ILCONTESTO sero. E invece, ancora in queste ore post-elettorali, accadé di ascoltare vecchi amici e compagni che guardano stupefatti le cifre dei voti democristiani e commentano: "Ma come, sugli autobus tutti imprecavano ..." Ho una certa esperienza di trasporti extraurbani: se davvero le conversazioni che ascolto producessero un programma politico, non basterebbe quello di Sendero Luminoso! Questo scambiare il malessere e il disagio della vita metropolitana cqn una scelta politica, o le premesse di una scelta politica, è un vecchio tic della cultura di sinistra che a Roma ha sempre prodotto delusioni. Ma la conoscete questa città? Quella delusione e in realtà figlia di una spaventosa mancanza di senso della realtà. E infatti capita di leggere continuamente, in documenti politici e sindacali "di sinistra", che l'offensiva neoliberista-individualista-reaganianthatcheriana ha perso di virulenza; insomma che il peggio è passato. Forse è solo perché il peggio ha vinto. E quella cultura ha un'apparenza meno violenta perché ha "sfondato" ideologicamente, ha messo in rotta il nemico e ora punta a consolidarsi. Eliminando ambiguità e doppiezze, accessori e specchietti per le allodole - lo dico dal punto di vista di un' allodola-come il libertarismo e l' antiideologismo (v. legge antidroga). Quello che resta ha ormai i tratti di una cultura di regime, ma è ancora vitale, è un fenomeno in ascesa, in espansione. Quella cultura e la sua espressione politica trasversale (il celebre CAF, Craxi-Andreotti-Forlani) a Roma è stata sfidata ma non battuta. Questo è, ridotto ali' essenziale, l'esito delle elezioni romane. Un esito perfettamente in sintonia con quella che è la situazione sociale, culturale e politica della città. Perché Roma ormai è democristiana dalle fondamenta, nelle sue fibre più intime. Roma sembra funzionare e riuscire a sopravvivere solo perché è democristiana (ripeto: intendo per democristiano un sistema di potere costituito o condizionato da metodi che abbiamo imparato a conoscere dalla DC: da questo punto di vista i partiti democristiani a Roma e altrove sono più d'uno). Qualche sociologo (per esempio Giuseppe De Rita sul "Corriere della Sera" giusto 15 giorni prima delle elezioni romane) sostiene che la vita della metropoli è contrassegnata da una duplice sensazione: la più totale rassegnazione di fronte alle dimensioni dei problemi, che sembrano ormai tutti insolubili, fuori dalla portata della politica e che nessuna formula politica è mai riuscita a risolvere (basta pensare al traffico, ma anche a la salute, la casa, la scuola ...); la rassicurante constatazione che comunque, miracolosamente, si sopravvive. Comunque, nonostante il traffico, le due, tre macchine di famiglia riescono a girare; comunque, nonostante la crisi abitativa, una casa prima o poi si trova; eccetera. Questo è il miracolo. Se è così la DC a Roma - ma credo anche a altrove - si presenta come ·1agaranzia di questo miracolo. Una volta stabilito che le altre forze politiche (a Roma la sinistra ha governato per dieci anni) non risolvono i problemi, una volta concluso che i problemi hanno una dimensione e una forza oggettive (che il traffico è come la grandine, insomma), non resta che votare Dc. Perché almeno il miracolo di sopravvivere è garantito, protetto, tutelato. Un ragazzo che mi aveva sorpreso votando Dc, mi ha risposto: "E sennò chi voti?" La DC garantisce-ossia lascia indistùrbato- il miracolo di continuare a sopravvivere-ossia lavorare e consumare- in una metropoli assurda, caotica, irrazionale. Questa assurdità appare ormai oggettiva e irrimediabile (e perfino astorica: si è persa la memoria di quando la metropoli assurda non c'era). La DC è l 'a- ~ttamento a questa assurdità - la possibilità che prima o poi quell'adattamento sia realizzabile e si compia per tutti. Il traffico non si può eliminare, si può solo addomesticare con qualche arrangiamento personale, per esempio parcheggiando in seconda fila: la DC garantisce che si potrà ancora è sempre parcheggiare in seconda fila. Il Comune di Roma non impiega nemmeno i soldi stanziati per costruire abitazioni e la casa non si trovà se non si "conosce" qualcuno: la Dc garantisce che ci sia sempre qualcuno da "conoscere". E così via. Questa è la natura del cosiddetto "voto di scambio": non solo e non tanto voto in cambio di favori diretti e personali, dunque. E poi il voto di scambio vince quando non è possibile un "voto di cambio", di trasformazione. Spiegare perché questa chance elettorale a Roma non c'era, vorrebbe dire aprire un discorso troppo lungo. Ma neanche tanto, in fondo: non si vede già al telegiornale che l'unica trasformazione possibile nel mondo è diventare tutti occidentali (o democristiani, come si dice in Italia)? Così il borgataro romano fa come il cittadino della Germania Orientale e fugge dal Pci; non per fame o per bisogno, proprio come quegli emigranti post-moderni. Perché il Pci ha sanato le borgate e reso i borgatari cittadini; e ora i borgatari, diventati per loro conto e merito ceto medio, piccola borghesia, vogliono di più. Risponderebbero come il profugo tedesco orientale: "Volevo avere e fare le cose che vedo in Tv" (in DDR ricevono la Tv occidentale). Le borgate ricevono solo la Tv. E ora vogliono quei consumi, quei comportamenti, quegli stili di vita. Se è Sbardella che garantisce non solo e non tanto la casa e il lavoro ma quelle possibilità - la vita spericolata dei consumi illimitati, del traffico illimitato, della corruzione illimitata-si voti Dc. "E sennò chi voti?" A sinistra: foto di Tullio Faraboia ( 193 l ). Sotto: Totò (foto Vaselli).
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