Linea d'ombra - anno VII - n. 44 - dicembre 1989

MUSICA un organo elettrico, e molto meno ad uno come questo qui, cava fuori dei suoni che ricordano un vecchio sintetizzatore AtwaterKent. (Poi egli fa qualche exploit più importante, come localizzare il pedale per il controllo del volume e calcolare come poter muovere la mano destra per ottenere un effetto di tremolo, sul tipo di Jimmy Smith, con un compressore d'uscita, ma tutto questo non è un grande aiuto). Eugene Wright, il nostro nobile bassista, ed io ci scambiamo a turno il microfono, palleggiandolo avanti e indietro fra di noi, suonando ritornelli brontolanti e funesti, ma il solo suono che possiamo sentire viene dai nostri amichevoli vicini del concorso ippico. "Salto", ruggisce, "Galoppo ... Trotto ... e il vincitotore nella categoria dodiceni è... Jaqueline Higgs!" Come sempre in situazioni difficili come queste, ci affidiamo al nostro uomo fondamentale, primo virtuoso del gruppo, la Maria Callas della batteria, Joe Morello, che già più volte ci ha salvato dal disastro, da Grand Forks a Rjkot, India. "Tocca a te", gli diciamo, "dacci dentro", che di solito è come dare un abbonamento aereo a un contrabbandiere. E, a sua eterna gloria, Morello surclassa se stesso. Tutti i piatti tintinnano, tutti i piedi lavorano. (Morello ne ha molti. Non molta gente lo sa). Ora si esibisce in quelle triplette ai tamburi che hanno fatto traballare i muri dall'Odeon Hammersmith alla Free Trad~ Hall e hanno fatto diventare Buddy Rich più verde del solito dalla gelosia. Il concorso ippico d'improvviso ammutolisce. Sulle gradinate indugiano i ventagli. D'improvviso un tizio sbuca dal tendone dei cavalli, si precipita verso il palco e strilla a Brubeck: "Cribbio, vuoi dire al batterista di fare più piano? Sta terrorizzando i cavalli!" Mai un gruppo ha accettato la sconfitta con meno grazia. Suoniamo una sorta di Muzak ancora per un po', poi filiamo via. Quando torniamo alle otto è tutto diverso. È stato trO\'.atoun piano, le gradinate sono piene dei nostri geriatrici seguaci dai venticinque in su e noi possiamo dar vita a un concerto almeno rispettabile. Anche così siamo sopraffatti dal gran finale della fiera: la dimostrazione di lotta antincendio. Un gruppo di locali è stato bardato e spunta fuori come se venissero dall' Hindenburg e i loro riti stessero per cominciare. Ma invece di starsene tranquilli dietro il palco fino al loro grande momento, si mescolano a caso con amici e parenti fra il pubblico, trincano. birra, biascicano pop-com, spargono una inquietudine felliniana fra la gente e svalutano di molto l'effetto della loro apparizione finale. Dopo la loro comparsa si arriva all'evento principale della fiera, preparato certo per anni: la distruzione di un'auto in fiamme, seguita da quella di un aereo incendiato, entrambi approntati con efficacia dal Corpo di Pompieri di Middletown. A un'estremità dell'ovale c'è un'auto in precario equilibrio; dall'altra un mozzicone veramente impressionante e scheletrico della coda di un monomotore. Al centro, l'autopompa di Middletown, irta di scale e tubi, formicolante di volontari. Il silenzio piomba sulla folla. Al segnale del capo dei pompieri la macchina viene incendiata. L'autopompa la raggiunge in due secondi, durante i quali il fuoco è più o meno simile a quello creato da una sigaretta lasciata per due o tre secondi sul sedile posteriore. Viene spento da molti uomini con svariate pompe. Un mormorio percorre la folla. Il capo dei pompieri, dolorosamente preoccupato che questo suo momento di gloria sia in pericolo, segnala che venga incendiato l'aereo e avverte l 'autopompa di prendersela tranquilla, così che il fuoco, all'arrivo, sia un po' più rispettabile per lo spettacolo. L'autopompa parte alla velocità di un furgone che cerchi il parcheggio adatto. L 'aereoplano fa WHOOSH! come una lampadina da flash e quando l'autopompa arriva traccheggiando, si trova davanti un grazioso fuoco da campo, largo abbastanza per arrostirci degli spiedini. Più tardi, quattro visi-pallidi, occhi-torvi, stipati in un furgone si allontanano. Non può essere una rapina in bancà. È un modo di vivere. (da "Punch", 10 gennaio 1973) CONTAMINAZIONE EMERCATO L'IMPASSDEELLAMUSICAAFRICANANEI NUOVI DISCHI DIYOUSSOUN'DOUR,SELIFKEITAR, AYLEMA Marcello Lorrai Tre degli esponenti più in vista e apprezzati in Europa della giovane generazione della musica africana, Youssou N'Dour, Selif Keita e Ray Lema, sono arrivati nell '89 alla pubblicazione di un nuovo album dopo una pausa di uscite discografiche personali, per tutti abbastanza lunga e vistosa soprattutto per il primo, oramai accreditato a livello internazionale come una delle maggiori star dell'odierna scena musicale del "continente nero". L'attesa non è compensata dai risultati cui ci si trova di fronte: l'ascolto degli album, entrati in circolazione pressapoco contemporaneamente alle soglie dell'estate, invita anzi a marcare le distanze da troppi superficiali consensi. E conferma nella convinzione che se c'è stata una fase in cui può essere valsa la pena di chiudere un occhio sulla qualità intrinseca di certi apporti dell'attuale pop africano, sulla base di una considerazione di opportunità, quella di far prevalere sulla nettezza del giudizio l'incoraggiamento a prodotti di "mediazione" (Mory Kante, per fare un nome) che potevano svolgere un ruolo di battistrada nel mercato e nella sensibilizzazione occidentali, richiamando l'attenzione su tutta una nuova onda musicale, questa fase pare adesso il caso di cominciare a considerare conclusa. 84 La "scoperta" della musica africana contemporanea, e nel complesso della cosiddetta worldmusi e, sì sta infatti rapidamente generalizzando persino in ambiti abbastanza improbabili: e una svolta premesso che per il breve e medio periodo non c'è d'aspettarsi che al gran parlare e civettare con la musica africana possa corrispondere per l'insieme della sua produzione l'apertura di spazi di mercato davvero rilevanti (l'inerzia dell'industria discografica in questo campo si ha quotidianamente occasione di toccarla con mano), il problema principale non pare più quello di favorire l'occupazione di una testa di ponte, ma quello di arginare la corruzione (si intende qui sul piano estetico) della musica africana che riesce a essere servita anche sul piatto del consumatore occidentale, e quindi di quella che}e sta dietro e che può avere il miraggio di un analogo traguardo. Volendo chiamare le cose con il proprio nome, è proprio in termini di corruzione che ci si dovrebbe esprimere in molti dei casi in cui sente invece far riferimento a concetti come quello, per esempio, di "contaminazione". Da un lato si può in effetti osservare come sia diffusa la tendenza a scivolare da un sincero e motivato interesse per le

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