del Kant, una ripresa (più spontanea che derivata) dei temi "morali" di alcune figure del primo ventennio: Michelstaedter, Boine, Clemente Rebora; un'apertura, alla molteplicità del tu-tutti, della teogonia dell'atto gentiliano. Se i miei Elementi del,'37 potevano appartenere ad una letteratura esistenzialistica, per altro verso il richiamo al singolo era inquadrato, appunto in nome del1' "apertura" e di una escatologia. Il libretto degli Atti della presenza aperta espresse, nella forma letteraria di salmi molto sintetici, questa posizione costruttiva di apertura. Mi pare che si realizzasse così quanto era stato cercato dai "moralisti" in Italia dal1'inizio del secolo. E la mia disciplina costante era stata di utilizzare il Croce per ciò che egli poteva dare per la distinzione e la conoscenza dei valori, specialmente estetico, ma di non accettare l'immanentismo del suo umanesimo, e la sua etica e politica. Mi pareva anche che io avessi fatto un notevole passo in avanti rispetto al modernismo e ai tentativi spiritualistici di riforma religiosa da Ernesto Buonaiuti a Piero Martinetti, due persone per cui avevo una profonda amicizia, ma che mi riuscivano, il primo troppo disposto a illudersi sul cattolicesimo, il secondo, pur con contributi culturali notevolissimi, non atto a portarsi in un lavoro comune di riforma. Con gli Elementi era apparsa la fiducia nella costituzione di attivi "centri" per una riforma religiosa, e ne era • SAGGI/CAPITINI indicato, in fondo, già sorto uno, di una ricerca che da allora non si sarebbe interrotta, legato alla mia attività. E dal punto di vista politico si era delineato un tipo di opposizione antifascista diversa da quella rappresentata successivamente dal Gobetti, dal Croce, dal Gramsci, dai Rosselli, dal Calogero. Qui non si tratta più di collocazione cronologica, del fatto che il mio antifascismo fosse già alle origini, ma dell'essersi esso costituito in tutte le sue giustificazioni e articolazioni separatamente da quelle altre forme, tutte di tipo umanistico. Il mio sopraggiungeva non tanto per togliere a quelli, quanto per aggiungere una visuale sui mezzi e sui fini che quelli non avevano. La mia fiducia era che l'umanismo del laicismo e del marxismo avrebbe avuto bisogno, un giorno, di un'ulteriore trincea, quella neo-religiosa, e mentre quell 'umanismo suscitava', anche nell' antifascismo, tante forze, io mi promettevo un discorso ulteriore. Quando vedo lo sviluppo che hanno preso oggi tre temi a me cari e congiunti in unità: il rifiuto di ogni guerra, la democrazia diretta con il controllo dal basso, la proprietà resa pubblica e aperta a tutti; e vedo le crescenti discussioni circa i temi cattolici, penso che avessi ragione ad aspettare da un periodo post-fascista la piena utilizzazione del mio contributo. Se io fossi morto nel 1944, dopo avere scritto in primaveraLa realtà di tutti, avrei già, con i quattro libri e le sollecitazioni portate personalmente, delineato una posizione teorico-pratica di riforma suscettibile di utilizzazioni, forse la più compatta dopo quella mazziniana dell'Ottocento. Si è visto poi bene, nel successivo ventennio, che il campo doveva essere occupato in buona parte da due potenti istituzionalismi, quello della Chiesa romana che ebbe una ripresa di potere in un clima di restaurazione, quello del partito comunista, che aveva il còmpito di volgarizzare il marxismo e di mantener viva un' opposizione politico-sociale. Fino al 1944 io non avevo formato, per la mia riforma, nulla di veramente istituzionale, ed ero isolato, fors'anche di più di quanto alcuni pensassero. Se fossi morto, non ci sarebbe stato che ciò che avevo detto e scritto, e alcuni atti e decisioni; cioè il centro era stata una persona. Non potevo considerare il movimento del liberalsocialismo al quale avevo lavorato, costituendolo insieme con Guido Calogero, come la realizzazione della riforma come la volevo io. Esso era stato un collegamento che potè attuarsi per qualche anno, mentre Giustizia e Libertà era esausta per le persecuzioni, e noi portammo temi freschi, una tattica accorta e penetrante, una duttilità fortunata. Ma quella era politica, e sempre più lo sarebbe diventata, fino alla costituzione in partito, che io non approvai, vagheggiando un lavoro più largo e di massa (come ho raccontato nel libro Nuova socialità e riforma religiosa). L'impeto politico derivante dalla Resistenza armata, diverso dalla mia posizione di religioso nonviolento fino al sorgere di equivoci naif agevolmente comprensibili, il fatto che io non fossi di nessun partito (forse fui il primo ad usare in Italia l'espressione "indipendente di sinistra"), portarono al mio progressivo isolamento, alla nessuna utilizzazione da me fatta del posto avuto in dieci anni di attivissima opposizione antifascista (in personale rapporto con tutti gli antifascisti significativi e clandestini in Italia), al disinteresse generale, o ignoranza, per il mio nome e i miei libri. Ricominciavo veramente da una posizione di centro individuale, e mai, forse, parola è stata più adatta alle mie iniziati57
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