Linea d'ombra - anno VII - n. 44 - dicembre 1989

MUSICA occasioni di contatto tra culture diverse, di cui giustamente si colgono le potenzialità innovative, a una banale ideologia delle magnifiche sorti progressive della "contaminazione", del "nomadismo", eccetera, che fa velo a una valutazione lucida e disincantata degli esiti concreti: ideologia consolatoria, anche se, ritualmente, viene fatta menzione dei rischi che l'incontro di culture può implicare. In questa prospettiva abbondantemente idealistica, si finisce fra I' altro per perdere di vista il dato per cui la combinazione di apporti musicali differenti non è sempre e tutta spontanea, maè s~prodotta, ovviamente, da condizionamenti, diretti e indiretti, del mercato e dell'industria discografica occidentali. D'altro lato si può constatare che parole come "contaminazione" vengono utilizzate come formule magiche buone per tutte le stagioni da una critica che se ne serve come copertura à la page della mancanza di strumenti necessari per articolare un giudizio proprio: una critica che per lo più si è formata sul rock e che in parte è stata chiamata a sostituire il vecchio critico di musica "leggera" e a occuparsi, fatta salva la musica classica, grosso modo di tutto, da Claudio Baglioni a Phil YoussouN'Dour (lotodi Sheila Rock). Glass. Priva di ogni rapporto con la nuova musica africana (ma il discorso potrebbe essere esteso alla sua relazione con altri campi musicali) che non sia quello, misero, consentito dal filtro promozionale delle case discografiche, .in possesso di pietre di paragone solo sul versante occidentale della contaminazione, questa critica è incline a considerare la nuova musica in arrivo dall'Africa sostanzialmente come una variante del rock e/o come una ruota di scorta rispetto al suo declino inventivo. E non solo perché generalmente corriva nei confronti di quello che passa il convento,ma anche perché senzacompetenza e pas~ionespecifica, e forse frenata da un certo paternalismo, si accontenta di molto poco. Parlando di corruzione, non lo si fa naturalmente avendo in mente una qualche "purezza" della musica africana, ma una capacità di.fare tesoro di di elementi recuperati da altre tradizioni, con estrema disinvoltura, però seguendo un'intima esigenza creativa, e di assimilarli elaborando nuovi linguaggi secondo logiche autonome, con conseguenze estetiche di alta dignità e coerenza: capacità di cui la musica africana moderna, da decenni a questa parte, ha fornito grandi prove. Non è il caso degli ultimi dischi di Youssou N'Dour, Selif Keita, Ray Lema. Difficile stabilire dove finiscano cattivi propositi e dove comincino cattivi consigli, o, più seccamente, scelte che passano sopra la testa degli artisti africani: comunque vada ripartita la colpa, rimane il fatto che questi tre album sono, in parole povere, brutti e noiosi. La questione della salvaguardiadi una propria identitàoriginale Youssou N'Dour sembrerebbe porsela in modo scrupoloso e radicale, se si deve restare alle interviste che ha rilasciato in occasione dell'uscita del suo The lion (Virgin): "Non si può fare un disco come il mio in Africa, ma dover venire qui per realizzarlo fa perdere qualcosa, impedisce di sentirsi veramente a proprio agio. Prendiamo un musicista africano che arrjva in uno studio modernissimo:nonèpiùcompietamentelostesso,c'èlatecnologia che gioca il suo ruolo, avrebbe bisogno di prendere confidenza con lo studio e ritrovarsici". Purtroppo The Lion ci presenta un'identità vacillante: l'intervento di Peter Gabriel (mentore di Youssou N'Dour nello star system pop) e l'inserimento di strumentisti come Manu Katcke e David Sancious, dell'entourage del musicista inglese, si traduce in una torsione in senso rock della musica della "voce d'angelo" di Dakar, di cui, se deve essere così poco entusiasmante e attaccata a stilemi petergabrielliani, non si sentiva affatto il bisogno; ma c'è soprattutto un esangue allontanamento dalla forza del mbalax, la cultura musicale da cui Youssou N'Dour proviene: mbalax apparso debilitato, va aggiunto, anche fuori dei confini del disco, nelle recenti esibizioni del cantante senegalese a cui si è avuto l'opportunità di assistere. Per Selif Keita (l'ultimo che compare in una sequenza di Yeleen di Cissé) il compromesso è programmatico: "Il mio tradimento è legittimo" ha dichiarato parlando con Philippe Conrath di "Libération" del suo Ko-Yan (lsland); "lo sono qui per farmi capire da gente che non conosce la mia cultura". Malgrado la giustificazione, tuttavia, anche un critico certamente non sospetto di particolare severità come Conrath non ha potuto fare a meno di lasciar trapelare la sua insoddisfazione. In effetti è difficile reggere senza irritazione l'ascolto di un album in cui la straordinaria vocalità del cantante maliano, di trasporto drammatico, si trova incastrata in un pesante ed estraneo inquadramento ritmico, dentro arrangiamenti così facili e con soluzioni cosi trite da risultare al limite della volgarità. Per Ray Lema non si tratta di compromesso: ·:Può darsi che ancora la gente non se ne ac~rga", ha spiegato sempre a Conrath apropositodiNangadeef(lsland), "madigiomoingiornodiventa sempre più grande il numero di quelli che non stanno più da nessuna parte. I musicisti di soukouss, di reggae e di jazz hanno i loro titoli di nobiltà; ma oggi si assiste ali' emergere di una nuova razza di musicisti senza uno stile preciso. Trovo mortale sorbirmi un iriteroalbum di rumba o di reggae, io non credo più allo stile. Lavorando per una generazione esplosa, trovo insopportabile essere specializzato". Ma, passando dalla.teoria e dalle ambizioni all'ascolto, il nuovo disco del musicista di Kinshasa (con un solido e variegato background che comprende anche una formazione classico-occidentale) non è un lavoro che si collochi oltre leappartenenze stilistiche,ma, semplicemente, stilisticamente sfilacciato (in cui fanno capolino echi di cose altrui: un sax che sembra preso di peso da un disco di Sting, una voce alla Prince, eccetera) e senza carattere: che mentre non propone nulla di nuovo, non fa neppure onore alla gloriosa tradizione zairese di musica irresistibile da ballare. 85

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