Linea d'ombra - anno VII - n. 44 - dicembre 1989

MUSICA RAP STORIAESVILUPPDIIUNA MUSICAPARLATA AlbertoPiccinini Le origini Alla fine degli anni Settanta né la discoteca né la febbre del sabato sera andavano propriamente a genio ai ragazzi del Bronx:. Colpa del prezzo del biglietto, forse. Colpa dell'appeal così femminile e narcisista della discomusic: i ragazzi del Bronx, si sa, sono fatti ali' antica. Per questo i ragazzi presero a riunirsi nei parchi e agli angoli delle strade attorno al sound system e ai d.j. che si sfidavano in velocità e bravura. Come breakdancers, graffitisti, aspiranti d.j., semplici tifosi, presero a far parte anche loro della battaglia rumorosa che cominciava a far capolino nelle strade. Si è sottolineato spesso, proprio per questo, come la prima cultura hip hop fosse un antidoto alla violenza del ghetto. Una battaglia simbolica, di creatività e confusione, in luogo della battaglia 'vera' per il controllo militare del territorio.Tutt'al più un buon motivo di distrazione. "Molta gente crede che tutto sia venuto dal South Bronx", ha raccontato Afrilca Bambaata, una delle figure più influenti del primo rap, "ma ufficialmente il movimento è nato nel West Bronx perché Kool Herc veniva da quella zona. Solo più tardi io e Grandmaster Flash cominciammo a fare i d.j. nel South Bronx. Io seguivo un d.j. che suonava heavy disco. Ma Herc suonava i dischi che già avèvo a casa, che ascoltavo da sempre. Così ho finito la scuola, ho comprato un sound system e ho iniziato a suonare per strada. Avevo già un buon seguito al tempo delle gang. Ogni mio party era pieno di gente." Kool Herc, nato a Kingston in Giamaica ed emigrato a New york, il mitico inventore dello stile del d.j. hip hop, portava con sé soprattutto la tradizione dei sound system giamaicani, le grandi discoteche ambulanti che si sfidavano a colpi di watt per riuscire a coinvolgere più gente possibile nella festa. Al sound system lavoravano un selector, addetto a suonare i dischi, e un d.j., che lanciava frasi di richiamo e lunghe improvvisazioni verbali nello stile del toast. Il toaster giamaicano, così, è in qualche modo antenato del rapper, mentre l'arte del d.j. newyorkese sviluppa le tecniche di sovrapposizione di due dischi già usate nella discomusic, l'uso creativo dei piatti col supporto della batteria elettronica. Per i d.j. hip hop non si tratta più di miscelare due dischi, ma di creare una base ritmica continua attraverso l'uso e la ripetizione di frammenti di battute e parti ritmiche, i cosiddetti breaks. "Andavamo in cerca di queste parti di percussioni che facevano ballare la gente," racconta Jazzy Jay, "molte volte era solo un frammento di due secondi, un suono di batteria, un break di percussioni. Li prendevamo e li mixavamo uno dopo l'altro, fino a farli durare 86 • venti minuti o più. Probabilmente erano dischi che non avevi mai sentito se non avevi a che fare con la cultura hip hop: Apache della lncredibileBongo Band, Scratchin' dellaMagic Disco Machine, Mambon.5 di Perez Prado.11 problema era quello di trovare dischi che nessuno aveva, inventarsi delle routine sorprendenti". I d.j. e loro assitenti battevano i mercatini e i negozietti dell'usato per trovare dischi nuovi - anzi, vecchi. Non era certo un problema di musica nera o musica bianca. Potevano andar bene iKraftwerk, Eumir Deodato, JamesBrown ( il più saccheggiato in assoluto dell'intera storia del rap ), Kool and the Gang. "Ho comprato Apache degli Incredibile Bongo Band per un dollaro", ricorda Bambaata, "e ci ho fatto una fortuna". All'inizio lostessoBambaatae,gli altri cancellavano le etichette dai dischi perché nessuno copiasse i loro tesori, poi nacquero delle collane specializzate per d.j.: come Ultimate Breaks and Beat, una ventina di volumi di canzonette di ogni tipo, in versione bootleg, per lo più non autorizzata. L'intero scibile della tradizione rap. Ci vorrà la nascita di alcune etichette discografiche indipendenti, la Sugarhill Record e la Tommy Boy, perché il rap cominci a girare anche su disco. Nel 1979 Grandmaster Flash realizza Rapper' s Delight, il primo disco di rap, per la Sugarhill, tagliando e. rimontando, tra l'altro, Good Times degli Chic e Another Pass the Du.tch dei Queen. Si capisce subito come Grandmaster Flash e Kevin, due artisti del' rap !foto di Patricio Bates), una pratica del genere ponga infiniti problemi di autorizzazione e di copyright: quelli che continuano a pendere sulla testa del rapper ancor oggi, nell'epoca del campionamento digitale. Solo due mesi fa i First Choice hanno negato ai De La Soul l'uso di un loop di pochi secondi di un loro vecchio pezzo . Ancora dei primi anni Ottanta è la realizzazione di due classici rap come Planet Rock di Afrika Bambaata e The Breaks di Kurtis Blow, e soprattutto del rap militante The Message di Grandmaster Flash and the Furious Five. Scratchin' Il lavoro e l'abilità del d.j. bip hop è quella di annullare i margini, mettere in evidenza le parti ritmiche, smembrare la forma chiusa della canzone. Il suo patchwork, in fondo (o il bricolage, per dirla con Levi Strauss) non è altro che una delle pratiche linguistiche fondamentali delle culture popolari. Allo stesso tempo l'hip hop gioca un gioco tecnologico, perfettamente inserito nei meccanismi di senso della cultura metropolitana. L'uso non previsto dei dischi, presi, fermati e .scratchati con le mani, l'uso della batteria elettronica, la popolarità di uno strumento apparentemente inutile come il ghetto blaster, il megaregistratore lanciato sul mercato proprio alla fine degli anni Settanta. Sono invenzioni a cui deve qualcosa tutta la produzione pop-dance degli anni Ottanta, l'uso massiccio dei cosiddetti remix, basati proprio sulle tecniche di smontaggio e rimontaggio delle parti ritmiche di una canzone. Fino a trovare, lungo questa strada, un altro punto di contatto con la musica giamaicana che aveva fatto del lavoro di studio, dell'uso dell' eco e dei riverberi, delle manipolazioni dei nastri, della teoria della version un segno costitutivo del suo linguaggio. L'uso non previsto (popolare?) della tecnologia, in effetti, è uno dei grandi nodi politici e di conflitto nelle culture metropolitane (né più né meno che le pratiche fuorilegge degli hackers dei computer). In altre parole il rap riassume e prosegue i linguaggi della tradizione afroamericana: il bebop e la sua capacità di agire sul piano verticale/paradigmatico della v~azione e dell'abili-

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