Linea d'ombra - anno VII - n. 44 - dicembre 1989

TEATRO go per tenere dei tempi da spettacolo. Poi la voce, in cui il testo s'incarna e per la quale a me spettava di trovare un itinerario, avrebbe dovuto fungere nello spettacolo da accompagnamento e da guida, una musica di sottofondo o un controcanto per le azioni che si sarebberò dipanate da quel punto di partenza. Il nodo poteva consistere nella definizione delle tre parti: quella "prima di Pim", in cui il soggetto senza nome, forse l'io narrante, o il punto di riferimento della-voce, si trova senza saperlo in viaggio verso costui; quella "con Pim", in cui, arrivato al contatto, si trasforma in carnefice dell'altro; quella "dopo Pim", in cui, abbandonato dal partner, si sposta verso un nuovo incontro, da vivere nel ruolo di vittima, ma stavolta "sapendo". Chiamiamo la prima A, la seconda B, la terza C. "Di una sola eternità farne tre", dice Beckett attraverso la voce. Ora A, Be C sono tre momenti separati nel tempo e nelle funzioni, esemplari in quanto destinati a proiettarsi nel passato e nel futuro come prototipi, ma difficili a districare l'uno dall'altro, ridondanti come sono ciascuno dei segni, i depositi, le anticipazioni degli altri due; così come al'loro interno si susseguono le ripetizioni di motivi, parole e situazioni, in una serialità impossibile da eliminare per un procedimento di semplificazione, pena una caduta stilistica e espressiva. Ma le tre parti sono anche diversificabili nella scrittura, erelativalet- • tura, faticosa, spezzata, piena di ostacoli e di sospensioni in A, come se la voce stesse ancora cercando le parole o riemergendo dall'afasia, e ali' interprete toccasse per converso trovare la punteggiatura rifiutata e le maiuscole non scritte, al fine di stabilire dei tempi e cogliere un senso: per poi arroccarsi, la voce, su incrostazioni di comodo, che rendono ricorrenti, sempre in A, le iterazioni e la ritmicità delle formule scovate, e di conseguenza un'andatura irregolare ma meccanica, suscettibile di essere tradotta in cadenza musicale. In B invece, salvo il manifestarsi di qualche incidentale, la frase assume una sua continuità, e nell'arco del periodo, tra una scansione e l'altra, diventa discorsiva, a tratti addirittura frivola con un sospetto di mondanità, conseguente - è chiaro - non solo ali' impratichirsi della voce nel linguaggio, ma anche al passaggio da un monologo in solitudine aun rapporto a due, rivelazione di unminiconsorzio umano. E in C, nuovo stadio di evoluzione, si libera addirittura al piacere dell'eloquio, allo sfoggio di colui che vuole mostrarsi informato, e magari si esibisce come un entertainer, fa la spiega come un professore, costruisce le sue speculazioni come un filosofo. Ecco già una scala di modalità espressive che postula una diversa gradazione di esposizione e di offerta. Ma c'è anche un diverso supporto visivo, dato come alternativa al buio e al fango immanenti nel presente, un'evasione mentale nello spazio e nel tempo. In A fanno capolino i flashback, i ricordi, le immagini rubate auna precedente e ipotetica "vita nella luce" -isolate da premesse di preannuncio al ritorno all'oscuro, o di attesa, e seguite da commenti, - che in B vengono sostituite da quelle che la voce chiama "scenette": fantasie, sogni, visioni, trascrizioni da quaderni stilati da un immaginario testimone a documentare quello stato. In C scompare invece ogni intenzione del genere, dato che tutto il corpo della sezione consiste in una proiezione delirante, nella creazione autosufficiente di un sistema maniacale che tutto ingloba, anche la propria negazione. Infatti il rigore di questo ordine costruito non sfugge alla relatività per cui ogni affermazione può essere contraddetta e ribaltata, ogni ipotesi è demandata a una impossibile verifica. Per esempio, la prova del1'esistenza di Dio, che occupa intere pagine e arriva a identificarla prima nella presenza di un testimone, poi di un sorvegliante che distribuisce sacchi.agli sfortunati viaggiatori a cui ha tracciato i tragitti, è allo stesso tempo una parodia delle dimostrazioni teologiche sull'argomento; e non va letta senza coglierne l'accento ironico, o l'entusiasm~ di chi vuole ottenere a tutti i costi un risultato consolatorio. Né va distaccata dai brani che successivamente la rinnegano; così come tutto il castello di questa speculazione crolla alla fine sotto il colpo di una serie di domande con risposte terroristicamente nichiliste. Ma chi potrebbe dar fede definitiva a tale rovesciamento? Anche questa prospettiva ribadisce la presenza, in C, di brani che possono essere sottolineati rispetto al contesto gene.raie, essendo sufficiente il passaggio dal registrato continuo di sottofondo a m affacciarsi dell'amplificazione in primo piano, o a un affidarsi alla viva voce in diretta, o a una evidenziazione per iscritto, su cartelli o tavole. E questo vaie anche per certe rotture liriche che si manifestano soprattutto inB; ma quando ci si trova di fronte a flashback o a "scenette" verrebbe da suggerire di differenziarle nettamente dal resto cioè da una situazione a cui sono estranee, sottraendole quindi alla voce, e rendendole immagini senza mediazioni verbali: sta quindi alla regia sceglierne i campioni e il tipo di diffusione, se dal vivo con cambi di luci o sovraesposizioni, o per riproduzione cinematografica o elettronica o, perché no, fotografica Intanto io cominciavo a escludere tutte queste parti visive dal testo parlato, per trasmetterle come materiali alla compagnia, guadagnandomi così i primi tagli. Gli altri sarebbero venuti dall'individuazione di un teina specifico e dominante, da privilegiare in ciascuna delle tre sezioni. In A, come è tipico di una fase introduttiva, sembra imporsi il desiderio di autoconoscenza del personaggio, comune a lui che debutta, ma anche a chi l'ascolta, inteso come pubblico, bisognoso di connotazioni, su di lui, sul suo stato, sulle abitudini a cui è costretto, soffermandosi su descrizioni illustrative, spinte fino al dettaglio e fino a acquistare nella resa vocale una ritmicità meccanica. B invece trova chiaramente il suo senso nel rapporto tra ilrnisterioso soggetto e Pim, dalla scopertadell' altro allo svilupparsi del contatto, all'invenzione di un linguaggio per comunicare, al sospetto del sentimento, ali' abbandono. In Cbisognava documentare l'ipotesi cosmologica con la sua scientificità, la sua-assurdità e la sua giustjzia, fin nelle pieghe più esasperate e nei risvolti di dubbio. Si trattava di asciugare questi schemi e ci si poteva arrivare, dopo molte limature, solo con una serie di letture a alta voce alla presenza di Federico, per cogliere immediatamente le sovrabbondanze, insieme agli intrecci di motivi e agli spunti da interpretare. Ma c'era soprattutto da controllare che si rimanesse in un tempo tale da reggere l'ascolto, anche se non tutto sarebbe stato necessariamente da ascoltare, e se una verifica di tenitura poteva dipendere solo relativamente da una dizione a tempi superaccelerati, non da attore, senza intonazioni o insistenze sui significati, in un partito preso di pura trasmissione di dati. Ma si trattava soprattutto di "sentirla" soggettivamente, di soppesarla, di possederla fino in fondo questa voce che dà la vita, che è il solo modo questa vita di viverla, questa voce temutaperlasuaresistenza implacabile e accolta col sollievo di chi finahnente la sente ritornare dopo una pausa, voce che detta gli atteggiamenti e chiede di essere imitata, facendo uscire il soggetto io dal silenzio; anzi provoca la propria riproduzione, ridestando questa eco, di cui si parla come del primo uomo rispetto al Creatore: "a immagine stessa di questa voce dieci parole quindici parole lungo silenzio". AspeffondoGodo! messo in scena da Roger Blin con P. Latour, R. Blin, L. Raimbourg, J. Martin ( foto Bernard, Parigi, 1953). 81

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