Linea d'ombra - anno VII - n. 44 - dicembre 1989

DICEMBRE1989 - NUMERO44 LIRE10.000 ' immagini, discussioni e spettacolo

CarloEmilioGadda Romanzie RaccontiII A cura di Giorgio Pinotti, Raffaella Rodondi, Dante !sella. 1344 pagine, 80.000 lire Nel secondo volume dell'edizione delle Op~re dir~tta da !sella, du~ ~mportanti nov1ta: la pnma stesura del Pasttcczaccw e tre capitoli inediti de La meccanica. TEATRODELSIGLODE ORO Lopede Vega Prefazione di Carmelo Samonà. A cura di Mario Socrate. 1048 pagine, 80.000 lire Il primo dei tre volumi che raccolgono una scelta significativa delle opere dei maggiori autori di una grande stagione della cultura europea: Lope de Vega, Calder6n de la Barca, Tirso de Molina. GARZANTI

· LeggereEinaudi Camilo José Cela La famiglia di Pascual Duarte Premio Nobel 1989 La cronaca di una vita perduta. «Il primo e forse il migliore dei romanzi di Cela» (Italo Calvino). Traduzione di Salvatore Battaglia. «Supercoralli», pp. 175, L. 24 ooo Elsa Morante Diario 1938 Un inedito di Elsa Morante. Un libro di sogni, senza piu distinzione tra veglia e sonno, tra intelligenza della realtà e intelligenza del desiderio. A cura di Alba Andreini. «Saggi brevi», pp. xn-65, L. 12 ooo Laura Mancinelli Il miracolo di santa Odilia Prodigi, miracoli, trasgressioni in un convento medievale. Il nuovo romanzo dell'autrice di I dodici abatidi Challant e di Ilfantasmadi Mozart. «Nuovi Coralli», pp. 136, L. 12 ooo Joseph Zoderer Il silenzio dell'acqua sotto il ghiaccio Una fuga tra realtà, visioni, sogno alla ricerca di un innamoramento. Traduzione di Magda Olivetti. «Supercoralli», pp. rr2, L. 16 ooo Andrea Canobbio Vasi cinesi Dodici storie-cruciverba con un camaleontico protagonista e un finale inatteso. «Nuovi Coralli», pp. rr 7, L. 12 ooo Charles Dickens Carlo Fruttero & Franco Lucentini La verità sul caso D. Il caso pareva risolto. I massimi investigatori internazionali, unendo le loro forze, avevano finalmente penetrato lo sconcertante Mistero di Edwin Drood, che Charles Dickens aveva lasciato nel buio. Ma Hercule Poirot non era soddisfatto. Sentiva che qualche cosa non quadrava ancora perfettamente,. .. «Supercoralli», pp. 379, L. 30 ooo Tahar Ben Jelloun Giorno di silenzio a Tangeri È la storia di un uomo ingannato dal vento, dimenticato dal tempo e schernito dalla morte. Il nuovo romanzo dell'autore di Nottefatale e Creaturadi sabbia. A cura di Egi Volterrani. «Supercoralli», pp. v-95, L. 18 ooo Fabrizia Ramondino e Andreas Friedrich Miiller Dadapolis Caleidoscopio napoletano Plinio, Montesquieu, Dumas, Benjamin, Borges, Braudel: come gli scrittori hanno visto e restituito Napoli, in un collage che va dall'antichità ai nostri giorni. «Supercoralli», pp. xrn-408, L. 38 ooo Salvatore Mannuzzu Un morso di formica be stranezze del!' amore in una vacanza breve e inesorabile come la vita. Il nuovo romanzo del vincitore del Premio Viareggio 1989. «Supercoralli», pp. 181, L. 25 ooo Thomas Bernhard Amras Due fratelli« geniali e perturbati» e la loro tragica simbiosi: il romanzo che Berhard defini il suo capolavoro. Traduzione di Magda Olivetti. «Nuovi Coralli», pp. 83, L. 12 000 Fernando Pessoa Faust Un grande inedito: l'eterna lotta fra Intelligenza e Vita in un poema drammatico tra i maggiori del nostro sècolo. Edizione italiana a cura di MariaJosé de Lancastre. Traduzione del manoscritto originale di Teresa SobraJ Cunha. «Supercoralli», pp. rx-139, L. 22 ooo Byron Vita attraverso le lettere A cura di Masolino d'Amico Le brillanti, disinibite, spregiudicate lettere di un protagonista del Romanticismo. «I millenni», pp. xxn-497 con 16 illustrazioni fuori testo a colori, L. 65 ooo Teofilo Folengo Baldus Un classico dell'irriverenza, della scorpacciata e della festa. Un decalogo di infrazioni in nome del piacere. Con testo a fronte. A cura di Emilio Facciali. «I millenni», pp. L-940 con 24 illustrazioni fuori testo, L. 85 ooo Charles Darwin Viaggio di un naturalista intorno al mondo «Il viaggio sulla Beagle è stato di gran lunga l'avvenimento- piu importante della mia vita e quello che ha determinato tutta la mia carriera» (Charles Darwin). A cura di Luca Lamberti. Introduzione di Franco Marenco. Traduzione di Mario Magistretti. «I millenni», pp. xxrv-493 con 14 disegni nel testo e 16 illustrazioni fuori testo, L. 70 ooo

AS1llEA il mondo vissuto e narrato dalle donne Linà Merlin La mia vita Altri titoli: Storia di una fattoria africana • Box-car Bertha • Firdaus • Misteri del chiostro napoletano • Piccoli contrattempi del vivere • Latte d'autunno • Viaggio nel buio • Lady Oracolo • Onnazaka • Il lungo viaggio di Poppie Nongena • Mi chiamo RigoberA Lamia vita A cura di Elena Marinucci 1 E A ta Menchu • Aloma • Cittadina di seconda classe• Donne d'Algeri nei loro_appartamenti• Storie di bimbe, di donne, di streghe• Inganni e incanti di Sophie Silber • Autoritratto di gruppo• Cara spudorata morte• La svergognata• Memorie di una figlia del popolo• L'età pericolosa• Il nuovo regno. GIUNTI

Direi/ore: Goffredo Fofi Direzione editoriale: Lia Sacerdote Collabora/ori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Isabella Carnera d' Afflino, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli, Paolo Bertinetti, Gianfranco Bettin, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Marisa Caramella, Cesare Cases, Roberto Cazzola, Grazia Cherchi, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cunùnetti, Peppo Del Conte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Riccardo Duranti, Bruno Falceno, Marcello Flores, Giancarlo Gaeta, Fabio Garnbaro, Filippo Gentiloni, Piergiorgio Giacché, Paolo _ Giovannetti, Aurelio Grimaldi, Bianca Guidetti Serra, Giovanni Jervis, Filippo La P~rta, Gad Lemer, Stefano Levi della Torre, Marcello Lorrai, Maria Madema, Luigi Manconi, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Paolo Mereghetti, Santina Mobiglia, Maria Nadotti, Antonello Negri, Maria Teresa Orsi, Cesare Pianciola, Gianandrea Piccioli, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Marco Revelli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Arnaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Joaquin Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Emanuele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi, Egi Volterrani. Progello grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche iconografiche: Barbara Galla Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Regina Hayon Cohen Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Rina Disanza Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Walter Binni, Norberto Bobbio, Maria Calogero, Franco Cavallone, Giorgio Ferrari, Tess Gallagher, Carla Giannetta, Giovanni Giovannetti, Carla Gobetti, Fabian Gonzales Negrin, Claudio Magris, Franco Mencaroni, Grazia Neri, Andrea Pedrazzini, Luisa Schippa e il Centrostudi Aldo Capitini, la Regione dell'Umbria, la Giunta provinciale di Perugia, gli uffici stampa delle case editrici Garzanti e Leonardo, la libreria Popolare di via Tadino 18 a Milano. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 - 20124 Milano Tel. 02/6691132-6690931. Fax: 6691299 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Tel. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie PDE - Viale Manfredo Fanti 91 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini 6 Buccinasco (MI) - Tel. 02/4473146 LINEA D'OMBRA Mensile di storie, immagini, discussioni Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393 Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo III/70% Numero 44 - Lire 10.000 Abbonamenti annuale: ITALIA: L 65.000 da versare a mezzo assegno bancario o c/c postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. ESTERO L. 90.000 l manoscrilli non vengono restituiti Si risponde a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Questa rivista è stampata su carta riciclata. llNEA D'OMBRA anno VII dicembre 1989 numero44 4 6 7 Paolo Hutter Luigi Manconi Marino Sinibaldi Il Muro è caduto Invito al Pci perché, saggiamente, si sciolga Le elezioni a Roma RUBRICHE: Lettere (G.Fofi sulla benvenuta fine degli anni '80 a pag. 9), In margine (G. Cherchi su De C_arlo,B. Guidetti Serra e altro, a pag. 19). 13 15 19 Alessandro Triulzi Giovanni Jervis Francesco Binni Sud Africa: scrivere in stato d'assedio Due teorie sui sogni Lo stratega disarmato: Orwell al microfono e M. Barenghi su Tempo di uccidere di Flaiano (a pag. 22), C. Allegra su Recita estiva di C. Wolf (23), M. Caramella sui racconti di A. Munro (24), A. Cristo/ori sull'ultimo romanzo di Garcia Marquez (24), L. Binni sugli Entretiens di Breton (25). RUBRICHE: Letture (G. Fofi su P. Ginsborg, M. Revelli, C. Levi, H. Stangerup ecc., a pag. 17), Antologia (C. Vautel sul lancio dei giovani scrittori a pag. 21), Tradurre (un racconto diFranz Hohler a pag. 28), Lettere (P. Lanaro sulla poesia a pag. 27), Promemoria (a pag. 30), Gli autori di questo numero (a pag. 95). 54 63 31 42 48 55 TEATRO: 68 69 71 74 79 MUSICA: 83 84 86 88 CINEMA: 91 93 Raymond Carver Nikos Chuliaràs Alejo Carpentier Stephenlay Gould Michael Kruger Aldo Capitini Paolo Bertinetti fohn Calder Samuel Beckett Michael Haerdter Franco Quadri Paul Desmond Marcello Lorrai Alberto Piccinini Paolo Giovannetti Krysztof Kieslowski Gianni Canova Poesie postume Poesie, seguite da L'ora che per tutti è la stessa a cura di Caterina Carpineto Il diritto d'asilo a cura di Ernesto Franco L'evoluzione ha radici profonde a cura di Lewis Wolpert e Alison Richards Il volto vuoto. Sulla Germania Attraverso due terzi del secolo Omaggio a Samuel Beckett Il contributo della negatività Embarassing Mr. Beckett Dichiarazioni, a cura di Franco Quadri Beckett dirige "Finale di partita" Autobiografia di una voce Concerto in fiera, a cura di Fabrizio Bagatti L'impasse della musica africana Rap Su Guccini e altri cantautori Uno scomodo regista polacco a cura di Marina Fabbri I bat-eroi dei tranquilli anni Ottanta La copertina di questo numero è di Franco Matticchio (distr. Storiestrisce).

ILCONTESTO Il muro è caduto "Viva la rivoluzione d'offobre ... 1989!" Paolo Hutter "Viva la rivoluzione d'ottobre ... 1989!" recita uno delle migliaiadi striscioni dellagrande manifestazionedel 4 noverobre inAtexanderplatz. Inquel corteo dove non si gridavanoquasi m~ slogan (per mancanza di abitudine - mi spiegano- più che per solennizzare col silenzio) gli striscioni hanno rappresentato un vero manifesto collettivo delle idee del movimento, e mi ricordavano un po' le scritte sui muri delle università nel '68 occidentale.In genere non c'erano però commistioni tra il genere serio - a volte persino filosofico e pignolo alla tedesca - esemplificabile da ''La democrazia esclude il monopolio del potere", e quello più allegro e ironico, dei giochi di parole su Krenz, o della proposta di "Asterix nel Politburo". Non sono riuscito a capire a quale filone appartenesse quel "Viva la rivoluzioned'ottobre '89", seali' ironia sullaretoricadell'Ottobre, o al comprensibile orgoglio per la grandezza di quanto stava avvenendo. Nei giorni successivi, vari commentatori ad Ovest come a Est hanno parlato di "Rivoluzione", la "prima vera rivoluzionedemocraticadal basso sul suolo tedesco":ma finoalla letturadi quello striscione, in quel sabato mattina in cui una folla di manifestanti senza polizia circondava pacificamente ostile i palazzi del potere a Berlino Est, avevo sentito solo parlare di Movimento,Dimostrazioni, Proteste per quantoriguarda ilbasso, e di Svolta (Wende) o Dialogo per quanto riguarda l'alto. Le definizioni sono cambiate in fretta, in una situazionecosì veloce. Ai primi di ottobre c'era ancora Honecker, ufficialmente tutto andavabene, ogni manifestazione indipendente eraproibita. A un mese di distanza, anche prima e senza la "storica" apertura delle frontiere, i cambiamenti sono già enormi, eppure il "riformista" - capo della SED del distretto di Berlino - Gunther Shabosky faticaaparlareinmezzoaifischiinAlexanderplatz.Ilcambiamento principale è il travolgente risveglio della soggettivitàdella gente. È questa, probabilmente, laRivoluzione ... È una situazione in cuiquasi improvvisamentenon si sopportapiù ciòcheprima si era sopportato, in cui la pazienza e la rassegnazione si rovesciano in impazienza.La sostituzionè di Honecker con unnuovo leader che lascia libertà di stampa, che autorizza le manifestazioni, che promette libertà di viaggiare non sarebbe stata neanche immaginabile il 7 ottobre, quando il vecchio Erich stava accanto a Gorbaciov. Quindici giorni più tardi, l'avvento di Krenz è troppo poco, e troppo tardi, per fermare il movimento. Si susseguonomanifestazioniin tutte le città, gli striscionicontestano ilruologuidadellaSED,chiedonolosmantellamentodell'apparato poliziesco capillare della STASI, libertà di stampa e di organizzazione, riforma della scuola, abolizione dei privilegi ai funzionari di partito, ma anche risanamento delle case fatiscenti, rIJisureecologiche e quant'altro. L'ondata partita daLipsia e Dresda coinvolgeBerlinoEst con un certo, relativo, ritardo. Ma quando i manifestanti invadono la mattinadel 4 novembre ilcentro storico dei palazzie dei ministeri, ladirettaTVconsacra l'evento quasi come un atto fondantedi una nuova coscienza nazionale. (Questa pomposa espressione - rifondazionedi coscienza nazionale- mi è suggerita soprattutto dal tono degli interventi degli intellettuali nei comizi sulla Alexanderplatz,di StephanHeym, CristophHein,Heiner Milller, 4 Christa Wolf, e dall'accoglienza che ricevono. L'aspetto e il comportamento dei manifestanti ricordano - almeno a un osservatore straniero come me - quelli della marcia pacifista a Bonn nell' 81, quando fu Heinrich Boli, il vecchio intellettuale, a prendere la parola in piazza e a parlare di nuova coscienza nazionale pacifista. Ma a Berlino Est la manifestazione del 4 novembre '89 può pretendere di rappresentare tutta o quasi la società. Non era così - ovviamente - il movimento tedescooccidentale contro i missili.) In uno dei momenti ancora montanti della grande spinta tedesco-orientale ho osservato a Berlino Est, alla vigilia della manifestazione, lo spirito interno di questo movimento. Una chiesa evangelica ospita l' assemblea di presentazione e formazione di Neues Forum nel quartiere di Friedrichshain. La chiesa è stracolma, molti giovani sono seduti per terra. A occhio c'è unpo' di tutto,magli operai sembranomenorappresentati; del resto siamo in un quartiere centrale della capitale, non nella periferia di Lipsia. Gli interventi di presentazione dei gruppi di lavoro sono coordinati da un animatore - quasi un presentatore come alla TV - che interloquisce con qualche battuta. Non ci si chiama "compagni", ma amici, colleghi, concittadini... La gente applaude, ride, sta attentissima. Qualcuno ogni tanto interrompe con questioni procedurali, tipo "non rileggete il volantino che ci avete già distribuito" oppure "è inutile che prendiate i nomi per il serviziod'ordine di domani, perché lo dobbiamofare tutti." I temi propostiper i gruppi di lavoro sono vasti e acuti: economia (come . conciliare produttività e stato sociale, ecologia ovvero risparmio energetico per diminuire l'inquinamento da carbone), servizio civile, stato di·diritto, questione delle abitazioni, scuola, mass media, sindacati - (creare nuovi sindacati o riformare quello esistente), revisione della storia della DDR ecc. Al termine dell' assemblea, il promotore di ognuno dei gruppi di lavoro si mette conuncartello inunpuntodellaChiesa,per reclutaregli interessati a collaborare. Klaus Hartung, marxista occidentale, uno dei commentatori della "Tageszeitung", ha scritto: "Le masse in movimento nella DDR non solo parlano una nuova lingua, un nuovo tedesco pieno di ironia, fantasia e dolce radicalità; non si esprimono solo cenni di democrazia di base che non ha nessun esempionell'Occidente. È anche possibile che il movimento parta da presupposti più favorevoli:Può darsi che il fallito burocratismo politico celi in sé potenziali di autodeterminazione e organizzazione nelle scuole, nelle università, nel sistema sanitario, nelle fabbriche. Le masse in movimento nella DDR parlano in modo così naturale in categorie sociali, come noi all'Ovest pensiamo e parliamo nelle categorie del mercato. Il socialismo reale fallitonon ha lasciato il vuoto: gli uomini sono stati divisi da privilegi e da oppressioni, ma non dal capitale." Anche se la tesi di Hartung mi sembra un po' enfatica, posso citare unelemento a suo favore. Senella prima fase del movimento i luoghi e le occasioni di aggregazione sono statiquelli finora usati dall'opposizione-essenzialmente chiese evangeliche, case private, reti di contatti individuali- quando il clima di ribellione e discussione è dilagato sono tornate utili anche le strutture tradizionalidalla fintae svuotatapartecipazione

'socialista': assemblee dei genitori a scuola, assemblee degli inquilini dell'isolato, e-ovviamente - assemblee sui luoghi di lavoro e riunioni di base di partito. La crescita della soggettività di questo fine '89 in DDR è passata attraverso momenti che possono sembrare addirittura ingenui, come se dopo 40 anni di dittatura implacabile nel reprimere qualunqùe dissenso politico ci fosse ancora da svelare l'inganno, da scoprire l'imbroglio.L'immediato precedente della fondazione di Neues Forum è stato, poco prima dell'estate, una sorta di movimento di controllo e contestazione delle elezioni comunali. ' Alcuni gruppi avevano fatto circolare un appello e cancellare i nomi di tutti i candidati della lista unica, concordata dalla SED e dai partiti satelliti. Parecchie centinaia di neo-attivisti dell'opposizione hanno approfittato della possibilità legale di controllare gli scrutini, per poi denunciare come false lepercentuali di consenso dichiarate dal regime. La denuncia è stata fatta anche per via legale da un gruppo di avvocati. Da notare che, ovviamente, non eràno presenti liste alternative, né ci si propòneva'di avere così tanta cancellatura da bocciare effettivamente i candidati. Semplicemente, gli oppositori si aspettavano almeno un 15% di "no", e si sono sinceramente scandalizzati quando il regime (opera personale di Krenz, si dice, che allora era responsabile della sicurezza per la SED) .ha imbrogliato i numeri. Altrettanto, anzi maggiore, sincero scandalo ha destato la repressione poliziesca delle manifestazioni a Berlino il 7 e 1'8 ottobre. Quando sono stato a Berlino Est ai primi di novembre se ne parlava ancora, si raccoglievano ancora le testimonianze dei malmenati. Nel frattempo, in quelle settimane era successo di tutto, le manifestazioni erano state autorizzate, il paese aveva cambiato volto, eppure si continuava a insistere sulla necessità di individuare i "veri" responsabili della violenza poliziesca. Ma come - mi veniva da obiettare - uscite da una dittatura quarantennale e vi siete scandalizzati per un intervento poliziesco quasi regolare anche in Occidente. Ma erano i giorni in IL CONTESTO cui molti, a Berlino Est, si andavano a rileggere la Costituzione per scoprire che vi erano sanciti alcuni diritti mai realizzati. Le immagini televisive-ancora solo occidentali, in quel momento - delle manganellate del 7 ottobre sono state uno dei detonatori del movimento, con un meccanismo molto simile a quello dei movimenti studenteschi occidentali. Passeggiando lungo la parte occidentale del Muro, attorno alla Potsdamerplatz, nelle notti di luna piena e di festa immediatamente successive all'improvvisa apertura delle frontiere, mi sono scoperto un po' irritato nei confronti dei giovani che continuavano a bucarlo e sgretolarlo con martelli e scalpelli. Era diventato un gioco, per ragazzi berlinesi-occidentali, bambini turchi, soldati americani in libera uscita. Dalla parte est . l'esercito stava aprendo nuovi passaggi, togliendo con cura-e senza romperli - interi pezzi di muro, e nessuno si azzardava, come non si è mai azzardato, a prendersela fisicamente col Muro. Non credo si tratti solo di prudenza, di paura dei Vopos. Il movimento di massa di ottobre in DDR non si è rivolto esplicitamentecontroilMuro,ancheseovviameriteharivendicato la libertà di viaggiare. Una parte dell'opposizione in DDR è addirittura comprensiva delle ragioni che portarono alla costruzione del Muro ... Insomma, il Muro è stato costruito e chiuso dalla DDR, e dalla DDR è stato riaperto, senza neanche preavvisare le autòrità occidentali, in seguito alla rivoluzione democratica fatta dalla gente, sempre della DDR. L'enfasi dei giovani martellatori occidentali mi sembrava un tentativo tardivo e inutile di prendersi un ruolo in una vicenda in cui non erano stati attori, oltre che una forma di discutibile vandalismo dal punto di vista urbanistico e monumentale. "Lo vogliamo con molti valichi di frontiera liberi anche daOvest" mi ha detto Rita Hermans, della Lista Alternativa, portavoce stampa del vfoe-borgomastro, "ma non lo vogliamo abbattere, altrimenti sparirebbero i graffiti, i ricordi, e poi riproporrebbe nuove autostrade urbane." Se queste osservazioni sul Muro come entità fisica possono sembrare scherzose, più importante è ragionare sull'improvvisa apertura delle frontiere come contradditt0ria, almeno in parte, rispetto al percorso della "rivoluzione d'ottobre". Non era tra le richieste immediate del movimento, ed è arrivata come arrivano i colpi di stato, in qualche modo prevedibili, ma che colgono tutti di sorpresa, perché non ce li si aspetta così rapidi e concentrati, così capaci di cambiare da un momento ali' altro la vita di tutti. La tentazione di approfittare subito della nuova libertà di passare a Berlino Ovest o in Germania Federale è stata più forte di tutto, e di tutti. Il nuovo gruppo dirigente di Krenz aveva il problema di arrestare il flusso dei profughi e di sgonfiare l'ondata crescente di manifestazioni sempre più radicali. Con l'improvvisa apertura delle frontiere è riuscito a ottenere, almeno per ora, ambedue gli obiettivi, facendo vivere ai tedeschi di tutte e due le Germanie la sensazione del momento storico della libertà. Ma ha anche esposto tutto il processo di cambiamento democratico-socialista nella DDR al rischio dell'immediato impatto senza protezioni con la più forte economia occidentale. Era bello vedere la gente della DDR entrare festosa e festeggiata per i valichi del Muro, era anche divertente vederli storditi e curiosi nei supermarket, ma era ed è francamente assai meno bello vederli tutti in coda per ore per prendere i 100 marchi regalati dal Governo Federale. Nei giorni successivi le manifestazioni persino a Lipsia hanno cominciato a essere meno frequentate. L'attrazione dei consumi occidentali rischia ora di sviluppare a valanga il mercato nero del marco occidentale, Ù contrabbando, il mercato nero del lavoro dei neo-pendolari su Berlino Ovest. La pressione in DDR forse abbatterà anche Krenz - perché non gli si perdona il passato: ma sarà molto più difficile fare i conti con i più forti poteri costituiti dalla Germania Ovest. s

ILCONTESTO Invito al PCI perché, saggiamente, si sciolga Luigi Manconi In Italia, l' 11,7% della popolazione tra i 18 e i 74 anni svolge un'attività di volontariato: 4 milioni 547 mila persone che investono parte del proprio tempo in azioni non retribuite e "socialmente utili". Di questi volontari, oltre un milione presta la sua opera in organizzazioni partitiche e sindacali; gli altri 3 milioni 524 mila - il 77% - si dedicano ad attività civiche e socioassistenziali. (Questi dati, elaborati dall'Iref, sulla base di una ricerca dell 'Eurisko (1) sono riferiti ali' anno 1985. Nel frattempo, il fenomeno - a parere di tutti i ricercatori - si è sviluppato ulteriormente e in misura rilevante.) Questi sono i campi di intervento: educazione, ecologia, formazione alla pace,.protezione civile e soccorso, sostegno ad anziani, ammalati, handicappati, alcolisti, tossicodipendenti, vecchi e nuovi poveri ... Prendiamo ora in considerazione un altro dato: quello relativo agli iscritti alla maggiore associazione politica italiana, il Pci. Gli iscritti al partito comunista - nello stesso anno 1985, a cui si riferiscono i dati relativi all'attività di volontariato - sono 1 milione 595 mila. Ebbene, se si affiancano i dati che riguardano il volontariato e quelli che riguardano il Pci, viene abbastanza spontaneo (a me viene addirittura spontaneissimo) chiedersi: ma perché il Pci non si scioglie, ovvero non scioglie il suo apparato? e perché non dedica le energie così "liberate" (sedi, militanti, budget-tempo, risorse politiche, matériali e finanziarie) ali' azione di solidarietà sociaie? Perché non destina a questa attività - di sostegno e di organizzazione, di mobilitazione e, anche, di assistenza - la quota principale del proprio patrimonio di intelligenza e forza, di esperienza e passione? Molte sono, io credo, le ragioni a favore di una tale ipotesi. La prima è elementare: le vecchie e le nuove povertà non sono destinate a ridursi, bensì - irresistibilmente - a crescere. Certo, si può e si deve lottare perché sia lo Stato, la spesa pubblica, le istituzioni del welfare a ridurre.le povertà, a sostenere i soggetti deboli, a offrire reti di solidarietà e assistenza agli emarginati. Ma è altrettanto certo che unò Stato - anche straordinariamente più sollecito ed efficiente di quello italiano - non è in grado di assolvere tale compito: e non sarebbe in grado, in ogni caso, di "personalizzare" i servizi prestati, di dar loro quel connotato di "sensibilità" e di "affettività" richiesto. E allora? perché non può essere un'associazione privata - forse la maggiore associazione privata italiana- a farlo? Anticipo subito una possibile eccezione: quella che sottolinea il rischio di trasformarsi in un ente filantropico. Chi enfatizza tale rischio sembra dimenticare che alle origini del movimento operaio - e per una lunga fase - organizzazione sindacale e mutuo soccorso, assistenza e lotta, solidarietà primaria e tutela di gruppo erano attività intrecciate e reciprocamente integrate, fino a coincidere nei medesimi soggetti e nelle medesime organizzazioni. Ma la considerazione più importante è un'altra: oggi, come alle origini del movimento operaio, l'attività di solidarietà tende a perdere il suo connotato assistenzialistico, a vantaggi9 di quello 6 mobilitativo e, se necessario, conflittuale. Questo riguarda, in vario modo, settori significativi dell'area del volontariato: in essi l'attività di assistenza e di organizzazione "al servizio dei deboli'' tende a confluire verso uno spazio di competizione per il controllo e la distribuzione di risorse. Tali risorse possono consistere in servizi, in beni o in quella forma di beni che sono i sussidi e le previdenze. Per concorrere alla disponibilità di quelle risorse, l'azione di volontariato non si sottrae alle vertenze e ai conflitti. Vertenze e conflitti concentrati, prevalentemente, sul sistema politicoamministrativo (decisioni relative a competenze di spesa attribuite a ministeri, asses,sorati regionali, provinciali e comunali, enti pubblici in genere). Il passaggio dell'azione volontaria dalla dimensione "di servizio" aquellocompetitivo-conflittualerisulta una chance latente - una carta di riserva- disponibile e utilizzabile a seconda delle circostanze e delle opportunità. Tale chance è affidata, in genere, all'attivazione di quanti provengono da precedenti militanze in organizzazioni politiche o sociali (della stessa area cui appartengono i gruppi di volontariato interessati o, non infrequentemente, di area diversa). Raramente le risorse accumulate e le competenze acquisite nelle passate esperienze rimangono inutilizzate: più spesso, esse vengono "riconvertite", almeno in parte, e indirizzate verso le nuove mete perseguite. In generale, sembra potersi dire che- seppure non si disponga di ricerche che lo confermino- si riduce il numero dei gruppi e delle associazioni che non prevedono, sia pure virtualmente, il passaggio a quella dimensione competitivo-conflittuale. Questo significa, a mio avviso, che un ampio investimento di energie e individui, di tempo e di risorse nell'area del volontariato non comporta un mutamento di fisionomia del Pci in senso filantropico-missionario. Al contrario: potrebbe comportare una diversa qualificazione del Pci e una sua più stretta aderenza ai movimenti e ai sentimenti reali (bisogni, sofferenze, aspettative, strategie di adattamento e/o rivendicazione) della società reale; potrebbe comportare, addirittura, una più accentuata connotazione conflittuale del Pci (2). Non c'è dubbio, infatti, che oggi/a più conflitto la Caritas di un consiglio circoscrizionale; e c'è più lotta di classe nell'attività di sostegno ai tossicodipendenti che nei distretti scolastici. Rispetto a questi "conflitti" e a questa "lotta di classe" il Pci risulta assente o ai margini.L'enorme budget di energie e risorse, di tempo e di competenze di cui dispone è, in larga parte, investito nell'attività di autoriproduzione: di perpetuazione di se stesso, della propria organizzazione e burocrazia, dei propri apparati e dei propri ruoli. È questa, d'altri} parte, la radice prima della sua natura profondamente conservatrice (e della natura profondamente conservatrice della forma-partito, in genere). Questa parte del mio ragionamento, scritta prima che la Direzione del 13-14 novembre 1989 e il Comitato centrale della settimana sucessiva discutessero del progetto di "costituente della sinistra" (e della cancellazione del termine comunista dal nome del partito), riceve - credo - notevoli conferme da quelle

vicende. Oggi, una "costituente della sinistra" non può avere come interlocutori privilegiati i soggetti politici: questi ultimi sono - e giustamente - gelosissimi della propria autonomia (e penso, in particolare, alle diverse aggregazioni verdi); e sarebbe scarsamente produttivo (oltre che culturalmente desolante) affidarsi a ipotetiche componenti interne a partiti come la Dc e il Psi. D'altra parte, anche le maggiori associazioni nazionali (come la "laica" Arei e le "cattoliche" Acli) sono vincolate a complesse lealtà multi-partitiche, che le rendono indisponibili a processi di radicale ridefinizione e ricollocazione politica. Diventa, dunque, scelta obbligata (provvidenzialmente obbligata) rivolgersi a quanti agiscono nel sociale, agli attori non formalizzati come soggetti politici, alle aggregazioni del volontariato, dell'associazionismo civico e solidaristico, del sindacalismo extra-confederale. Dunque, a tutti i cittadini che mettono in discussione "autorità e competenza a decidere della pubblica amministrazione": e, poi; "la decentralizzazione di istituzioni amministrative, che spesso serve a eludere le domande sociali, stornandole alle istituzioni periferiche; il pubblico interesse forgiato dai partiti politici durante le campagne elettorali; i tradizionali canali di rappresentazione che sono monopolizzati dai partiti politici; le politiche particolaristiche che sono 'coperte' dall'egida universalistica del welfare state; il neocorporativismo che implica spesso gravi imposizioni fiscali" (3). Intorno a tali questioni e ad altre ancora (vertenze sulle identità etniche e sulle culture locali, sull'autodeterminazione dei tempi di vita e delle forme di relazione, sul riconoscimento delle differenze sessuali e degli stili di comportamento privato, sul diritto alla riservatezza); e intorno a conflitti di valore (su tematiche come la salute, la vecchiaia, l'inabilità, l'aborto, l'eutanasia, l'ingegneria genetica) cresce la partecipazione e, in qualche caso, la mobilitazione della società civile. Tale mobilitazione va, innanzitutto, rispettata e - se necessario - "protetta" da prevaricazioni e interferenze. E, dunque, il Pci (e chiunque altro, beninteso) deve guardarsi dalla tentazione di assumere, sussumere o annettere (e dai vari sinonimi, come egemonizzare,mediare,organizzare,sintetizzare.politicizzare e quant' altri ...) ciò che si muove nel corpo sociale e nei mondi ILCONTESTO vitali. Perché ciò non avvenga sono necessari due requisiti: a) un ripensamento globale e radicale della teoria e della prassi del partito di massa: e non solo di quel centralismo democratico che ne costituisce una variante tecnica di particolare successo; b) un 'autoriduzione del ruolo del partito e un "dimagrimento" della sua organizzazione, del suo apparato e delle sue prerogative. Quanto prima detto a proposito della necessità di investire altrove le proprie energie va, dunque, collegato a una opzione essenziale: l'elaborazione di una teoria della moderna organizzazione federativa, fondata sulla pari dignità tra partito politico e altri soggetti e su un sistema di rapporti tendenzialmente ugualitari tra attori di differente collocazione e ruolo. Questo comporta la riduzione del partito a una funzione, appunto, di parte: un partito leggero, flessibile, tendenzialmente minimo, che non surroga, non tutela, non supplisce. (4) Un partito che muove dalla consapevolezza della rigorosa, e inconciliabile, divisione dei compiti tra attori politici e attori sociali; e che (mentre affina e, possibilmente, rende più produttive le competenze destinate alle sedi politicoistituzionali) "si mette a disposizione" della società civile: si trasforma, pertanto, in agenzia di servizi che fornisce risorse e mezzi, esperienza e professionalità alle domande elaborate dagli individui e dai gruppi. La mia è - palesemente e intenzionalmente - una ipotesi destabilizzante, il cui esito si presenta incerto. Di più: si tratta di una prospettiva ad alto rischio. Ma ci sono alternative decenti a questa "vita spericolata"? 10-19 novembre 1989 Note 1) Iref, Rapporto sull'associazionismo sociale, Franco Angeli 1988 2) D'altra parte, non va dimenticato che permane, nelle società avanzate, il conflitto industriale e che - per renderlo più produttivo e restituirgli un ruolo, oggi in accelerato declino - molto è necessario lavorare, organizzare, elaborare. 3) Carlo Carboni, "Cittadinanza sociale, classi e movimenti", in Carboni (acuradi) Classi emovimenti in Italia 1970-/985, Laterza 1986. 4) Basti pensare ai terribili guasti prodotti dalla supplenza svolta (e dal tutoraggio assicurato) dal Pci nei confronti dell'autorità giudiziaria. Prendetevi la città Considerazioni poco allegre sulle elezioni nella capitale Marino Sinibaldi Se c'è una cosa desolante quasi quanto l'esito delle elezioni a Roma, è lo stupore scandalizzato del residuo popolo di sinistra. È vero: su tre persone che passano, su tre vicini di casa, su tre colleghi di lavoro, uno ha democraticamente votato per la DC di Giubilo e Sbardella (e Andreotti, naturalmente). Ma davvero qualcuno pensava che per rovesciare un sistema di potere così ramificato e funzionale come quello democristiano o parademocristiano o neodemocristiano bastasse uno scandaletto come l'affare delle mense scolastiche? Davvero nella capitale di un paese dove democristiani e alleati dei democristiani governano anche quando finiscono in galera, o nelle liste della P2, nei dintorni della Cupola e della Piovra, potevano bastare un paio di appalti truccati? In realtà il senso di delusione prevalente a sinistra è la prova di un persistente, continuato errore di prospettive, di valutazione, di comprensione; è conseguenza di quelli che sono ormai i principali difetti di quella cultura (chiamiamola come vogliamo: di sinistra o solo critica o di alternativa, d'opposizione, eccetera eccetera): mancanza,di sensodella realtà e assenzadi memoriastorica. L'assenza di memoria storica mi sembra clamorosa: a Roma non è accaduto nulla di sorprendente a paragone di quegli anni, o solo mesi o giorni forse, a metà degli anni Settanta quando la DC · sembrava letteralmente sparire, un intero sistema di potere e di gestione del potere pareva disgregarsi, l'alternativa- la confusa e in verità inesistente alternativa di comunisti berlingueriani, socialisti già precraxiani, ex estremisti in via di conversione - dietro l'angolo. Sappiamo come finì: non solo la DC resistette bene, ma in soccorso alla trincea democristiana arrivarono i suoi possibili espugnatori. Il rientro nei ranghi, il ritorno all'ordine cominciò nella società ben prima che gli intellettuali se ne accorges7

ILCONTESTO sero. E invece, ancora in queste ore post-elettorali, accadé di ascoltare vecchi amici e compagni che guardano stupefatti le cifre dei voti democristiani e commentano: "Ma come, sugli autobus tutti imprecavano ..." Ho una certa esperienza di trasporti extraurbani: se davvero le conversazioni che ascolto producessero un programma politico, non basterebbe quello di Sendero Luminoso! Questo scambiare il malessere e il disagio della vita metropolitana cqn una scelta politica, o le premesse di una scelta politica, è un vecchio tic della cultura di sinistra che a Roma ha sempre prodotto delusioni. Ma la conoscete questa città? Quella delusione e in realtà figlia di una spaventosa mancanza di senso della realtà. E infatti capita di leggere continuamente, in documenti politici e sindacali "di sinistra", che l'offensiva neoliberista-individualista-reaganianthatcheriana ha perso di virulenza; insomma che il peggio è passato. Forse è solo perché il peggio ha vinto. E quella cultura ha un'apparenza meno violenta perché ha "sfondato" ideologicamente, ha messo in rotta il nemico e ora punta a consolidarsi. Eliminando ambiguità e doppiezze, accessori e specchietti per le allodole - lo dico dal punto di vista di un' allodola-come il libertarismo e l' antiideologismo (v. legge antidroga). Quello che resta ha ormai i tratti di una cultura di regime, ma è ancora vitale, è un fenomeno in ascesa, in espansione. Quella cultura e la sua espressione politica trasversale (il celebre CAF, Craxi-Andreotti-Forlani) a Roma è stata sfidata ma non battuta. Questo è, ridotto ali' essenziale, l'esito delle elezioni romane. Un esito perfettamente in sintonia con quella che è la situazione sociale, culturale e politica della città. Perché Roma ormai è democristiana dalle fondamenta, nelle sue fibre più intime. Roma sembra funzionare e riuscire a sopravvivere solo perché è democristiana (ripeto: intendo per democristiano un sistema di potere costituito o condizionato da metodi che abbiamo imparato a conoscere dalla DC: da questo punto di vista i partiti democristiani a Roma e altrove sono più d'uno). Qualche sociologo (per esempio Giuseppe De Rita sul "Corriere della Sera" giusto 15 giorni prima delle elezioni romane) sostiene che la vita della metropoli è contrassegnata da una duplice sensazione: la più totale rassegnazione di fronte alle dimensioni dei problemi, che sembrano ormai tutti insolubili, fuori dalla portata della politica e che nessuna formula politica è mai riuscita a risolvere (basta pensare al traffico, ma anche a la salute, la casa, la scuola ...); la rassicurante constatazione che comunque, miracolosamente, si sopravvive. Comunque, nonostante il traffico, le due, tre macchine di famiglia riescono a girare; comunque, nonostante la crisi abitativa, una casa prima o poi si trova; eccetera. Questo è il miracolo. Se è così la DC a Roma - ma credo anche a altrove - si presenta come ·1agaranzia di questo miracolo. Una volta stabilito che le altre forze politiche (a Roma la sinistra ha governato per dieci anni) non risolvono i problemi, una volta concluso che i problemi hanno una dimensione e una forza oggettive (che il traffico è come la grandine, insomma), non resta che votare Dc. Perché almeno il miracolo di sopravvivere è garantito, protetto, tutelato. Un ragazzo che mi aveva sorpreso votando Dc, mi ha risposto: "E sennò chi voti?" La DC garantisce-ossia lascia indistùrbato- il miracolo di continuare a sopravvivere-ossia lavorare e consumare- in una metropoli assurda, caotica, irrazionale. Questa assurdità appare ormai oggettiva e irrimediabile (e perfino astorica: si è persa la memoria di quando la metropoli assurda non c'era). La DC è l 'a- ~ttamento a questa assurdità - la possibilità che prima o poi quell'adattamento sia realizzabile e si compia per tutti. Il traffico non si può eliminare, si può solo addomesticare con qualche arrangiamento personale, per esempio parcheggiando in seconda fila: la DC garantisce che si potrà ancora è sempre parcheggiare in seconda fila. Il Comune di Roma non impiega nemmeno i soldi stanziati per costruire abitazioni e la casa non si trovà se non si "conosce" qualcuno: la Dc garantisce che ci sia sempre qualcuno da "conoscere". E così via. Questa è la natura del cosiddetto "voto di scambio": non solo e non tanto voto in cambio di favori diretti e personali, dunque. E poi il voto di scambio vince quando non è possibile un "voto di cambio", di trasformazione. Spiegare perché questa chance elettorale a Roma non c'era, vorrebbe dire aprire un discorso troppo lungo. Ma neanche tanto, in fondo: non si vede già al telegiornale che l'unica trasformazione possibile nel mondo è diventare tutti occidentali (o democristiani, come si dice in Italia)? Così il borgataro romano fa come il cittadino della Germania Orientale e fugge dal Pci; non per fame o per bisogno, proprio come quegli emigranti post-moderni. Perché il Pci ha sanato le borgate e reso i borgatari cittadini; e ora i borgatari, diventati per loro conto e merito ceto medio, piccola borghesia, vogliono di più. Risponderebbero come il profugo tedesco orientale: "Volevo avere e fare le cose che vedo in Tv" (in DDR ricevono la Tv occidentale). Le borgate ricevono solo la Tv. E ora vogliono quei consumi, quei comportamenti, quegli stili di vita. Se è Sbardella che garantisce non solo e non tanto la casa e il lavoro ma quelle possibilità - la vita spericolata dei consumi illimitati, del traffico illimitato, della corruzione illimitata-si voti Dc. "E sennò chi voti?" A sinistra: foto di Tullio Faraboia ( 193 l ). Sotto: Totò (foto Vaselli).

IL CONTESTO È duro ammetterlo: ma in questa situazione non credo che le espressioni politiche di quella confusa e incerta "cultura d' opposizione" possano fare molto di più. Certo, il Pci non poteva presentare un candidato più sconosciuto alla gente di Reichlin (scelto anche perché gradito a "La Repubblica"; ma del resto il vincitore Garaci era noto solo ai ciellini che coccola e sovvenziona). E i verdi hanno dato nella formazione della lista romana il peggior spettacolo politico immaginabile. Ma è meglio, tra noi, guardare in faccia la realtà che oggi a Roma e domani in Ital~ sembra tagliare irrimediabilmente fuori, specie sul terreno elettorale le for - ze d'opposizione. Non è questa una forma di giustificazione o di rassegnazione verso gli errori, i difetti, gli autolesionismi. È l'invito a drammatizzare giustamente quello che accade nelle nostre città. LETTERE Momentidella verità Goffredo Fofi Addio senza rimpianto agli anni '80 Che sono stati "i più stupidi della nostra vita" (non i più brutti, se si ripensa all'angosciosa seconda metà dei Settanta). Essi hanno visto il trionfo di tutte le malafedi, l'invasione della chiacchiera e della ciarlataneria giornalistica e "filosofica", le esaltazioni della mediocrità e del conformismo, lo scalfarismo e l'arborismo, e naturalmente le predica-ricatto sulla "fine della storia" propinata da molte, da quasi tutte le parti per meglio conformare e addormentare. Poi proprio alla fine del decennio, il muro è caduto. E tutto cambia rapidamente, sconcertando i più, ma trovando già pronti i soliti alle solite giravolte. (Dicevo a un'amica: "Chissà come sarà rimasto di sale Tizio, che vede smentite tutte le sue posizioni". E lei: "Sei pazzo? È subito corso aBerlino!")No, di questi anni non avremo nostalgia. Addio a Bilenchl, addio a Sciascia La scomparsa di Bilenchi, nostro collaboratore, amico, e maestro non solo nostro, è uno degli eventi tristi di questi mesi non solo tristi. Sulla sua figura e la sua opera torneremo. Bilenchi ci mancherà, sappiamo che persone di quella tempra, intellettuali di quella robustezza e saggezza politica, scrittori di quella profondità ce ne sono e saranno sempre di meno. Egli è stato tra i pochi dei vecchi compagni del PCI che potevamo sentire come "nostro" (con pochissimi altri, non più, forse, tra i più noti, di due o tre: quelli che all'interno di vecchi gruppi amicali ci piaceva definire "i terzini - cioè segnati dalla storia e dall'ideologia della Terza Internazionale - dal volto umano"). Addio anche a Sciascia - che non era un "nostro" autore e che non abbiamo considerato un grande scrittore, e di cui anzi abbiamo spesso messo in discussione opere e posizioni. Ma con rispetto, con molto rispetto. Perché pensava con la propria testa, perché non si vendeva al miglior offerente, perché aveva il coraggio delle proprie idee - a volte, peraltro, sacrosante. Anche lui ci mancherà. Non ci sono Resterebbe piuttosto da discutere cosa fare di quella parte di gente (un terzò, un quarto, un quinto o anche meno) che "non si riconosce" che "non è d'accordo". Sembrerebbe che non ci siano possibilità fuori di queste due: rendere questa minoranza "aperta", ossia disponibile ai patteggiamenti, ai compromessi, alle consociazioni; oppure chiuderla nella purissima opposizione di chi ha il coraggio di dire agli altri: "ma sì, prendetevi la città". E invece l'unica speranza per rossi e verdi, per onesti e non rassegnati è che uno spiraglio tra queste due alternative si apra. Bisognerà riparlarne, credo. in giro purtroppo - e segnatamente nel sudmolti che possano prendere il suo posto. La parola "comunista" Non mi pare che la parola "comunista" sia più sputtanata in Italia delle parole "socialista" o "democratico" (forse anche di altre di identità e significato politico-corporativo: "radicale", "giornalista", ecc.). E tuttavia sono personalmente assai contento che il PCI cambi nome: soprattutto non mi piace la parola "Partito", con tutto quel che essa significa di "parte" e gruppo di potere, o anche di setta, banda, mafia, ecc.; di affermazione di interessi di parte contro gli interessi collçttivi. E la parola "comunista" va anche rapportata a un contesto internazionale, a quello che ha significato per gli abitanti, per le "gloriose masse proletarie" che il "comunismo" dei paesi dell 'Esthanno subito in URSS per ottanta, dico ottanta, anni. Che a questa parola in Italia siano attaccati vecchi fusti alla Pajetta, che fu fedelissimo servitore del "piccolo padre" moscovita e dei suoi ultimi figli, non mi stupisce; che la base comunista tema la perdita d'identità, è comprensibile. Che poi certi ve~hi amici o quasi amici siano così legati agli anni della loro formazione da vedersi come oppositori anzitutto del sistema capitalista (ma dal suo interno), e dunque alleati della sua tentata alternativa comunista, anche questo mi è comprensibile, anche se mi sembra patetico il loro non aver ancora capito come sia stato l'orrore del "comunismo" realizzato a regalare oggi il mondo all'orrore del capitalismo. (La parola "comunismo" è bellissima-e non ha nulla a che fare nella realtà con l'uso che ne hanno fatto a Est o con le idee dei togliattiani. Si potrebbe anzi dire che non li riguardi.) Mi scandalizza nel più profondo invece lo scandalo che ne fanno molti intellettuali - anche alcuni che nel PCI non sono mai entrati, alcuni dei quali, li conosco, molto miti e molto vili. Mi immagino a fatica cosa, in un regime in cui Togliatti. mettiamo, avesse vinto, essi sarebbero diventati: ingegneri delle anime? cortigiani? mediatori? delatori? No. Credo che la loro nostalgia vada nell'ordine, alla "santa doppiezza" togliattiana, alla speranza di un rivolgimento da vedere coi loro occhi in cui i loro nemici venissero eliminati proprio fisicamente, la nostalgia di un autoritarismo giustiziere che agisse per loro (naturalmente dimenticando i loro privilegi in questa società, perché è loro tradizione il querulo vittimismo digestivo di chi vuole dalla società molti. più appagamenti di quelli che già ne ha). Certi nomi, si sa, significano troppo, ma proprio perçhé ognuno li riempe di significati suoi e fantasticherie sue. Così si logorano, non I , . Le Ellissi RICHARD P. 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È difficile trovarne di nuovi, non usurati anche loro. E il rischio è che l'attuale gruppo occhettiano - non più affidabile di altri - proceda, come molti temono, a mere operazioni gattopardesche, trasformistiche. Che ne verrà fuori? Dopo la spinta gorbacioviana (causata, va ricordato, dall'impasse econotnico, dalla pressione delle nazionalità "secondarie", dalla paura della politica di scudo spaziale americano, dalla forte presenza di una nuova scalpitante burocrazia piccolo-borghese come nel resto del mondo "sviluppato", dall'impossibilità di reggere oltre - dopo ottant'anni! e dico ottanta! - l'ipocrisia e falsità delle parole usate) l'accelerazione è stata massima, a est. II sistema è crollato. Ricorda Heiner Mtiller che Lukacs diceva ai suoi allievi che "l'esperimento è fallito" e che "bisogna ricominciare da un'altra parte". D'accordo con questa diagnosi perfino, nel tnio piccolo, da qualche anno prima che Lukacs osasse farsela pubblicamente, sono contento che il mondo cambi, che qualcuno abbia voglia di "rifondarsi". Che poi ci sia da temere che la rifondazione non porti grandissime novità, questo è un altro discorso. Per intanto, si cambi. · (Osiamo far previsioni? Il PCI è un sistema di potere consolidato in tre sole regioni, e lì pre-· sumibilmente resterà, in forme "nuove" ma antiche, con alleanze molto più secche e concrete di potere che altrove. E altrove, potrebbe anche esserci un bel casino, e quando dico bello intendo bello: chissà che non si liberino energie ancora positive, non del tutto ipocrite o corrotte.) Scenari Di questi giorni siamo tutti politologi, strateghi, àuguri e indovini, ci lanciamo tutti in grandi previsioni, delineiano scenari avventurosi o utopistici (neri o rosa) o semplicemente grigi. Poiché è certo che la "svolta" c'è stata, e che il ventunesimo secolo sta cominciando. Lasciando da parte per una volta le previsioni "ecologiche" (in quel campo è difficile essere ottitnisti, il disastro procede matematicamente) mi pare che quelle politiche si riducano, sintetizzando quel che sento in giro sulla bocca dei più avvertiti e ripetendo - e dando per scontato quanto affermato indietro, che l'orrore prodotto dal "comunismo" nei paesi dove ha regnato ha finito con il consegnare l'intero pianeta all'orrore del capitalismo - a due: a) Se non ci sono politici acuti e di largo sguardo che sappiano cogliere positivamente la grande occasione della caduta dei muri, quest'occasione evolverà nella direzione di una forte Germania unita di un generale rafforzamento del capitalismo europeo nello acutizzarsi delle contraddizioni intercapitalistiche (e imperialistiche) tra le quattro aree, ricche dominanti - USA, Giappone, URSS, e Germania come perno dell'Europa. Un conflitto interno a queste aree potrebbe anche dire guerra, e sarebbe allora "guerra mondiale". b) Se la nuova Yalta che si annuncia permetterà a queste grandi potenze un accordo "globale", esso avverrà-come perla vecchia Yalta-nella direzione di una nuova spartizione delle aree di influenza, ridimensionata ovviamente quella sovietica. In tal caso i decenni futuri saranno quelli del dominio del Nord sul Sud. Già da molti anni si dice, e da molte parti compresa quella minitnissima rappresentata dalla nostra rivista, che è questa la contraddizione dominante, al posto di quella internordica rappresentata dal conflitto Est-Ovest. Sempre di più, allora, noi del Nord ( e l'Italia è una cerniera utile al Nord solo come avamposto e frontiera del Sud) saremo consegnati a una scelta in questa direzione, a prendere posizione (posto) in questo arduo, e duro o subdolo, fronteggiamento, o penetrazione. Ma se tutto riparte, perché non pensare anche a una possibilità altra, di compenetrazione? Ecco rispuntare un'utopia positiva per la quale lottare. Ma schierandosi da subito dalla parte dei poveri - tradendo non solo, come si diceva un tempo, la "nostra classe", ma la nostra appartenenza alla parte del mondo con la pancia piena. Non sono un politologo, non so architettare meglio queste opinioni e sensazio- .. ni. Ripeto: è quello che sento in giro sulle bocche che reputo tnigliori. Lo riporto perché tutti ci si rifletta. Un suggerimento a papa Wojtila Sono convinto che, in ogni caso, sarà la questione Nord-Sud il nostro futuro, se non altro morale, ma credo anche politico. E visto che tutti siamo di questi tempi àuguri e profeti tni è saltata alla mente un'idea molto logica, rispetto a ogni scenario futuro. Si è accorto Wojtila del modo diverso con il quale, perlomeno in Italia, i giornali hanno parlato di ciò che succede a Est (inportantissimo, e figuriamoci se non siamo contenti che se ne parli e Io si racconti!) e ciò che succede, mettiamo, nel Salvador? Si trattava, a un certo puntò, peraltro, di un massacro di religiosi: l'occasione per un discorso più generale, i nostri giornali l'avevano. Ma i nostri giornali sono giornali del capitale, che spontaneamente, "naturalmente" privilegiano le notizie che possono interessare il capitale. E le sacrosante rivolte come quella di Praga essi non possono che leggerle in una chiave istintivamente, automaticamente capitalistica. Due pesi e due tnisure, le dieci colonne e il colonnino, gli interessi presenti e futuri nei Nord e dei padroni. Non sono un credente, parlo da fuori. Ma sono convinto che in questo momento di grandi e delicatissime occasioni storiche, nelle quali è necessario fare scelte veramente "epocali", una che potrebbe avere esiti straordinari toccherebbe al papa, che avrebbe senz'altro la pqssibilità di farla. Fltcciaseguire alle parole i fatti, non sia da meno di Gorbaciov o perfino di Occhetto, scelga davvero, ora, la parte dei poveri. Wojtila, che ha vinto in Polonia e sta vincendo nell'Est, dovrebbe, se le sue affermazioni "sudiste" sono sincere, trasferire il papato da Roma a un paese del Terzo Mondo, a sua scelta.

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