MUSICA SUPPONENZA D'AUTORE GUCCINI EGLIALTRI:LEINSIDIOSESAGGEZZE DELCANTAUTOREITALIANO PaoloGiovannetti Forse è ingenuo chiedersi perché i cantautori italiani- maestri a modo loro di una poesia di massa- si ostinino da un po' di anni a questa parte a sfornare volumi di prosa e non battano la strada a loro apparentemente più congeniale della poesia-poesia, quella scritta, quella che si legge. Ingenuo, dico, perché le ragioni tutti le conoscono, e non è chi non sappia che la poesia non vende, è priva di pubblico, viene consumata solo dagli addetti ai lavori: e come si potrebbe chiedere a chi è ormai avvezzo alle alte tirature (fonografiche) di accontentarsi di una circolazione (libraria)' semiclandestina? Ma le ambizioni letterarie e poetiche nei cantautori d'Italia ci sono sempre state; anzi qualcuno crede che proprio nella disponibile apertura a una letteratura diversa da quella ufficiale i cantautori abbiano trovato la strada del successo. Sostituire Alleo Ginsberg a Montale, Jacques Prévert a Ungaretti, l'Antologia di Spoon River al petrarchesco Canzoniere, Bob Dylan alla neoavanguardia ha certo avuto interessanti conseguenze, antiistituzionali e irriverenti, che hanno riconciliato il pubblico italiano con il linguaggio della lirica. Ma le ambiguità, in questo universo parallelo (cioè paraletterario), sono state molte, e non soltanto perché, se di poesia si tratta, trattasi anche di poesia orale, consumata nel limbo incerto della musica, dove incontrollabili e incontrollati effetti di senso travolgono le griglie della scrittura, ed evocano una dimensione affettiva di difficile, se non impossibile, razionalizzazione. Tutto vero, senza dubbio (e il discorso dovrà essere ripreso); ma, appunto, c'è dell'altro. Teniamo intanto presente il solo Guccini, il cantautore che da 88 una ventina d'anni a questa parte ha stupito per la sua capacità di scrivere testi dignitosissimi, persino troppo tradizionali e leccati (personalmente mi incuriosisce la sua versificazione tutt'altro che irregolare e sciatta-come quasi sempre accade nel resto della pattuglia cantautorale- e persino in grado di introdurre qualche innovazione metrica non trascurabile). Il fatto è che Guccini la letteratura italiana la conosce, tanto da aver fondato una koiné in cui, poniamo, Carducci e Gozzano possono convivere con Leonard Cohen e Georges Brassens, Moretti e Montale con Bòb Dylan e Donovan. Guccini ha dato di sé un'immagine dimessa e paternalistica insieme: aperta sì alle storie del quotidiano, ma anche pronta ad affermare una voce di saggia eloquenza che riconduce lo sfacelo della vita alle leggi ferree d'un destino a dir poco eterno. Tutto va male, la sfiga è universale - ci ha detto per anni Guccini -, ma se fate come me, se guardate al mondo con disincanto, qualcosa alla fine portate a casa (ancora in Signora Bovary, che è dell'87, si legge-ascolta: "e vedrai/ che confuso problema è adoprare la propria esperienza;/ Culodritto, cosa vuoi che. ti dica?/ Solo che costa sempre fatica/ e che il vivere è sempre quello, ma è storia antica" - e sono disponibile a offrire privatamente una decina di esempi dello stesso tenore tratti dall 'opera omnia gucciniana). In Cròniche epafaniche (Feltrinelli, L 20.000) le cose sembrerebbero andare, almeno a un primo sguardo, in modo leggerDolla, Guccini e Vecchioni in una foto di Silvia LelliMasotti (da Ritraiti senza posa, Mazzetta 1985).
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