Linea d'ombra - anno VIII - n 45 - gennaio 1990

GENNAIO 1990 · NUMERO 45 LIRE8.000 mensile di storie, immagini, discussioni e spettacolo SPED.IN ABB.POSTALEGR. 111-70%- VIAGAFFURIO4 - 20124 MILANO

LeggereEinaudi Camilo José Cela La famiglia di Pascual Duarte Premio Nobef 1,989 La cronaca di una vita perduta. «Il primo e forse il migliore dei romanzi di Cela» (Italo Calvino). Traduzione di Salvatore Battaglia. «Supercoralli», pp. 175, L. 24 ooo Elsa Morante Diario 1938 Un inedito di Elsa Morante. Un libro di sogni, senza piu distinzione nra veglia e sonno, tra intelligenza della realtà e intelligenza del desiderio. A cura di Alba Andreini. «Saggi brevi», pp. XII-65, L. 12 ooo LauraMancinelli Il miracolo di santa Odilia Prodigi, miracoli, trasgressioni in un convento medievale. Il nuovo romanzo dell'autrice di I dodiciabatidi Challant e di Il fantasma di Mozart. «Nuovi Coralli», pp. 136, L. 12 ooo Joseph Zoderer Il silenzio dell'acqua sotto il ghiaccio Una fuga tra realtà, visioni, sogno alla ricerca di un innamoramento. Traduzione di Magda Olivetti. «Supercoralli», pp.112, L. 16 ooo Andrea Canobbio Vasi cinesi Dodici storie-cruciverba con un camaleontico protagonista e un finale inatteso. «Nuovi Coralli», pp. 117, L. 12 ooo Charles Dickens Carlo Frutteto & Franco Lucentini La verità sul caso D. Il caso pareva risolto. I massimi investigatori internazionali, unendo le loro forze, avevano finalmente penetrato lo sconcertante Mistero di Edwin Drood, che Charles Dickens aveva lasciato nel buio. Ma Hercule Poirot non era soddisfatto. Sentiva che qualche cosa non quadrava ancora perfettamente ... «Supercoralli », pp. 379, L. 30 ooo Tahar BenJelloun Giorno di silenzio a Tangeri È la storia di un uomo ingannato dal vento, dimenticato dal tempo e schernito dalla morte. Il nuovo romanzo dell'autore di Nottefatale e Creaturadi sabbia. A cura di Egi Volterrani. «Supercoralli», pp. v-95, L. r8 ooo Fabrizia Ramondino e Andreas Friedrich Miiller Dadapolis Caleidoscopio napoletano Plinio, Montesquieu, Dumas, Benjamin, Borges, Braudel: come gli scrittori hanno visto e restituito Napoli, in un collage che va dall'antichità ai nostri giorni. «Supercoralli», pp. xm-408, L. 38 ooo Salvatore Mannuzzu Un morso di formica Le stranezze dell'amore in una vacanza breve e inesorabile come la vita. Il nuovo romanzo del vincitore del Premio Viareggio 1989. «Supercoralli», pp. 181, L. 25 ooo Thomas Bernhard Amras Due fratelli« geniali e perturbati» e la loro tragica simbiosi: il romanzo che Berhard definf il suo capolavoro. Traduzione di Magda Olivetti. «Nuovi Coralli», pp. 83, L. 12 ooo Fernando Pessoa Faust Un grande inedito: l'eterna lotta fra Intelligenza e Vita in un poema drammatico tra i maggiori del nostro secolo. Edizione italiana a cura di MariaJosé de Lancastre. Traduzione del manoscritto originale di Teresa Sobral Cunha. «Supercoralli», pp. 1x-r39, L. 22 ooo Byron Vita attraverso le lettere A cura di Masolino d'Amico Le brillanti, disinibite, spregiudicate lettere di un protagonista del Romanticismo. «I millenni», pp. xxn-497 con 16 illustrazioni fuori testo a colori, L. 65 ooo Teofilo Folengo Baldus Un classico dell'irriverenza, della scorpacciata e della festa. Un decalogo di infrazioni in nome del piacere. Con testo a fronte. A cura di Emilio Faccioli. «I millenni», pp. L-940 con 24 illustrazioni fuori testo, L. 85 ooo Charles Darwin Viaggio di un naturalista intorno al mondo «Il viaggio sulla Beagle è stato di gran lunga l'avvenimento piu importante della mia vita e quello che ha determinato tutta la mia carriera» (Charles Darwin). A cura di Luca Lamberti. Introduzione di Franco Marenco. Traduzione di Mario Magistretti. «I millenni», pp. xx,v-493 con 14 disegni nel testo e 16 illustrazioni fuori testo, L. 70 ooo

Direttore: Goffredo Fofi Direzione ediloriale: Lia Sacerdote Collaboratori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Isabella Camera d'Afflitto, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli;Paolo Bertinetti, Gianfranco Benin, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Marisa Caramella, . Cesare Cases, Roberto Cazzola, Grazia Cherchi, Francesco Ciafaloni, Luca Oerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cwninetti; Peppo_Del Conte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Riccardo Duranti, Bruno Falcetto, Marcello Flores, Giancarlo Gaeta, Fabio Gambaro, Filippo Gentiloni, Piergiorgio Giacchè, Paolo Giovannetti,•Aurelio Grimaldi, Bianca Guidetti Serra,.Giovanni Jervis, Filippo La Porta, Gad Lemer, Stefano Levi della Torre,, Marcello Lorrai, Maria Madema, Luigi Manconi, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Paolo Mereghetti, Santina Mobiglia, Maria Nadotti, Antonello Negri, Maria Teresa Orsi, Cesare Pianciola, Gianandrea Piccioli, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Marco Re,velli,Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Joaquin Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Emanuele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni . Volpi, Egi Volterrani. Progello grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche iconografiche: Barbara Galla Pubblicilà: Miriam Corradi Esleri: Regina Hayon Cohen Produzione: Emanuela Re Amminislrazione: Rina Disanza Hanno conlribuilo alla preparazione di queslo numero: Giuseppe Anceschi, Franco Cavallone, Lanfranco Colombo, Maria Corti, Paolo De Stefano, Piera De Tassis, 'Fulvia Farassino, Giorgio Ferrari, Carla Giannetta, Giovanni Giovannetti, Alfredo Lavarini, Laura Lepetit, Giovanni Levi, Grazia Neri, Raffaele Venturini, . l'agenzia fotografica Effige, le case editrici Einaudi, e/o, Feltrinelli e Theoria, la libreria Popolare di via Tadino 18 a Milano. Edilore: Linea d'ombra Édizioni srl Via Gaffurio 4 - 20124 Milano Tel. 02/6691132-669093 I. 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UNEDA'OMBRA IIIIIJllllllll:]J]I!I!:!i!JII!I!lI:f''''='=''''':Jiii\ anno VIII gennaio 1990 numero 45 2 Manuela Cartosio Il fenomeno delle Leghe regionali 4 Raimondo Catanzaro Perché al Sud non c'è azione collettiva? 6 Marcello Flores Le cose di cui vergognarsi nella storia del Pci 7 Piergiorgio Giacchè Caro nome ... I O Gian Enrico Rusconi Il Muro violato 15 Luigi Manconi Un percorso dell'handicap RUBRICHE: In margine (G. Cherchi su_vecchi e giovani e la vergogna televisiva, a pag. 16). 19 Vincenzo Consolo Il cavaliere, la morte e i corvi. Su Sciascia 23 Joaquìn Sokolowicz Compianto per la li_nguayiddish 25 Giovanna Rosa Il "libro dei sogni" di Elsa Morante 35 Maria Turchetto lndex Alberonianus e S. Mobiglia sulla stròncatura di Rushdie a Eco (apag. 21), M. Schiavo sul Kleist della Rossanda (a pag. 28), R. Men:in sulle interviste della Bachmann (a pag. 29), S. Velolti su Tracce di Bloch (a pag. 32), FOCiafaloni sul Gentile cliS. Natoli (a pag. 33), O. Pivetta sull'antologia del "Nuovo corriere" (a pag. 38), G. Turchetta su Loria (a pag. 40), M. Maderll{l su La fine di Horn di Hein (a pag. 41), L. Clerici su Il mondo estremo di Ransmayr (a pag. 42), F. Serra sugli albi di Bilal, Gould e Loustal (a pag. 44). Un incontro cc,n l'architetto Umberto Riva a cura di G. Borella (a pag. 45), Promemoria (a pag. 18), Gli autori di questo numero (a pag. 95). l:NDICEdei numeri 1/44 di "Linea d'ombra" (a pag. 47). 60 75 51 52 54 70 61 63 66 77 CINEMA: 82 Carlo Levi JozefSimon Acheng CanXue MoYan Anibdl Machado Carlo Levi Giuseppe Armani Ferruccio Parri Fabrizia Ramondino Gianni Volpi L'orologio Poesie. Tre racconti cinesi ·Fumo La capanna sulla montagna Il fiume inaridito Il defunto inaugurale Tre lettere a Linuccia Saba a cura di Daniela Ferraro e Monica Ratti Levi e Parri La caduta del governo Parri Lettera ad Arturo con una nota di Goffredo Fofi Cinema italiano: i giovani seguito da: . 84 Silvio Soldini .Riflessioni nel disordine 85 Francesca Archibugi Un po' d'amòre 86 Egidio Eronico In memoria di Laio e una nota di G. Fofi su Spike Lee (a pag. 88). MUSICA: 90 TEATRO: 92 • Pete Townshend Tommaso Ottonieri La generazione degli Who a cura di Roberto Gatti Le chiocciole. Atto unico La copertina di questo numero è di Andrea Rauch.

ILCONTESTO Il fenomeno delle leghe r~g-onali Il grado zero della politicà· e della cultura Manuela Cartosio "Lei mi dica quanto costa che io la compro". È l'insulto più grandechemi sia statori voitodaquando faccio la giornalista (eda quandosonounadonna,naturalmente).Mel'haregalatounodella Lega lombarda, in margine al_primo éongresso "nazionale" dei seguacidel ''Carroccio", tenutosi 1'8-9-10 dicembre a Milano 2, suburbioresidenzialeberlusconiano.Conquell'offerta il simpatico tipointendeva dimostraredi essere "un signore",d' avere cioé ampia disponibilità di portafoglio. Era indignato perché avevo scrittosul" Manifesto" che al congresso non c'erano né abitanti dei quartieri alti di Milano (che pure alle Europee nel segreto dell'urna non si sono dimostrati insensibili ali' appeal di Alberto da Giussano), né rampanti, né manichini dall'abbigliamento griffato. Solo artigiani, padroncini, impiegati, bottegai, rappresentanti di commercio. Non sia mai detto. "Basta con .'sta storia ahe siamo solo imbianchini e salumieri, abbiamo anche dei laureati" è stato uno dei ritornelli più gettonati nella hall del Jolly hotel.C'era nelle tre-quattrocentopersone che hannopartecipalo al congresso(lamaggior parte come claque, contrappuntosonoro agli interventi, massa acclamante decisioni già prese) un forte desiderio di omologazione. Un desiderio ben fondato, perché· bisognadare atto alla Lega di essere, sotto l'apparente diversità, nonunascfieggiaimpazzita,ma uno specchio fedeledella bruttissima Italia di oggi. Aquel congresso si sonosentitecose pazzesche,dentro finoal colloin una sorta di fascismoculturale; si è tagliatocon il coltello la vogliadi affidarsi ad un capo carismatico; il senatoreUmberto Bossi, fondatoree padrone dellaLega; si è farneticatosu un'etnia e undialetto inesistenti; si sono gettati ridicoli ponti tra lombardi "col?nizzati" e baschi, irlandesi, lettoni e quant'altro; è SJ.ata perfmosventolatada qualcuno,la parola d'ordine dell'autodeterminazione.Queste enormità sono state percepite dai congressisti comepotenziale sovvertimentodello Stato, non.dellademocrazia e della società italiana. "Va.nno forte i lombardi, questa volta buttano per aria lo·Stato", mi ha detto un anziano "socio" della Lega. Per il resto la 1-,ègasegue la corrente, declina a suo uso e consumo i valori dominanti. Per questo il suo bollino elettorale non ha il segnodell'opposizione, è solouncalcodellostatodi cose presente. Se il Psi ha Craxi, se il. decisionismo è la virtù più apprezzataal mercatodella politica, perché i leghistinondovrebberoavere il loroBossi, un furbastrotirannellodi provincia?Se la politicache contaviene decisada pochi 'inqualchesegreta stanza, perché scandalizzarsi se il potere di voto ali' internodellaLega è appannaggioesclusivodicentoventisette"soci ordinari"? Se tutto si misura in soldi, merito, successo,· disuguaglianza, perché · meravigliarsi se la tega rivendica, senza infingimenti, il diritto ali' egoismo?"Tutti riconosciamoche traAgnellie unsuooperaio corre una bella differenza individuale - afferma certo di non .esseresmentito l'eurodeputato Francesco Speroni - Perché non ammettiamo che esistono anche delle differenze collettive? Le regioninon sonotutte uguali.Seuna è più bravae piùricca,perché nondeveandare avanti di più?". Secondo una ricercacommissionata dalla Dc e condotta dalla Università cattolica, su duecentoquarantatre militanti o simpatizzanti della Lega intervistati, il 60%è contrariò al welfare state, caldeggia il liberismoe auspica un ulteriore perdita di potere del sindacato. "Ma sè il sondaggio l'avessero fatto in Calabria, il risultato su questi punti sarebbe . stato identico'', sostiene·Speroni. E forse ha ragione lui. È tutta l'Italia, nonsololaLombardia,chehaarchiviato lasolidarietà,una par~lacciaormai pronunciata solo da qualche vescovo. 2 Di partiti che rivendicano il diritto all'egoismo ce ne sono parecchi sulla piazza. Perché, allora, seicentotrentamila elettori (470 mila lombardi) alle ultime europee hanno votato per il "Carroccio"? Perché la Lega veicola il messaggio in forme semplici e qualunquiste, spudorate e di sicuro effetto. Prende il peggio che c'è nella gente comune, nei discorsi da bar e da tram, nelle geremiadi che si levanò dalle code davanti ad uno sportello pubblico, e ne fa politica in presa diretta. Perché la Lega ha abbinato strettamente lo scontento per malgoverno, mangerie, inefficienze, con l'antimeridionalismo, il risentimento contro i terroni. I partiti e il centralismo romano non sono criticati in sé e per sé, ma inquanto terreniconquistatidall' "egemoniaetnica" dei meridionali. I sentimentianti Sud, però, non sonoun optional, un truccoper catturareconsensi.Sonoelementocostitutivoefondante; senza quello laLega chiuderebbe bottega in poche settimane. Non siamo più, naturalmente,al "non si affittaai meridionali" della Torino anni Cinquanta. Ma all'esatto opposto. Quel che brucia, ora, è il rovesciamentodelle parti, che sia un meridionale adaffittareun appartamentoa un lombardo. Bruciache i meridionali non sianopiù solocolletti blu e manovali,ma anche impiegati, inseg_nanti,professionisti.Epersino assessorio sindaci"in casa d'altri". I lumbard piangono calde lacrime sulle tasse rubate al Nord e dirottate al· Sud a fondo perduto. Della mafia e della 'ndrangheta vedono solo le orecchie mozzate ai sequestrali o gli inviati in soggiornoobbligatonei paesi delNord, non l'ingresso a pieno titolo della criminàlità organizzata a Piazza Affari e nella finanzachenonconoscesteccatigeograficieetnici.Ilmodogiusto per aiutare il Sud, dice ancora l'eurodeputato Speroni, è quello dellaFiat,"che hacostruitosuoi stabilimentiaCassinoeaTermini Imerese". Questo tecnicodi volo dell 'Alitalia, improvvisamente 1 sbalzatoaStrasburgo,dimenticabeliamenteche laFiat è l'azienda più sovvenzionatad'Italia. Il pregiudizio, la differenza etnica di base, è quella antica: i nordisti si rimboccano le maniche e lavorano sodo, i sudisti sono degli sfaticati.Questoè il leit.motiv di "LombardiaAutonomista", l'organo ufficiale della Lega spedito per posta a settecentomila persone.Le lettere, indirizzateaUmbertoBossiepubblicate nella rubrica "La vos de tucc-" (La voce di tutti), ripetono il pregiudizio fino alla noia. Scrive ad esempio sul numero dell'l l novembre Rosanna Borroni da Desenzano: "Non ho mai sentito prima né lettodi questa vostraLega e sonocontenta chene esista unae dica chiaramenteche siaora di finirla, smettere di mantenere il Sude il CentroSud, che queinostri cari signori ed amici seduti inpoltrona o sullo scalino della casa imparino a lavorare sul serio senza aspettare la manna che piove dal Nord. La sanzione di sfaticatoè estesa d'ufficio a chiunque abbia a che fare con i partiti. EcGoun passo dell'arringa accusatoria fatta alcongressoda LuigiRizzi:"Adesso gli artigiani lombardidicono basta e non sopportano più a lungo che i funzionari comunisti e socialistie democristiani, damerinidal tardorisvegliomattuttino, dettino legge vestendo a festa, col giornale sotto le •braccja conserte; né accetterannopiù che 4110 Stalo centralista, socialdemocristianoe sudistadecidadella loro salute,della lorovecchiaia, del presente e futuro lavoroper noi e per i nostri figli". I leghisti si sentono dei perseguitati. Fanno un dramma per qualchelira inpiù di Ivadapagare sulmetanoe chiudonogliocchi davanti alla verità lapalissiana: la Lombardia, nonostante i taglieggiamentie latrociniidiRoma, resta laregionepiù ricca e con menodisoccupazione.Se il presunto potere sudistanon è riuscilo

. a sbalzarladal podio, non sarà un potere debole, ancillare? È una domanda che il "Carroccio" non si pone. Ed è una dimostrazione della. qualità paranoica e fantasmatica del modo di ragionare leghista. Confermata dalla disaggregazione del risultato elettorale delleEuropee. II"Carroccio" ha fatto il pieno di votia Bergamo (14%), nella provincia dove è piùbasso il numerodi residenti non lombardi (4%). Ha ottenuto la maggioran7.arelativa in alcuni piccoli centri solo sfiorati dall'immigrazione del Sud. Più il nemico è'invisibile, più viene percepito come minaccioso. . II congresso ha preso posizione su un'altra rpinaccia, quella rappresentata dagli immigrati extracomunitari. E stato spazzato via l'equivoco del :•meglioneri che terroni". I meridionalirestano il pericolo numero uno, perché comandano; i neri, per il momento, nonsonoconcorrenziali. Masul loroconto la relazionediBossi' ha avuto accenti lepenisti. La società multirazziale è di per sé patologica. Le malattie Bossi le chiama omosessualità, droga, devianzagiovanile, demotivazionecleibianchi a riprodursi.Tutte cose spuntatealprimo appariredi unambulante dicoloreali' angolodi unastrada lombarda. Maanche i lumbard praticanoladoppia verità. Sono proprio i padroncini di questa regione i massimi utilizzatori di braccia nere sottopagate. E hanno•incomune con il "grande capitale", altro nemico, ma questa volta di facciata, l'ossessione del costo del lavoro, la voglia matta di deregulation. L'"infezione" ai danni dell'etnia lombarda si trasmettepersino attraverso la politica urbanistica. "I piani regolatori comunali non sono ormai altro che autentici antipiani, pericolosi ed infetti, veri complottiorditi dai partiti romani per autofinanziarsi:nonper nulla i cerimoniali con cui vengono celebrati sono stati definiti messenereurbanistiche", ha dettodalla tribuna l'onorevole architetto Giuseppe Leoni che ha chiuso il suo i(!terventoal grido di "vinceremo!". Certo le tangenti ingrassano i partiti, ma anche chi le paga. E non le paga solo il siciliano Ligresti, ma anche l'ambrosiano Berlusconi. Questa la ricetta di Leoniper togliere le "infezioni": "rigetto totale per l'edilizia economica popolare, se primanonviene garantita lapossibilitàdi assegnazionea famiglie lombarde;-ripudiareenergicamente gli eventuali vincoli posti dai piani regolatori che a discapito di alcuni malcapitati fornisconola base per intrallazzi di palazzo...Le aree vincolateper il bene della comunità devono giustamente e equamente essere rimborsate e non espropriate". Si capisce bene che quel che sta a cuore ali 'architetto nonèl 'integrità del territorioma ilcontoinbanca dei "malcapitati". L'ideologia serve a coprire l'odore dei soldi, degli interessi materiali.La Lega, un.po' sprovvista inmateria, deve invenuµ-sene una. Così rubacchia qualche idea al federalismo di Carlo Cattaneo, cava dal buontempoandato e dal fascismoil culto della famigliapatriarcale e numerosa,mutua dall'ambientalismo alcune buone intenzioni. I lumbard mettono sull'altare agricoltura e tuteladel paesaggio. Ma la relazione congressuale sull'agricoltura è fitta di minuziose richieste inmoneta sonante:concessione di mutui agevolati a lungo termine per la costruzione di stalle e per l'allevamento d~capre da latte,contributi ali' acquistodi camper e di.apparecchiature radio per i pastori di greggi transumanti di pecorabergamasca, po~nziamento del centro stallonidiCrema... Qui, vien da dire; pulsa il sangue di Giovanni Marcora, il Dc lombardo più volte ministro dell'agricoltura. Ma la matrice, la scuola, è quella della Dc. · La Lega ha inflitto il salassomaggiore di voti proprio alla Dc. Maquandoun simboloraccogliel '8 % dei suffragi (è lapercentuale spuntata alle Europee inLombardia) tutti pagano dazio. In più, il "Carroccio" ha catturatoparecchi giovani al primovoto.Ha due , rappresentanti al parlamento europeo, un senatore, un deputato, unasessantinadi consiglieri comunali, due consiglieriprovinciali a Pavia e uno a Varese. E con il finanziamento pubblicoconcesso ai partiti si moltiplicano le sedi aperte dalla Lega in tutta la Lombardia.Tutto questo bendi Dio è stato messo incascina per il ✓ IL CONTESTO solo fatto di esistere, di presentarsi sul mercato. L'unica ri~orsa della Lega sono le idee sbagliate, ma con largo seguito. E un fenomeno, questo, che va al di là della politica pura. Investe il mondo della·comunicazione. Con un giornaletto fatto in casa e sgrammaticato (se fosse patinato e forbito non raggiungerebbe il target), con qualche manifesto dalla grafica mostruosa, con qualche comizio alla garibaldina, la Lega ha costruito la sua fortuna, nonavendo dalla suané Tv, né spot, né guru dellapubblicità, né quotidiani (solo "il Giornale" le concede qualche lisciati- . na, anche il sangue di Montanelli non mente). Alla Lega manca tutto,persino la gente damettere in lista. Alle passateamministrative parziali ha dovuto importare cand_idatida fuori. Eppure ha fattoil pieno.Non hapersonale politico, alla tribunacongressuale si sono avvicendati personaggi che non sanno più parlare uno dei tanti dialetti lombardi ma non padroneggiano ancora l'italiano. Non ha una tradizione, neppure quella terra terra del piemontese GipoFarassino. Anaso, la stragrandemaggioranza deicongressisti aveva grosse difficoltà a collocare Barbarossa, Alberto da . Giussano,battaglia di Legnano et similia. O a motivare perché il risorgimento "alla Savoiarda" vada condannato. Ma, allora, da -doveviene questa forza? "Me l'ha spiegato inia moglie- mi ha risposto Carlo Pisati, cinquantaqu,attroanni, consigliere provincialediPavia-: i giornalipossono anche esserecontro di noi, ma finché ci sarà la cronaca nera a noi le cose andranno bene". Sequestri di persona, scandali, tangenti, mafia, camorra "sono il nostro grande alleato". A fronte di questo "marciume" i lumbard "sani e puri" ·si chiamano fuori, si autoassolvono in nome di una fasulla identità etnica. Che se mai è esistita la Tv ha triturato, come ha detto già vent'anni fa Pasolini. Il paradosso è che se la creano loro a tavolino, puntellandosi al mulino bianco Barilla e agli interni artefatti dei Promessi sposi. Entrambi prodotti televisivi.L'onorevole Leoni immagina famiglie lombarde numerose raccolte attorno al focolare, bambini lombardi che giocano in cortile, nonni lombardi circondati d'affetto. La dottoressa Emma Bassani sproloquiadi donne lombarde che "da sempre hanno trasmesso ai loro figli le tradizioni e la cultura lombarda fondate sùi nostri valori di rispetto reciproco, onestà, laboriosità, altruismo". Poiché ora, sotto il tallone di Roma, hanno corso i valori del Sud ("furbizia, sopraffazionedel più forte, arroganza, corruzione e spesso anche violenza"), le donne lombarde.nonfanno più figli."Qui si ravvisa il disagiodi un popolo che sentendosi schiavo ha decisodi nonpiù riprodursi". Da dove spuntanoquesti marziani?Non gliel'ha mai spiegatonessuno che quel buon tempo antico, se mai è esistito, è stato spazzato via dall'industrialismo, che non è esattamente una malvagitàsudista?Ma tutto fa brodo nel calderonedellaLega. Un · brodo greve e in sé conchiuso. Che come massima intrusione. esterna si concede una citazione di Alberoni (nella relazione del segretario) e un "è qui la festa" gridato dal pubblico. Scelta appropriata, perché Alberoni e Jovanotti sono due campioni del senso comune. Siamoal grado zerodellapolitica e della cultura.E siamoa una non celata voglia di ordine e treni puntuali. Siamo al sindacato etnico, al rimpianto delle gabbie salariali, alle casS;Cmutua e ~Ile pensioni su base regional~.Tutto ciò è assai peijcoloso e .acquista diritto dicittadinanza perchéattomoc 'è il vuoto.Omeglioilpieno di una politica clientelare e spartitoria, che modernamente non contempla il conflitto. Forse i leghisti c'erano anche vent'anni fa, ma una società ricca di lotte e carica di voglia di cambiare li costringeva all'autocensura. Le ragioni della nascita delle leghe sono tutte dentro lo Stato, i partiti e dentro una società incattivita. Da lì non può venire una risposta che le annulli. Non resta che sperareinunamorte internae naturale. Che cioè lagente si stanchi di mettere i voti nel frigoriferodella Lega lombarda senza averne un tornaconto immediato. Che tomi ad essere normalmente democristiana o socialista. Come prospettiva, non è il massimo. 3

ILCONTISTO Perché ·al Sud non c'è azione collettiva? Una domanda e qualche risposta Raimondo Catanzaro È considerazione largamente condivisa che nel Mezzogiorno vi sia, rispetto ad altre aree del paese, in particolare quelle del centro-nord-est, una carenza di forme di aggregazione sociale e di solidarietà non primaria (differente cioè dai reticoli ristretti di tipo familiare, parentale o amicale). I movimenti collettivi nella media sono stati e sono sporadici ed effimeri; spesso il carattere localistico della politica tende ad assumere l'aspetto della sommossa, della ribellione, sfuggendo di mano ai partiti e ai sindacati (si pensi alle rivolte per la questione della capitale regionale in Calabria, o, più di recente, ai movimenti a favore dell'abusivismo edilizio). I movimenti, quando vengono in essere, sembrano lasciare poche tracce, non si cristallizzano in tradizioni organizzative stabili di comportamento. Sorgono spesso, al pari ehe in altre aree del paese, come forme di critica violenta alla politica istituzionale, ma a differenza dei luoghi in cui i reticoli della politica sono collegati in modi robusti alla società, tendono ad assumere subito la forma di soggetti non solo politici, bensì tendenzialmente partitici, che scavalcano i partiti e negoziano direttamente con lo Stato o con le autorità regionali e della politica locale. Questo carattere di esplosione improvvisa, ma effimera quanto ai precipitati istituzionali che è destinata a lasciare, tipico delle forme di aggregazione collettiva e solidaristica nel Mezzogiorno, è una spia del persistere di quella che tradizionalmente è stata, considerata come la debolezza di una società civile contrassegnata dalla scarsa presenza e dal basso peso delle organizzazioni secondarie degli interessi, e del fatto che si tende a riutilizzare i reticoli di relazioni parentali e amicali come risorse da spendere nell'.agone politico. Quali le ragioni di questa persistente discrasia tra Mezzogiorno e resto del paese ·sul piano dei comportamenti? Oggi che la parte più attenta degli osservatori delle cose meridionali pone l'accento sulle condizioni politiche, sociali e amministrative del ritardo nello sviluppo economico vale la pena suggerire alcuni spunti di riflessione a proposito delle condizioni non economiche dello sviluppo, e tra queste al tema dell'azione collettiva e delle forme associative. Qualche anno addietro avanzavo l'ipotesi che la carenza di azione collettiva nel Mezzogiorno fosse stata determinata da quello che avevo definito come il "salto di una fase" nella storia meridionale. Tale fase è qùella dell'edificazione e dell'affermazione di una società individualistica di mercato, quale è venuta in essere nei paesi che hanno vissuto l'industrializzazione. Nel Mezzogiorno viceversa non si è mai affermata una società industriale, neanche a seguito della politica di industrializzazione per poli del secondo dopoguerra. Il Mezzogiorno è quindi passato da una fase di economia agricola e arretrata ad una in cui, nel breve vo)gere di pochi lustri, è diventato una società a occupazione prevalentemente terziaria; e per sovrammercato con un terziario non legato ai servizi all'industria, avanzato, ma di piccole dimensioni, spesso ai limiti della sussistenza, ovvero- garantito dallo Stato e con i privilegi di stabilità e non licenziabilità propri del settore pubblico in una situazione storicamente improntata a disoccupazione e precarietà del lavoro, 4 A differenza delle società che sono state segnate dall'esperienza dell'industrializzazione; nel Mezzogiorno non si sono realizzate le condizioni di durata della forma di lavoro dipendente nell'industria che hanno consentito storicamente la piena affermazione dei principi individualistici, in base ai quali ciascun soggetto è considerato artefice del proprio destino e la ricchezza o la povertà non sono considerate conseguenze di un ordine sovrannaturale, ma premi o sanzioni conseguenti all 'agirc.individuale. Com'è noto, è proprio con l'affermarsi di una tale concezione che viene meno la fine del dovere morale, sanzionato dal costume, di protezione e assistenza dei ricchi nei confronti dei poveri. Perché una tale concezione possa affermarsi pienamente è necessaria la completa mercificazione del lavoro umano e la frattura del rapporto paternalistico tra classi superiori e classi inferiori. L 'af-. formazione del prinèipio individualistico, cioè l'atomizzazione sul mercato, è il requisito necessario perché, spezzato ogni vincolo di solidarietà primaria naturale e sociale, emergano gli interessi e le loro aggregazioni orizzontali. In questo senso l'individualismo di mercato è il presupposto Sotto: ragazzi di Matera in una foto di Carlo Garzia . A destra: Spaccanapali in una foto di Guido Giannini.

perché gli individui, di fronte alla forza distrutti va dell'economia di libero scambio, siano spinti alla ricerca di forme di difesa che trovano nell'aggregazione solidaristica e nella organizzazione· degli interessi le manifestazioni più rilevanti dell'azione collettiva. Nel Mezzogiorno non si è dunque mai realizzata una società di mercato in senso pieno, a maggior ragione se si considera che l'affermazione dei principi di mercato è avvenuta attraverso l'intervento della mano pubblica, cioè, negli ultimi quarant'anni, tramite il ruolo esercitato dallo Stato come attore dello sviluppo economico. La mancata-affermazione dei principi di mercato non è irrilevante sotto il profilo dei comportamenti. Il mercato è infatti, attraverso la pratica dellÒscambio, un fondamentale meccanismo di regolazione sociale, cioè uno dei modi attraverso cui vengono coordinati rapporti o attività, vengono allocate le risorse, e strutturati, composti o prevenuti i conflitti fra gli attori.L'impor~ tanza del mercato come meccanismo di regolazione sociale è evidente con riferimento a due aspetti: da un lato per la sua funzione come luogo della definizione degli interessi sulla cui base si organizzano i gruppi; dall'altro in relazione alle caratteristiche della competizione di mercato, che presuppone l'utilizzo di metodi formalmente pacifici, e quindi esclude forme violente di acquisizione delle risorse. . Insieme a questo, un altro meccanismo di regolazione sociale non si è pienamente affermato nel Mezzogiorno: il principio di autorità, che è un portato stòrico dell'organizzazione della grande industria, nella quale il potere del capitale subordina sotto il proprio comando il lavoro salariato, e dell'affermazione dello Stato moderno come detentore del monopolio della violenza legittima. IL CONTESTO Nel Mezzogiorno lo Stato ha sempre avuto grandi difficoltà di affermazione, sia sotto il profùo della penetrazione delle istituzioni nella società, sia sotto il profilo della legittimazione del su_o potere, sia infine sotto l'aspetto dell'integrazione sociale e politica della popolazione meridionale. . · . Di conseguenza, mentre per µn verso non s1 sono affermati pienamente principi "pacifici" di compet~ione s~iale, per l'altro in molti luoghi, ideali e fisici, l'imparziale autontà dello Stato è rimasta sulla carta. Ciò ha avuto molteplici conseguenze. In primo luogo l'incompleta affermazio~e del me,~ato ha ~~pedit? un tendenziale processo di omologaz1one degb mteress1. Sotto Il profilo delle disuguaglianze sociali la _situaz_i.one ès~~ sempr~ molto frammentata; da qui una forte dispersione degh mteress1, una loro frantumazione sociale che ha determinato la tradizionale e tipica situazione di una molteplicità di domande particolaristiche nei confronti della classe politica. Quest'ultima, di converso, di fronte al carattere particolaristico della domanda, ha reagito in due modi. Da una parte accentuando risposte in termini clientelari e non universalistici, dal! 'altro tentando di sosti~uirsi a una società civile debole, assumendofonzioni di organizzazione ?i reti solidaristiche e•associative. Ma questo ha avuto un 'ultenore conseguenza perversa sotto il profilo dell'azione ~ol!et~va; ha de~rmi: nato cioè una forte dipendenza delle assoc1az1om secondane dai partiti politici. . Per quelle di queste associazio~i ~~e appartene~a~~ _a11~ schieramento di governo ciò ha s1gmf1cato la poss1b1bta d1 pratiche clientelari tendenti a mantenere la dispè~sione ?egl! interessi. Per l'opposizione, viceversa, la costruzione d1 reti solidaristiche a partire dai partiti politici - e non viceversa come era stato nel centro-nord del paese a cavallo tra .l'Otto e il Novecento - ha significato una dipendenza dai partiti, e quindi . una mancanza di autonomia delle reti associative, e una loro immediata identificazione come espressioni di una parte politica e non coni e manifestazioni di forze autonome della società civile. Paradossalmente quindi questa funzione vicaria assolta dalle forze politiche di fronte alla debolezza dei reticoli associativi n?n ha determinato né una forza maggiore dello Stato, né una crescita dell'azione collettiva. Sotto questo profilo si sono combinati ulteriori fattori di complicazione nel rapporto tra interessi e azione politica, in particolare negli ultimi trenta anni. Infatti le funzioni di welfare assunte dallo Stato si sono innestate, nel Mezzogiorno, in un contesto nel quale le prestazioni venivano concepite non come il risultato dei diritti di cittadinanza, ma come il frutto della benevola e paternalistica attività dei protettori politici. Cosicché anche i diritti di cittadinanz~, .eh~ sono_ i) risultato di un processo di difesa dal mercato e d1aspn confhttt sociali, nel Mezzogiorno assumono il significato di un'attività redistributivo-paternalistica dell9 Stato. La mancata affermazione del principio di autorità e del principio di mercato come meccanismi di regolazio_nesociale: e, la forte presenza di meccanismi redistributivi det~rmman? prec1s~ atteggiamenti sul piano delle forme <l'.az~one~et ~o~gett1.~nf~tt1 il permanere di forme di aggregaz1om sohdarist1~he d1 tipo primario (famiglia, parentela, reti amicali) ~he, s1 i:adu.cono immediatamente e spesso senza alcuna med1az1one m dirette espressioni di tipo politico, e il persistere di a~regazi~ni ve1;!cali degli interessi,.tipiche del clientelismo, combmandos1 con I 1_de~ che Io Stato è qualcosa di lontano e diverso che assolve f~nz1om di redistribuzione sociale, costituiscono il fondamento d1quelle singolari aggregazioni di interessi eh~ hanno cara~ter~zato.~olte esperienze meridionali: l'alleanza d1 tutta la pe_nfen~ (le forz~ sane e progressiste della rinascita del Mezzogiorno ) contro Il centro. s

ILCONTESTO In questo tipo di movimenti non c'è ovviamente spazio per l'autonomia delle forze speciali: la loro indipendenza è esigua, e queste esperienze piuttosto che potenziare l'aggregazione degli interessi e l'azione collettiva tendono a deprimerne le potenzialità .. Per altro verso la specializzazione della classe politica in funzioni di mediazione con il centro e di organizzazione del consenso o ·del conflitto va a scapito della specializzazione decisionale. Da qui una particolare lentezza e inefficienza dei processi decisionali, che non va certo in direzione di un rafforzamento della fiducia negli apparati dello Stato e della politica locale'. A questo proposito qualche parola conclusiva va spesa sul problema della fiducia e dell'esistenza di poteri privati violenti che esercitano un dominio su ampiè zone del territorio meridionale. In una situazione come quella tratteggiata, di non ancora realizzata affermazione dei principi di mercato e di incompiuta penetrazione dell'autorità imparziale èlello Statò, la fiducia socialmente esistente è bassa. Ciò fa sì che i suoi costi siano elevati, come acci}de per tutti i beni· scarsi, E, sul piano della fiducia politica, la sua scarsità significa sostanzialmente che non v'è nessun soggetto in grado di possederne in maniera credibile il monopolio. · Poiché questo soggetto dovrebbe essere lo Stato, la sua assenza dà luogo al sorgere di poteri privati che assolvono al compito di dare fiducia offrendo protezione. Ma questi poteri, in buona sostanza gruppi mafiosi e camorristi, in quanto privati imprenditori, debbono sì garantire protezione effettiva in cambio di una controprestazione monetaria (la tangente o "pizzo"), ma debbono anche far permanere sul mercato un'elevata domanda di protezione. Devono quindi proteggere dalle proprie stesse minac- . ce di usare la violenza. È evidente che questo tipo di protezione non determina un aumento della fiducia, ma una sua diminuzione. Laddove i gruppi della criminalità organizzata detengono un dominio sul territorio e sugli affari, il già scarso livello di fiducia tende a diminuire sia · sul piano dei rapporti economici che su quello della politica. E la diminuzione dei~vello di fiducia non favorisce, anzi ostacola le possibilità di aggregazioni degli interessi, la formazione di reti solidaristiche e associative, in altri termini costituisce ostacolo alla crescita e all'affermazione della pratica deil'azione collettiva. Le cose di cui vergognarsi nella storia del Pci MarcelloFlores ·· La discussione aperta da Occhetto sulla necessità di abbandonare ormai alla riflessione storica un concetto-simbolo (il comunismo) considerato ormai inutile perun 'azione politica di trasformazione, ha avuto, come era prevedibile, reazioni molteplici; Molte di queste sono state segnate dalla passione, dal sentimento, dall'emotività, tutte cose che hanno pieno diritto di cittadinanza nel mondo della politica. La giustificazione di tali comportamen~ ti, tuttavia, è stata in genere affidata a una riflessione morale, connotata a sua volta da una precisa convinzione storiografica. Quest'ultima, data per scontata, nasconde in sé le motivazioni razionali e 'logiche di tùtti coloro che si oppongono al mutamento proposto. Val quindi la pena di discuterla brevemente. La riflessione morale è che i comunisti italiani, a differenza dei loro fratelli o fratellastri, dell'est, non hanno nulla di cui vergognarsi, non avendo mai gestito privilegi e poteri ma solo sacrifici e opposizioni. La convinzione che sottende questa riflessione morale è che la storia del PCI non può essere sottoposta a processo come sta avvenendo per i regimi orientali e come potrebbe suggerire od alludere un repentino cambiamento di nome. · Vorrei, in proposito, avanzare tre osservazioni. La prima è che, comunque si guardi al passato, cose di cui vergognarsi ce ne sono parecchie, da qualsiasi momento si voglia passare sotto giudizio la storia del Pci. Cose più gravi e meno gravi, certamente intrecciate e sovrapposte a posizioni passabili o ad azioni altamente meritorie, e che tuttavia non possono essere dimenticate senza cadere nell'infausta teorizzazione degli erroriprovvidenziali con cui Amendola cercava di giustificare assieme il passato staliniano e il presente socialdemocratico che auspicava e favoriva (cornea dire: i due aspetti peggiori è speculari della tradizione dèl movimento operaio). Si potrebbe fare un elenco e aprire, per ogni punto, una discussione puntuale. Ma non è ·questo il momento, e ognuno può trovare gli esempi che più gli aggradano. 6 La seconda osservazione è che il comunismo-al di là del suo innegabile fallimento in tutti i paesi e regimi dove si è presentato come tàle, il che non è poco né casuale - non è un optional o un desiderio. Esso esiste o non esìste m~ll'orizzonte delle trasformazioni possibili e nella coscienza di chi pensa e vuole quelle trasformazioni. Quando il Partito comunista d'Italia si formò, quell'orizzonte esisteva, anchè se probabilmente era già in fase di indebolimento e declino. Pur se la possibilitàdi comunismo venne storicamente meno attorno al 1921-23 (e non è ilcaso di veder qui la compartecipazione dei comunisti alle cause di quel fallimento), . è pur vero che negli anni Venti ed ancora negli anni Trenta il comunismo inteso come ideale possibile o come alternativa credibile a un capitalismo in crisi che faceva nascere dal suo seno i regimi fascisti sembrava esistere malgrado quello che succedeva in Unione Sovietica. Questa situazione si interruppe comunque col patto russo-tedesco e con la guerra. Nel dopoguerra la rinnovata fiducia al Pci e all 'Urss non venne data sulla base dell'attualità del comunismo (se non da chi. voleva importare anche da noi un regime da caserma di tipo sovietico, considerato l'equivalente e la realizzazione del comunismo), ma prevalentemente sull'asse pace-democrazia, che costituì il filo rosso della tradizione post-bellica da Togliatti a Berlinguer. Oggi nessuno pensa che le trasformazioni possibili siano quelle di una società senza classi o senza stato, né quelle di una astratta o impraticabile socializzazione dei mezzi di produzione o di una democrazia diretta resa impossibile, non fosse altro, dallo sviluppo demografico. Chi sostiene che abbandonare il nome comunismo significhi tradire un bagaglio collettivo di esperienze, tradizione, memorie, dimentica che le esperienze non·vanno mai disperse (o meglio, lo vanno sempre, ma è la stessa cosa}, che la memoria resta comunque (come. testimoniano in questi giorni ungheresi e céchi), che la tradizione, a volte, è-necessario lasciarla a chi ha paura del cambiamento e si difende cori l'archeologia e

la nostalgia. Non è un caso, forse, che gli oppositori di Occhetto siano stati in parte i pi~ giovani e ipiù anziani. I primi del tutto inconsàpevoli dei ~amm1_che .la parola comunismo ha significato, i secondi legau a quei drammi in modo così violentemente individuale da non ~uscire a proporre che la propria coeren?.a e la difesa del propno passato. Sono i quaranta-cinquantenni, avvicinatisi al comun_ismoquando già era drammaticamente esplicito il dilemma tra ti nome e la cosa, il passato e il futuro, la storia e la politica, · ad aver trovato adesso il coraggio di una scelta definitiva in nome di una_sper~a e scommessa politica di grande portata. Se questa sarà v_mtae quale forma prenderà è una questione del tutto aperta, su cut è probabile che si riapriranno dissensi con la direzione occhettiana. Ma è solo in avanti, non voltandosi indietro che si può sperare di andare al passo con la Storia e di trasfo~are il presente. · • Accan~oa! giovani e ai vecchi si sono allineati gli intellettuali, da tempo m ntardo di analisi e di lucjdità perfino sui burocrati e funzionari di partito. Mai forse· il loro ruolo era risultato così inutile e il loro contributo tanto pusillanime. I ripetuti distinguo che hanno frammezzato le dichiarazioni della nomenklatura culturale dentro il Pci sono apparsi pericolosamente simili, ma in veste farsesca, a quelli che contrappuntarono, sulla scia del diktat del Migliore, le dichiarazioni di distanza da Vittorini ai tempi della scomunica de "Il Politecnico". Anche su questo versante · forse, l'iniziativa di Occhetto potrà portare un po' di chiarezza neÌ sempre più asfissiante mondo dei chierici. In alto: Berlino Est 1976, l'ultimo summitdei PC europei (foto di Alain Nogues/Sygma/G. Neri). Sotto: un comizio di Ocdietto (foto di Luigi Baldelli/Conlrasto/G. Neri). Caro nome ••• ("Partito" "Comunista" I • , , "Ila 1ano") · . Piergiorgi_oGiacché Il pregiudizio sul sentimento IL CONTESTO Sembra passato un secolo dall'anno del miracolo, dall'anno del sorpasso. "L'Unità" postelettorale con l'enorme titolo in . rosso, annunciò che il Pci era arrivato .finalmente primo alle elezioni europee dell'84. Nessuno a destra si aliarmò o tirò fuori la coincidenza della profezia òrwelliana; nessuno a sinistra si emozionò come avrebbe dovuto, dopo anni di progres:,ivi e faticosi incrementi, incitamenti, inseguimenti. A sinistra si sottovalutò l'avvenimento proprio accettando di defmirlo "storico" - uno storicismo scettico e tutto giornalistico, succedaneo moderno del materialismo storico nella mentalità comunista del Vertice ..:__ e di vederlo realizzato in ocèasione delle Europee e non delle Politiche, che è come dire di avere vinto la Coppa Uefa, e proprio per questo magari di ritrovarsi ancora più lontani dallo scudet.to (nella mentalità elettoralistica tutta sportiva verso cui si andava stemperando la antica furente competitività della base). A destra si ridimensionò la stessa credibilità del "dato" elettorale, spiegato come il risultato dell' effetto-Berlinguer, dunque come un voto di commozione e di emotivitàche-comeognun sa-non ha valore nel gioco freddo e notarile della politica (per chi sa quale nuova valutazione laica della politica e della storia, visto che le prove contrarie del potere dell'emotività non sono poche, a scorrere i librì e gli anni accumulati fin qui). Forse fu q~eHa la prima volta che trovò forza e spazio nelle . analisi socio-statistiche la discussione sul sentimento dei comunisti, anzi la "questione" dei comunisti come· sentimentali. Ma nessuno se ne meravigliò: era una cosa vecchia come il folklore e forse lo stesso colore rosso si è sempre ben sposato ali' immagine dei comunisti anche per la faccenda della focosità e infine del cuore ... Eppure è strano come solo il popolo comunista abbia nella sua immagine il segno del sentimentq, mentre quello democristiano per esempio, tanto ideologizzato da volersi confondere ·con la religione, sembra non correlarsi mai a sussulti ed entusiasmi, tutto chiuso nel riserbo e nella quiete oppure tutto appagato dalla protezione e dal potere. Forse "il sentimento strugge chi il potere non ha", si può dire parafrasando il celebre detto politico del nostro filosofo più illustre. Ma è proprio vero che il Pci non ha potere? E perché poi non risultano altrettanto :sentimentali i Verdi? E perché l'unica passione riconosciuta ai missint anche quando violenti, è una sorta di grez?.anostalgia? , Il fatto è che nel gioco delle immagini- ma converrebbe dire maschere- il Pci incarna la questione del sentimento un po' per tutti, per le altre fazioni e per le altre frazioni di popolo. La passione nella lotta politica, e quindi il sentimento come ingrediente dell'odierno più moderato "confronto", è affidato soprattutto al Pci. Come fosse affidatoa un solo personaggio, ma perché pervada tutta la commedia. Maper la verità il Pci non è affatto un personaggio qualunque. Nel teatro della politica (che naturalmente non è la realtà) è anzi il protagonista principale: il Pci è il più grande partito politico italiano .. E il Pci è da sempre il più grosso anche dal punto di vista . simbolico, se cioè si valuta il tratto e il peso dell'immagine: negli altri partiti la propaganda è dà tempo pura ed epidermica pubbli~ cità, e .l'immagine è per davvero il suo risultato nel merc~to 7

IL CONTISTO dell'informazione e nella borsa dell'opinione. L'immagine del Pci invece è diversa a partire dallo spessore, da una specie di arcaica e parziale tridimensionalitf!. che serve a portarsi dietro e dentro proprio la questione del sentimento; per questo è spesso a sua volta delegata a rappresentare l'immagine stessa della politica nella sua forma e condizione più viva e vitale, quella che arriva ali' impegno, ali' abnegazione, alla fede. E comunque, anche se lo stereotipo della politica è oggi divenuto più compassato o più calcolatore, è vero che l'immagine dei comunisti e del comunismo italiano supera ancora e sempre il maquillage, arriva almeno all'abbigliamento: è forse la sola a essere ancora indossata come fosse un'identità. Su questa "identità" è rifluito e si è attestato l'antico calore emotivo: il sentimento tante volte rimproveratò e autÒCriticato ha perso lo spazio e la libertà di una sua passionale circolazione, si è come coagulato ed è passato a colorare l' immagine. E per quanto limitato e sgradevole possa sembrare, questo ematoma è tutto quello che è consentito dalla modernizzazione, dalla laicizzazione, dalla yuppizzazione della attuale cultura politica e dalla sua forsennata attività amministrativa. · In particolare nel simbolo del Pci démodé e ferrigno, ultima traccia del lavoro manuale e dell'archeologia industriale, ma soprattutto nel nome "comunista" si è andato a collocare e a rapprendere quel misto di entusiasmo e di disponibilità che caratterizzava la "militanza"; quel nome e quel simbolo hanno assunto il compito di trasmettere come un' informazione genetica di diversità, mentre i comportamenti, i valori, le scelte si sono adeguate e modellate sul piano necessario della tattica. Finchè reggeva quel simbolo tutto poteva diventare tattica, anche la strategia, anche il ricambio o la revisione ideologica. L'orgoglio dell'identità Non è un problema di Storia, ma l'esito di un processo di trasformazione recente della cultura politica, cui i comunisti - come tutti gli altri - si sono sottoposti, a caricare di importanza eccessiva il nome e il distintivo. E i comunisti-più degli altripagano o pagheranno caro la perdita del nome, in ragione dell 'importanza - anche soggettiva - della loro "diversità". Non è un caso che soltanto a loro è stato richiesto. Loro sentono che quelli (o quella realtà) che li spingono a questo sacrificio, sono contro quella diversità su cui si ostinano. Una diversità che è restata appesa all'immagine, che permette di esibirla o viverla come un 'identità, perché mantiene lo spazio per una tensione ideale ed emotiva o appena soltanto per la sua memoria. Gli altri sembrano aver superato da tempo questa equivoca situazione, non vedrebbero così grave, soprattutto, e vedrebbero conveniente il q1mbiamento del simbolo e del nome;la modifica cioè dell'immagine. Finalmente anche per i comunisti è così - nei fatti-, ma evidentemente non è ancora un dato passato nella loro cultura se, talvolta ... "basta la parola!" E dev'essere importante anche per gli altri quell'ultima parola che funziona da· contrassegno e sulla quale si basano le possibilità di connotazio- . ne e riconoscimento di molte altre definizioni partitiche, di molte altre parole politiche. In fondo è per via di questa minaccia al vecchio obsoleto ma non ancora sostituito Nocabolario di simboli e di parole d'ordine, per questa perdita complessiva dell'intero presepe politico dell'Italia Divisa di un tempo, è per questo che il dibattito sulla probabile fine del nome "comunista" interessa la chiacchiera di tutti e non solo la discuss~one politica (e sentimentale) di un partito. Solo così si spiega l'invadenza dell'incoraggiamento al "sì", o la partigianeria della conservazione del "no", cioè la stupefacente mobilitazione e partecipazione fuori dal Partito al test proposto da destra alla "svolta", mentre non è altrettanto limpido l 'interessàmento per la difesa della tradizione da parte dei lettori e tifosi del "Manifesto", degli insegnanti ex-extraparlamentari, • dei piccoli allievi-à-penser del rinnovamento e di molti ex-disimpegnati e disoccupati della po\itica. II loro "no" tanto perentorio quanto "esterno", talvolta di occasionali e infedeli elettori nemmeno troppo simpatizzanti, fa pensare. Non è il rifiuto o il dubbio dei vecchi leader storici o dei militanti più datati o più di periferia; eppure come quelli anche questi si appellano all'Orgoglio e alla Storia come per uno strano transfert, o meglio come per confessare l'esistenza di una sotterranea continua delega al Pci, evidentemente sempre considerato in comoda funzione patema. E forse, perché no?, autoritaria. Intanto per tutti, iscritti e coscritti del dibattito obbligatorio, il cambio del nome è un dramma che ha forse una facile spiegazione, ma di difficile accettazione. Non è soltanto un problema di muro o del socialismo reale che ha dichiarato fallimento, né delle vergogne o dei delitti che si cqmpivano contro la libertà e, molto più gravi, contro l'uguaglianza. Certo l'occasione e la sorpresa della presa d'atto autocritica e popolare dell'est, ha rotto anche per gli ultimi kabulisti l'incantesimo della disinformazione voluta o l'alibi delle note d'agenzia Tass. Ma è vero che da molto tempo la distanza con l'est e il suo interminabile stalinismo è motivo di orgoglio per i comunisti italiani (anche un po' troppo enfatizzato e soprattutto troppo smemorato per essere così strombazzato). Non è nemmeno un problema di anticapitalismo da difendere e magari collocare nella terza via, nell' eurotentativo o nel governo ombra. · Il Pci ha già attraversato il compromesso storico, il governo di unità andreottiana, ha cogestito le ultime crisi e austerità, ha scelto là Nato e l'Occidente, ha progressivamente trasformato la sua definizione di "progresso" fino a farla in larga parte coincidere con quella delle forze della reazione di ieri, è stato l'ultimo partito a comprendere il segno anticapitalista del '68 e del '77 - se mai c'è riuscito - e dei giovanilismi, dei femminismi e degli ecologismi, è stato il censore di tutti i movimenti, di tutte le aperture, di tutte le eresie ... salvo recuperarle in ritardo sotto forma di riciclaggi, di candidati ed elettori, previo processo di istituzionalizzazione e di allineamento. Il centro del problema è invece proprio quello di chi si ritrova al termine di un processo di omologazione cui, per amore del progresso e del realismo, non si è opposta mai resistenza e forse nemmeno coscienza. Adesso dall'omologazione si deve passare all'analogia e questo sembra troppo, ma è ancora una volta una reazione "sentimentale". Magari allora si cogliesse l'occasione per fare del sentimento, della tensione, un valore invece che una vergogna; magari.si avesse l'opportunità e la forza di considerare quel trascurato e svilito "patrimonio" che sta dietro e dentro la paura di perdere questa strana e antistorica "identità". Ma in che consiste quel patrimonio che sembra ridotto a una sigla e racchiuso in una parola, ed è il solo apprezzabile segreto della identità politica d'antan? Non è certo il prodotto di una storia di cui andare orgogliosi, quando. "comunista" era lo stemma e lo stigma di una contraddizione tra passione e prepotenza, tra speranza e menzogna, tra tanti sacrifici e altrettanti misfatti, che ha segnato gli ultimi quarant'anni di storia italiana e che tutto sommato non suscita onesti rimpianti ma qualche, spesso disonesta, nostalgia. È che dentro, ma anche fuori di quella storia la parola comunista è stata ed è una delle più belle, proprio perché non è radicata ed ereditata dal passato,' ma proiettata e fondata nel futuro. Non è "comunista" la parola inadeguata ma i molti che hanno voluto inverarla o sfruttarla, non importa se tutti in buona fede o con le migliori intenzioni. Non c'è d'andare orgogliosi del proprio passato da comunista, in nessun caso questo orgoglio sarebbe possibile: nessuno può dire di averla vissuta, ma semmai testimoniata o soltanto attesa. Né è vero che questa parola

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