Linea d'ombra - anno VIII - n 45 - gennaio 1990

.. CONFRONTI Il cavaliere, la ,morte e i corvi Vincenzo Consolo Conversazione in Sicilia: perché "conversazione"? Certo, conversazione tra Silvestro e la madre Concezione, tra Silvestro e il fratello morto, tra Silvestro e il panniere, l'arrotino e tutti i personaggi che il protagonista incontra nel suo viaggio nella terra dell'infanzia, nella sua discesa agli "inferi"; ma "conversazione" anche, crediamo, come memoria di domenicali piazze siciliane ferventi di brulichio e brusio, al pari di alberi che in certe ore della giornata, invasi da nugoli d'uccelli, diventano tutto un frullio e un cinguettio (la piazza del bel paese di Nicosia, la piazza di Caltanissetta, affollate di uomini in tabarro e coppola, Vittdrini farà fotografare a Luigi.Crocenzi per l'edizione illustrata del 1953 del suo romanzo); ma "conversazione" ancora come riferimento culturale: alle sacre conversazioni di tanta pittura italiana, e soprattutto, pensiamo, alla conversazione "dentro" la Flagellazione di Piero Della Francesca, su cui ha indagato Cariò Ginzburg. Il quale scrive: "La scena della flagellazione di Cristo è immediatamente riconoscibile, ma si svolge in secondo piano e lateralmente. Una grande distanza, resa da Piero con maestria prospettica straordinaria, separa .il Cristo da tre misteriosi personaggi in primo piano". I tre personaggi, che relegano in secondo piano la scena . AÌbrecht Durer, I/ cavalie;e, la morie e il diavolo. A destra: Leonardo Sciascia in una foto di Ferdinando Scianna. sacra, conversano, e sembra, la loro, una conversazione filosofica. Ora, al di là della identificazione dei tre personaggi e del significato da dare a tutta la scena, ci sembra importante questo spostamento di piano: dal sacro al profano, dal divino all'umano, dal dramma alla speculazione. Nella Conversazione di Vittorini c'è anche, attraverso il dispiegamento dei dialoghi, che tendono, come dice Calvino, "a realizzare una comunicazione assoluta, una convivenza umana ideale", c'è anche questa intenzione, questo tentativo di uscire dal divino e approdare all'umano, uscire cioè dal mito e approdare y alla realtà, dalla natura alla storia, dal passato al presente, dalla memoria alla contingenza, dalla immobilità all'azione: infine, dal simbolo alla metafora. Non ci interessa qui stabilire fino a che punto Vittorini ci sia riuscito, fino a che punto la "conversazione" releghi in secondo piano il mito senza fratture prospettiche, senza volontaristici scarti, fino a che punto sia piuttosto la sua un 'uscita dal mito per approdare all'utopia (che si mostrerà poi in tutta evidenza ne Le città del mondo); utopia che, oltre ad essere un progetto chiuso, conservativo, come ci avverte Lewis Mumford, è ancora mito, mito del futuro speculare a quello del passato, destinato anch'esso a infrangersi contro gli scogli della storia . Vittorini aveva scritto Conversazione anche, crediamo, contro la concezione deterministica, antistoricistièa verghi~a, con19

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