STORIE/CARPENTIER Ma lì, l'inamovibile, il sempre somigliante a se stesso, più dei responsori, delle letture, delle liturgie della chiesa, più dell'arcaismo degli utensili moderni dellaferramenta F.lli G6mez, era Paperino. Stava lì, anche se lo vendevano e rivendevano quindici volte al giorno. i fogli di WanelaLandowska, Al Joeson, Elizabeth Schwartzkopf, Louis Annstrong, David Oistrakh e Art Tatum. Il peggio sono le . cose che mi circondano ..L'abside del Santuario della Milagrosa Virgen del Paramo si staglia in assoluta verticalità centrale sulla finestradellasaladapranzodell'appartamento.Quellatrombaarchitettonico-naturale, del più puro gotico 1910, mi rovescia addosso a tutte te ore del giorno il latino degli uffizi. Sono arrivato a sapere a memoria le parole di un inno del vespro: Dum esset Rex in accubitu suo, nardus mea dedit odorem suavitatis. E questo, con i giorni e giorni di reclusione, finisce per farmi perdere la nozione del tempo. Guardo verso la Ferramenta-Chincaglieria dei F.lli G6mez (fondata nel 1912, si legge sulla facciata), e rimango assorto di fronte all'antichità senza tempo delle cose che lì si vendono. Perché la storia dell'industria umana, dalla protostoria fino alla lampadina elettrica, è illustrata dagli artico~ li, oggetti e utensili che vengono offerti dalla Ferramenta-Chincaglieria dei F.lli G6mez: le funi, le sartie, le cime di Ulisse; le bilance e i pesi che ci parlano dei remotissimi tempi in cui l'uomo, smettendo di vendere frutta, carne o pesci alla stima o al pezzo, iniziò a vendere le sue mercanzie a peso, introducendo, con ciò, nel commercio, i tribunali e le multe; i mortai di pietra porosa, identici ancora oggi a quelli che usavano i primitivi abitanti di queste terre; le incudini, grandi o piccole evocatrici di tante cose; i paiuoli del Sabbath; alcuni chiodi spagnoli, quadrati, lunghi mezzo palmo, simili in tutto a quelli che penetrarono le carni di. Cristo, e zappe, molto pesanti, preferite dai contadini di qui, identiche come disegno e per il tozzo spessore dei manici a quelle che brandiscono i villici che abitano le miniature agricole o bucoliche (quasi sempre relative al mese di marzo) dei Libri delle Ore medievali. Andavo allora, più che infastidito, alla finestra della facciata che dava sulle vetrine dei giocattoli della grossa catena nor- · damericana. Ma lì, l'inamovibile, il sempre somigliante a se stesso, più dei responsori, delle letture, delle liturgie della chiesa, più dell'arcaismo degli utensili moderni della ferramenta-Chincaglieria dei F.lli G6mez, era Paperino. Stava ll, nella sua umanità di cartapesta, sulle zampe arancioni, in un angolo della vetrina, dominando un mondo di piccoli trenini in marcia, di credenze con frutti di cera, pistole da cow-boy e frecce, girelli con pallottolieri. Stava lì, anche se lo vendevano e rivendevano quindici volte al giorno. Poiché i bambini volevano "quello", quello della vetrina, una mano femminile lo afferrava per le sue zampe arancioni, collocando poco dopo un altro Paperino, lui stesso, al suo posto. Questa perpetua sostituzione di una forma con un 'altra, identica, immobile, eretta sullo stesso piedistallo, mi faceva pensare all'Eternità. Magari Dio veniva rilevato così, di tempo in tempo, da una potenza superiore (Madre di Dio, madri degli dei? Goethe non aveva detto qualcosa su di loro?), custodia della sua perennità. Era il momento del cambiamento, quando il trono del Signo- . re rimaneva vuoto, quando si verificavano le catastrofi ferroviarie, cadevano gli aerei, i transatlantici naufragavano, scoppiavano le guerre, si diffondevano le epidemie. Questa sola ipotesi sbaragliava l'abominevole eresia di Marcione, secondo la quale un mondo cattivo poteva esser stato creato soltanto da un Dio cattivo. Il Paperino del negozio mi faceva pensare anche al sofisma della freccia di Zenone di Elea: sempre immobile e somigliante a se stesso, seguiva una rapida traiettoria, rinnovata quindici, venti volte al giorno, che lo conduceva a tutti gli estremi e suburbi della città. Anche questo era per me, un elemento di atemporalità, insieme al trenino elettrico che, giorno e notte, proseguiva il suo interminabile viaggio su tre metri di rotaie, senza cessare di accendere una microscopica luce rossa a ogni giro. "Oggi è venerdì?", domando alla Signora Ambasciatrice. "Lunedì, figlio mio, lunedì". D'altronde non leggevo i giornali. Conoscevo troppo bene il generale Mabillan e i militari del suo seguito. Me lo immagino che chiede già al suo aiutante: "Cos'era quella storia delle donne europee, eleganti, raffinate e di conversazione?". "Ho già verificato tutto, mio generale: chi ha i loro indirizzi è una ruffianaccia chiamata Hip6lita, che vive nei pressi del Parco Tadeo". "Dobbiamo procurarci una casa in periferia, tenente". "Agli ordini, mio generale". Tornai alla finestra in tempo per vedere il paperino diciotto, prontamente sostituito dal numero diciannove della giornata. 4. Un lunedì che può essere venerdì Il Signor Ambasciatore era infastidito, inquieto, sconcertato dalla Querelle delle Frontiere che, ogni giorno, si allontanava sempre più da una soluzione possibile, e soprattutto ora che il Generale Mabillan, con l'intento di distrarre l'opinione pubblica dalle sanguinose peripezie del suo ammutinamento - risuonavano ancora spari nella notte-, faceva tutto quanto gli fosse possibile per galvanizzare la nazione intorno al patriottico impegno di una guerra imminerue. Tutto il vario: "Siete figli degli eroi che ...", "Siano i nostri confini un glorioso campo di battaglia", "Onore a coloro che onori meriteranno", "Non esiste morte più bella di quella che ...", eccetera, eccetera, eccetera, veniva ripetuto perradio e TV a tutte le ore del giorno. Per impressionare definitivamente la popolazione della capitale, fra cui contava ancora parecchi avversari, il generale Mabillan annunciò che il Giorno Talenon sapeva il Rifugiato se si era al 2, all' 11 o al 28 di quel mese - ci sarebbe stata in città una grande esercitazione di difesa antiaerea. Tutti gli abitanti furono provvisti di un piccolo catechismo nel quale li si istruiva su che cosa dovevano fare per non essere fatti a pezzi dai proiettili "nella loro caduta naturale". "È un giornaleapertosullatestaprotezione sefficiente?". "No". "È la carrozzeriadi un'.automobileprotezione sufficiente?". "Sì, anchese si consiglia di abbassareifinestrini laterali,sistemandosi lepersoneilpiùpossibileal centrodel veicolo.Quandocominci il bombardamentoaereo,inoltre, le automobilisifermeranno vicinoalmarciapiedepiùprossimo,spegnendotuttele luci". Arrivò la gran sera. Il Generale Mabillan, in perfetta uniforme da combattimento, con il sottogola affondato nella pappagorgia, era lo scenografo massimo, il Grande Intendente agli Spettacoli del1'Esercitazione, dirigendo tutto dall'alto di una collina munita di una batteria antiaerea. Segnali. Sirene. Black-out totale. Attesa. ''Si sente già il rumore degli aerei nemici". Ma peruna di quelle veroniche che si permettono i tropici, al giorno splendido che era stato il Giorno Tale, era seguito un brusco calare di foschie da tutti i picchi circostanti. Gli "aerei nemici" non videro nulla sotto di sé, se non alcune garze opalescenti. E gli artiglieri di sotto nulla videro, se non nuvole grigio elefante. "Sparate tutti", gridò il 35
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