Linea d'ombra - anno VII - n. 44 - dicembre 1989

SAGGI/CAPITINI ne che il risparmio delle vite di subumani inducesse al rifiuto di uccidere esseri uptani; .4. la mia spinta alla politica, viva fin dalla fanciullezza (e dico prima dei dieci anni) finalmente si veniva concretando, anche per opposizione alla dittatura, in una sintesi di libertà e di socialismo, criticando nel liberalismo la difesa dell'iniziativa privata capitalistica e nel socialismo vittorioso la trasformazione in statalismo non aperto al controllo dal basso e alla libertà di informazione e di critica per ogni cittadino, anche proletario. Dal 1933 al 1943 ho fatto propaganda girando in molte città e con frequentissimi incontri a Perugia, specialmente tra i giovani, per costituire gruppi di antifascismo; forse in quel periodo ho avvicinato più giovani di ogni altro in Italia: questo era noto, tanto che un amico mi disse enfaticamente "le donne partoriscono per te", e lo ricordo per insegnare il valore dell'attività nonviolenta che cerca e stabilisce le solidarietà, e può contare sull'esempio (in quel caso, il mio "no" al fascismo) e sulla parola. Questa fu aiutata da molti fogli che facevo circolare, e da tre libri che pubblicai in quel periodo: gli Elementi di un'esperienza religiosa (da Laterza, 1937), Vita religiosa (da Cappelli, 1942), Atti della presenza aperta (da Sansoni, 1943). Il primo libro fu fatto stampare dal Croce, che avevo conosciuto, mediante Luigi Russo, a Firenze (Adolfo Omodeo scrisse a Luigi Russo il 20 ottobre 1936: "Don Benedetto è tornato molto soddisfatto di un lavoro fùosofico di un tuo scolaro di Perugia, e me lo vuol far leggere"; ma non fui mai scolaro di Luigi Russo). Mentre l'opposizione politica antifascista rinnovava i suoi sforzi, ed era continuamente stroncata dalle uccisioni e dagli arresti (Gramsci e i .Rosselli morirono nel 1937), e mentre Mussolini vinceva in Africa e in Spagna, il mio antifascismo, con le sue ragioni religiose, aveva la forza di demitizzare le influenze esteriori e di chiedere tutta l'anima. Senza che io ponessi la nonviolenza come necessaria conseguenza; tanto è vero che i gruppi, specialmente dopo l'accordo che feci con Walter Binni prima, e poi con Guido Calogero, erano nettamente di indirizzo politico nei fini e nei mezzi, e per alcuni l'indirizzo fu esplicitamente di "liberalsocialismo". Il mio proposito dal 1931, da "profeta" e "apostolo" religioso, che l'Italia si liberasse del fascismo mediante la non collaborazione nonviolenta, proposito reso sempre più difficile dalla stretta collaborazione col fascismo della Chiesa romana, della Monarchia e dell'esercito, del Gentile e della maggioranza degl' intellettuali, diventava non previsione, ma lezione. I miei amici si prospettavano i modi nei quali sarebbe stato possibile rovesciare la dittatura; e la guerra europea ne preparava l'attuazione; io non potevo che associarmi con loro nella diffusione dell' opposizione (e andai per mesi in prigione), ma, nello stesso tempo, non attenuavo per nulla il mio proposito. Anzi nella prigione e durante l'esplicazione della rivolta partigiana (a cui non partecipai) mi si concretò l'idea dello stretto rapporto intersoggettivo che si esprimeva nella nonviolenza, e, nascosto in campagna mentre si sentivano i tedeschi passare nella notte lungo le strade, scrissi quel libretto La realtà di tutti (nella primavera del 1944), che completa la mia tetralogia antifascista, con un supremo appello alla compresenza di tutti. Certo, io ero sconfitto. Ma soprattutto perché la mia attività 56 non era stata capace di costituire "gruppi" di nonviolenti. Con persuasione nonviolenta c'erano stati, oltre me, amici fin dal momento pisano del 1931-32e poi con Alberto Apponi ed altri, e perfino tra i partigiani ci furono alcuni, come Riccardo Tenerini ecome Alberto Giuriolo, che non tolse mai la sicura al suo fucile. Ma eravamo sparsi, e nulla sapemmo organizzare che fosse visibilmente coerente, efficiente e conseguente ad idee di non violenza. La lezione era che bisogna preparare la strategia e i legami nonviolenti da prima, per metterla in atto quando occorre; e nessuno può negare che in Italia nel ·1924, al tempo del delitto Matteotti, e in Germania nel 1933, una vasta e complessa azione dal basso di non collaborazione nonviolenta sarebbe stata occasione di inceppamento e di caduta per i governi. Nel quadro della spiritualità italiana e della formazione culturale ed etico-politica il mio lavoro si presentò, fin dall'inizio, come molto critico dello storicismo: fui trai primi a fronteggiarlo, a mostrarne le insufficienze etiche. La mia provenienza era diversa, con un'apertura alle singole individualità e alla loro finitezza, con una severa considerazione dei mezzi rispetto ai fini, con la 'tendenza a vedere il rapporto intersoggettivo e la comunità di tutti anche oltre la realtà della vita e della morte. Se si dovesse accennare a vicinanze culturali, ne nominerò tre: la filosofia etica l-'i _e,!!!_ al richiedono oU' Uflelo di .IJlagr11fe dl Pe- ~ ~ " f ;e_.~ - . - ' /,rJ.f S,,.Q,,11, J.~ -;;;;;;;;: ~ ;_ tBH,~ ~ c,..,,.,,i;,,_,,1n,. o.,,,, ,r;•- ,,,. e-,., ~ · O- di ,_.;.l'N<Ìffl ,w CO"_,,, < f" :.J ·;JJI} c::f.._:.t.. · •"'• "-V~.....__ c._.. di - m;i4o,,. éf'....;,... - :.I l-1' , / p ~ !_!j.1 Doln tilt/o MOrtt · Al,II,,- ~ ,.e___. 1.f -· [Jaç,;,;,,_, dd ~ la /U>iglù,: _ "NULLA Alife IIQU.m Il- O- :IJJ-:f[i:..

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