CINEMA PARI IN INSULSAGGINE FRANCIAEUSA, CINEMAE FUMETTO Goffredo Fofi quella americana da più di un secolo - quello delle diversi tà e differenze tra le due culture - e che avrebbe potuto ancora oggi essere di grande vigore, non solo non sidice nulla di nuovo, ma lo si dice anche con una sciattezza e povertà che stupiscono e lasciano male, venendo da un regista come Resnais. liani con tutta la ripugnanza che meritiamo!) sono cresciuti e non diminuiti, e si sono fatti, nonostante le omologazioni nel consumo, ancor più protervamente rivendicativi della propria presunta diversità, originalità. Due "modi di vivere" (il finto democratico e il finto aristocratico, diciamo) di speculare falsità. È questo il primo fùm decisamente superfluo nella fihnografia consistente di un grande regista. Nel '68,Je t'aimeje t' aimeci apparve eguahnente superfluo, ma forse sbagliavamo e dietro lo scherzo fantastico scritto da Jacques Stemberg c'era qualche interesse, non fosse che per contrasto (o per dilatazione) con le tematiche impellenti in quegli anni, politiche a livello primario. Perché questo tema banale poteva ancora essere forte, vitale? Perché i difetti rispettivi della "cultura" (in senso proprio antropologico) francese e di quella americana (come di altre, s'intende -e quanto ci piacerebbe che un rabbioso regista straniero descrivesse noi itaContro questa falsa coscienza, i creatori di Passionella e di Muriel, di Conoscenza carnale e di Mon oncle d'Amérique avrebbero avuto molto da dire, se ancora avessero avuto voglia di guardare con attenzione e con la lucidità di un tempo. E non sono poi così vecchi (il francese è del '22, l'americano del '29) da doverli compatire perché non ce la fanno più. Aloin Resnais (foto di Jeon·Régis Rouslon, l'Express/ G. Neri). La loro ricerca di gradevolezza, di volemose bene da una sponda all'altra dell'oceano e tra un aeroporto e l'altro è tutta spuntata, e se qualche sorriso lo strappa, non c'è un solo momento in tutto il fihn che non ci sembri scontato e un po' sciocco. In particolare la lunga scena (o atto) del castello borghese, che vorrebbe avere movenze da Settecento o magari da Regola del gioco, e che sembra slegata, svagata, insensata nel testo come nella regia. Stavolta Resnais si è rivolto a uno sceneggiatore americano che è anche un grande vignettista, Jules Feiffer. Sarebbe meglio però dire che "è stato", perché - se la dignità non l'ha mai persa, e una cer,tacultura! coscienza e sapienza- il Feiffer degli anni Ottanta non ha più il pepe e il sale di quello, formidabile, dei Sessanta, e neanche l'amarezza aggressiva di quello dei Settanta. Su un tema che in altri tempi sarebbe parso ancora originale e provocatorio - la consacrazione del fumetto tra le arti del tempo.:_ non ci sono gran battaglie da fare, tantomeno in Francia, dove persone come Resnais hanno imposto via via una lettura.più smaliziata e intellettuale di questa forma espressiva e del gusto per essa. E su un tema che è un cavallo di battaglia della comicità francese.e di Da questo fallimento salveremo soltanto la smorfia un po' scocciata e un po' divertita di Adolph Green, privo però della fedele Comden. Piombato qui per caso, dai suoi sogni musicali dei Quaranta e Cinquanta, ci appare incredibilmerite simile all'Oscar Levant in cui si volle rappresentare in quel capolavoro tutto americano che fu Spettacolo di varietà; dove, guarda il caso, la sua sceneggiatura prendeva efferatamente in giro il "reggistone" venuto dall'Europa./ want to go home avrebbe dovuto scriverlo lui, invece di Feiffer. SEIZE THE TIME - IN CASA DISNEY INCONTROCON PETERWEIR a cura di Piera Detassis Peter Weir è in ottima forma, vestito di grigio e nero e disposto a ridere molto, con facilità. È davvero uno strano incrocio di salutista australiano e intellettuale ali' europea. Scoraggia e dribbla con disinvoltura curiosità e approfondimenti teorici, ma in compenso la conversazione è ricca di accenni ali' importanza dell'emozione. Ed è anche, a tratti, emozionante. Proprio come il suo cinema. Conferma l'idea che L'attimo fuggente (Dead Poets Society) significhi una svolta nel suo cinema, lontano com'è dalle atmosfere epiche epaniche di altri suoifilm: "l'ho girato in estrema libertà, come se fosse la mia prima volta. Ci ho messo più di un anno a dimenticare lafatica di Mosquito Coast Un anno passato a rifiutare sceneggiature, a cercare di rilassarmi da unfilm faticoso per i modi di lavorazione, maforse, anche per le accoglienze, a volte dure, che ha avuto. L'attimo fuggente' è arrivato allafine di questo lavoro di oblio. Come ricominciare da zero". Come è nato il rapporto con la Touchstone-Walt Disney? Più di un anno fa mi trovavo alla Walt Disney per discutere di un 'altra sceneggiatura che avevamo in ballo. Una sceneggiatura scritta da me (la prima da dieci anni a questa parte) per Gérard Depardieu. Ma Gérard era continuamente impegnato e non si riu92 sciva a girare: avevo almeno un anno libero davanti, perché non potevo assolutamente cambiare protagonista, avevo scritto tutti i dialoghi guardando una sua fotografia spillata sulla mia lavagnetta a muro. Alla Disnèy, quasi scherzando, mi hanno detto: "Se non hai niente da fare nei prossimi mesi, avremmo qui una cosetta che fa per te. Leggila!". Era la sceneggiatura di Dead Poets Society. Il titolo mi è piaciuto subito, l'ho letta d'un fiato in aereo. E ho deciso di fare il film". Il capitolo della storia della letteratura che fohn Keatingfa saltare agli allievi - l'unico - è quello del realismo. È anche un'allusione all'idea di cinema di Peter Weir? Fino a questo momento la consideravo un 'allusione privata, non pensavo che qualcuno l'avrebbe colta. C'è comunque, nel film, una netta predilezione per i poeti romantici, scelti soprattutto da Schulman, lo sceneggiatore, Checonosce ovviamente molto meglio di me la letteratura americana" L'introduzione di Pritchard al testo di letteratura, la stessa che Keating invita a stracciare, si ispira a qualcosa di esistente? Abbiamo modificato un testo americano in modo sufficiente pernon farci querelare. Il libro veniva usato nella Scuola in cui ab-
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