e dati sull'intreccio fra sistema · scolastico e comunità locale. Uri appello in vista delle amministrative ·IN DIRETTA DALLA RDT I giorni del «crollo del muro» raccontati dagli insegnanti italiani in visita all'Est SPECIALE/SOCIOLOGIA DELL'EDUCAZIONE Tutti i lavori in corso oggi in Italia EDUCAZIONE/IDEE Intervista a Giorgio Bini Abbonamento (5 numeri) L. 20.000 - Cumulativo con École L. 35.000 Versamenti sul CCP 26441105 intestato a Scholé 20 Via S. Francesco d'Assisi 3, 10122 Torino (Tel. 011/545567) COPIE SAGGIO SU RICHIESTA o potere d'ogni tipo, politico, giudiziario, religioso o finanziario deve infrangere le regole della convivenza sociale, deve offendere il cittadino, l'uomo. Una conversazione che ha le sue radici nel profondo della miniera, che dal profondo emergendo, come Ciaula che scopre la luna, nonché trovare conforto nella "chiarità d'argento", trova forza nella luce diurna della ragione: luce" solare, cruda, che, come in un quadro di Picasso, scandisce i piani e rivela la natura cubica della realtà. Con Sciascia, la società ideale o utopica è posta "in secondo piano e lateralmente"; la conversazione, .per consapevolezza ·storica e per pratica della realtà distanziata "con maestria prospettica straordinaria" dagli assoluti, si svolge intorno al relativo e al contingente. E questa sua concezione o impegno letterario ci sembra evidente (è la parola) nei due ultimi racconti: Il cavaliere e la morte e Una storia semplice. Evidente attraverso due citazioni iconografiche: rispettivamente di Durer e di Klinger. Amava le incisioni, Sciascia, le gravures (e i due termini, l'italiano e il francese, certamente nella sua fantasia si caricavano di altro significato), e soprattutto le acqueforti e le puntesecche (ancora altri termini significanti) che, con il loro segno nero, si potevano accostare alla scrittura, erano anzi sicuramente per lui un'altra forma di scrittura: una scrittura che, passando dal negativo della lastra inchiostrata al positivo del foglio bianco (o nero, come nera è la realtà con cui la sua scrittura si scontra), portava in sé una componente di imprevisto, poteva acquistare altro senso al di là delle intenzioni, e della mano, dell'artista. Era per lui l'incisione l'affascinante scrittura iconica più simile alla scrittura segnica, l'acquaforte più simile allo scrivere: allo scrivere che è "imprevedibile quanto il vivere". Una famosa incisione di Durer fa da leitmotiv aircavaliere e lamorte. "Si era ormai abituato ad averla di fronte, nelle tante ore d'ufficio. Il cavaliere, la morte e il diavolo. Dietro, sul cartone di protezione, c'erano i titoli, vergati a matita, in tedesco e in francese: Ritter, Tod und Teufel; Le chevalier, la morte le diable. E misteriosamente: Christ? Savonarole? Il collezionista o il mercante che si era interrogato su quei nomi pensava forse che l'uno o l'altro Durer avesse voluto simboleggiare nel cavaliere?" Queste considerazioni sull'incisione di Dilrer sono del protagonista del racconto, Vice (questore), condannato a morire da una inesorabile malattia; ma ucciso prima dal contesto politico. Quel cavaliere del Durer (inciso dall'artista tedesco insieme al San Gerolamo nello studio e allaMelencolial tra il 1513 e il 1514) ha suscitato pagine di riflessioni, suggestive interpretazioni al grandecriticoPanofsky, hadato modoall 'italianistaLeaRitter Santini (Le immagini incrociate) di rimandare a tanti scrittori, filosofi che con quell'immagine si sono incontrati: Nietzsche, Mano, Hofmannsthal, D'Annunzio ... Per noi quel cavaliere del Durer, insidiato dalla Morte e dal Diavolo, che solido dentro la sua armatura, sicuro in groppa al suo robusto cavallo, procede verso la turrita città lontana, la città ideale od' utopia che mai raggiungerà, rimanda a un altro cavaliere, al Cavaliere disarcionato di Max Klinger: l'uomo è a terra, schiacciato dal corpo del suo cavallo, inerme anche per la spada che gli è scivolata di mano, solo e moribondo in mezzo alla foresta, un nugolo di neri corvi che gli volteggiano sopra, pronti a ghermirlo. L'inquietante Max Klinger Sciascia cita nel suo ultimo racconto di congedo, Una storia semplice: "L'interruttore. Il guanto. Il brigadiere nulla sapeva, né l'avrebbe apprezzata, di una famosa serie di incisioni di Max Klingerappunto intitolata Un guanto, ma nella sua mente il guanto del commissario trascorreva, trasvolava, si impennava come allora nella fantasia di Max Klinger". Non un guanto ma, come per traslitterazione, uccellacci, corvi non·solo neri ma di vari colori, non solo visibili ma anche invisibili, non trasvolavano ma volteggiavano, famelici e feroci, sopra il cavaliere disarcionato nel momento in cui stava per morire, moriva.
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