Linea d'ombra - anno VII - n. 44 - dicembre 1989

mento in cui essa costringe i comandati lo soffoca, non ci trova proprio nulla da ridere, e sciorina le piaghe del nemico perché il lettore possa vederne tutto il marcio. Sul fondo si avverte un bisogno, una sete - di riyolta, di cambiamento. Questo bisogno lo si avverte anche nell '.altro romanzo crudele che gli accosto, La fine di Horn di Christoph Hein (edizioni E/O, traduzione molto bella di Fabrizio Cambi). Qui la piccola città è della Germania orientale, si chiama BadGuldenberg, e la storia si svolge nella seconda metà dei Cinquanta del nostro secolo, ma è raccontata, oggi, da cinque personaggi le cui voci si alternano. È la storia di un suicidio, del contributo dato a questo suicidio dal]' orrore molto normale della piccola città. Questaprovincia, non dimentichiamolo, era "comunista", assimilata all'Europa "orientale" in anni serrati e interminabili nel loro immutabile conformismo, coperto dalla rossa retorica e dalla sorda, ottusa violenza e ipocrisia del potere. Hein vi si conferma, dopo L'amico estraneo, come uno dei grandi scrittori europei del nostro tempo. E surclassa decisamente nel nostro interesse e nel nostro amore la sua conterranea Christa Wolf, che negli ultimi libri sempre più ci appare come una sorta di "signora Handke" molto poetica, molto saputa, piuttosto indigesta. Ma anche su La fine di Horn "Linea d'ombra" dovrà tornare. Lo merita, e anche l'Italia meriterebbe, sotto ogni riguardo, un romanzo del genere, ma forse non si merita uno scrittore di questo rigore. Amore Voi non sapete che cos'è l' amore è il titolo dato dall'editore Pironti alla raccolta di raccontipoesie-saggi di Raymond Carver, chesi chiamavanell 'originaleFuochi. Si tratta di quattro saggi: sul suo maestro fohn Gardner, su suo padre (bellissimo), sul mestiere di scrivere (e questo era già uscito anni fa sulla nostra rivista), e appunto Fuochi, sugli "influssi inesorabili" subiti dalla sua scrittura. Come ogni grande scrittore, anche Carver ha il dono di una spietata sincerità, il suo "minimalismo" è di attenta, partecipe, dolorosa, comprensiva crudeltà. E qui ne sono oggetto i suoi due diavoletti di figli, che devono avergli ossessionato se non rovinato la vita, e nello stesso tempo - riconosce - hanno dato un tono alla sua scrit18 CONFRONTI tura, il tono elettrico, irritato, teso, forte,macomune,quotidiano, "famigliare", che ne fa il pregio e l'inirnitabilità. Seguono molte poesie (per la verità, non era quello della poesia il dono maggiore di Carver, ma lacolloquialità fa spesso centro, ene risultano allora quadretti-racconti di sintetica efficacia) e una manciata di sette racconti nei quali effettivamente il tema dell'amore è presente, fino alla sgradevolezza. L'amore difficile, l'amore fragile, l'amore cattivo, l'amore che non riesce ad ascoltare l'altro anche quando tenta. L'amore dei nostri tempi e della nostra solitudine. Che uomo intelligente, simpatico, caro, fragile-e-forte, è scomparso con Carver, e che bravo scrittore! Siamo grati a Pironti di averci offerto questa postuma possibilità di frequentarlo, e a Riccardo Duranti e Francesco Durante che hanno tradotto e curato il volume(menoallaPivàno,peruna prefazione del tutto superficiale e superflua). Segnalo, per contrapposizione, un bel libro-strenna molto economico che va bene solo per faulkneriani accaniti. Dalla casa editrice Red al prezzo di 18.000 lire: Calendimaggio di William Faulkner. È "una storia d'amore scritta e illustrata per la donna del cuore", una di quelle chicche superflue ma che, appunto, gli amatori dello scrittore non possono che apprezzare. Vi si raccoglie in facsimile un quadernetto con bellissime illustrazioni dell'autore, mo!to datate (tipo scolastico anni Venti) e con una "leggenda" finto-medioevale, molto simbolista, il percorso del giovane cavaliere ingenuo alla ricerca del suo assoluto che vede nella figura di una fanciulla vista in un sogno, e tribolaztoni, prove cui per riuscirci deve sottoporsi, fino alla "rivelazione" finale, sconsolante, poco "assoluta". Nella frase per cui "l'uomo è Carlo levi in una foto di H. Cartier - Bresson(Magnum). una mosca che ronza sotto il calice rovesciato delle sue stesse illusioni" e 'è molto de!Faulkner a venire, e basta l'ossessione degli incontri con Fame e Sofferenza o con il Signore del Sonno per renderci caro questo gioco del tutto privato che l'autore si è permesso (mai più pensando alla possibilità di una pubblicazione), questo testo giovanile del più grande scrittore moderno della vita vista come insensato "urlo e furore". L'avventura Sul bel libro di Christoph Ransmayr Gli orrori dei ghiacci, uscito si _direbbe per caso presso una piccola casa editrice, Il Mandarino, di scelte assai superficiali o peggio, ha detto tutto il bene che merita Luca Clerici nel numero scorso. Del secondo Ransmayr, Il mondo estremo uscito con più pompa dalla ricca Leonardo, dirà nel prossimo numero. Cito, per gli appassionati del- !' avventura, un'antologia ricchissima degli Oscar: in due volumi, i Racconti dello Yukon e dei mari del Sud di Jack London per cura di Mario Maffi. Ce n'è di splendidi e di un po' troppo turgidi e assertivi, ce n'è di sinceri e di recitati, ce n'è di finto-forti e di forti che lo sono davvero. Sarebbe lungo distinguere, e dividere, ma forse andrebbe anche fatto, per arrivare finalmente a un "meglio" della narrativa breve di.London che buttasse da parte il loglio della cattiva ideologia superornistica e struggle-/or-life, anche semi rendo conto eh<;si tratterebbe di un'opera- • zione anche questa ideologica, poiché London era poi un insieme, un unico di cose grandi e cose ai nostri occhi fastidiose. Ma non credo sia poi troppo giusto amare in blocco uno scrittore, per grande che esso possa essere; e dunque ha senso, di ciascuno, cercare quello , che ci piace e convince e lasciar via quello che invece no. Resta che questi due volumi sono un vero regalo per i londoniani di vecchi a data come per i nuovi conquistati dalla London-renaissance avviata in Italia negli anni Settanta anche dal sottoscritto (che potrebbe anche vantarsi di essere arrivato per primo, nel tempo, con lariproposta da Feltrinelli del Tallone di/erro). Lagoa Santa di Henrik Stangerup (cui si devono anche dei film, uno dei quali, sui dilemmi di un pastore molto in crisi, lo ricordo abbastanza per il titolo: Date una possibilità a Dio almeno la domenica, e che è nipote di un altro grande scrittore, il Soderberg autore del Dottor Glass) racconta liberamente la vita di un naturalista danese dell'Ottocento, Lund, che dopo una gioventù in patria sceglie la scienza e, nel secolo degli Humboldt e dei Darwin, ilBrasile e le caverne brasiliane coi loro segreti di un passato lontanissimo, da definire, da datare, da "col- ·locare". Il romanzo di Stangerup (edito dalla benemerita Iperborea che consola coi suoi libri belli e seri il nostro "bisogno di protestantesimo" nato dalla nausea per la faciloneria della cultura nazionalpseudopopolaredell'ltaliacattolico-agnelliana, e tradotto dal coraggioso Bruno Berni) è un libro affascinante, con un finale "positivo", in cui il protagonista e l'autore in qualche modo rinnegano per una naturalità pagana (non cattolica) del Brasile l'austerità protestante delle origini. Dopo aver attraversato, nel fondo delle grotte del passato e della ricerca, la sua tardiva linea d'ombra, e essersi confrontato con il suo amazzonico cuore di-tenebra, il protagonista rinuncia a ogni eroismo, e si lascia conquistare dalla vita semplice di Lago a Santa, si fa brasiliano e saggio di una saggezza che rinnega l'Europa e la sua fame e·sete di assoluti, ei suoi obblighi di affermazione, di sfida, di "oltre". Lagoa Santa è un romanzo curioso e bello (vi compare di passaggio, tra gli "attori", il giovane Kierkegaard), tutt'altro che "cinematografico, e forse fin troppo letterato. È curioso perché offre una variante molto originale sulla vecchia fascinazione Nord-Sud, su cui tanta letteratura del Nord e poca letteratura del Sud hanno ricamato. Ha un solo , difetto: un centinaio di pagine di troppo. Ogni tanto l'attenzione rallenta, e anche per questo il libro è poco cinematografico, perché Stangerup se ne è troppo innamorato e non ha tagliato e strutturato a dovere, come d'obbligo in una buona sceneggiatura (e in un romanzo debitamente rifiruto).

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