________________ _J■ ... W...■.-a..i: IIIDEIEIII~---------------- LA CRISI DI UNA 11 COMMISSARIA" NELFllM DIASKOLDOV (DAGROSSMAN) GianniVolpi Nonna Mordjukova in La commissaria di Askoldov. Davvero senza fondo appaiono gli scaffali dove tanti film sorprendenti, quelli di German e di Kira Muratova, l'Asja di Konchalovski e piccole opere "irregolari", giacevano congelate dalla censura dell'era brezneviana. L'ultimo esemplare uscito è La commissaria di Aleksandr Askoldov, premiato aBerlino, San Francisco, ecc., e ora visto a Salso (uno dei pochi festival a avere ancora una sua "faccia", una "linea" come si diceva, anche se varrebbe la pena discutere quanto incisiva rispetto al cinema mutante di oggi). A tutt'oggi unica opera di Askoldov, il film risale al 1967.11 suo autore sembrava avere una pericolosa propensione ali' eterodossia, attratto com'era da scrittori "nemici del popolo". Si era già fatto notare per uno studio su Bulgakov, la cui opera era ancoratabù, e ha tratto il suo film da un racconto di Vassili Grossman, morto tre anni prima in totale disgrazia. Sono influenze, almeno in parte; attive e riconoscibili in La commissaria che, a vent'anni di distanza, appare un'opera squilibrata, forse percorsa da troppe tensioni, alcune ormai datate, altre non del tutto controllate, eppure di notevole respiro e spessore culturale. In partenza sembra insçriversi in uno dei generi più codificati e irreformabili del cinema sovietico, il racconto degli anni della Rivoluzione e della guerra civile. Un soldato in avanscoperta entra in una città resa deserta dalla paura, gli abitanti nascosti come a ogni cambio di regime. Tutto è, però, visto su un tono insolito, stridente. Con una soggettiva esasperata, con tagli radenti, a livello di acciottolato o a . piombo da un campanile. Con rapide ellissi: l'esecuzione da parte dei Rossi di un disertore per amore della famiglia, anticipata nella caduta della brocca che teneva in mano, nel latte versato, una scena che ha un corrispettivo nel flashback della morte dell'amante della commissaria, riassunta in un montaggio eisensteiniano nei suoi occhiali che cadono e si spezzano. In ognicaso,questoènon più di uno sfondo, ridotto a poche. rnunagini memoriali o oniriche. Il fuocodel racconto, con un processo di dedrammatizzazioneche era tipico del giovane cinema russo dell'epoca, è spostato su "storie individuali, imprevedibili", innestate nel quadro della Storiaufficiale. Il "piccolo coro" sostituisce i Grandi Gesti. La commissaria, che abbiamo visto in azione come durissima militante, è incinta, è costretta a fermarsi per partorire presso lafamigliadi un artigiano ebreo, e c'è un aritieroismoche è già inscritto nella scelta fisica dei protagonisti, una commissaria monumentale, un piccolo, scialbo ebreo (che è il bravissimoattore-registaRolan Bykov), con a carico una giovane,saggiamoglie, sei figli scatenati e la vecclùamadre che farfuglia preghiere injiddish.Unoscontroche si fa presto incontro di logiche, mentalità, culture, stili di esistenza:, rispettiveretoriche. C'è molto di letterario (il clima ideale degli anni Venti,ma anche quello quotidiano, le paure aognicambio di occupazione, la vita nascosti nelle cantine, le case sbarrate come se fosserodisabitate) e di autobiografico (Askol- . dov era stato accolto da bambino da una famigliaebrea,quandoi genitori furono vittime delle purghestaliniane). Il ritratto non esce in genere da un registro sentimentale, di un microrealismo affettuoso, la piccola comunità ebrea povera, con i suoi lavoretti artigianali, le sue beghediménagee di coabitazione, i suoi riti ingenui, insomma la sua umanità, e il "colore" della situazioneaffidato soprattutto .agli attori, e di pari passo l'aprirsi alla vita della commissaria, il suomutare con il mutare di divise (maschili) in abiti (femminili), la scoperta di se stessa come persona, come donna, come madre.'MaAskolddvvi inserisce non pochi colpi d'ala. Duesoprattutto. In un caso, osando l 'inosabile e forzando il racconto alla profezia dei campi di concentramento nazisti. a un flashforward di marcia verso il lager. Nell'altro, sfiorandopulsioniprofonde con il crudele e naturalegiocodel"progrom", in cui i figli del protagonistadannolacaccia alla sorellina, la "sporca ebrea" come vittima. Un'intolleranza che serpeggianellecoscienze, introiettata dalle stesse vittime. Più in generale, è in ogni caso un grande temache il film affronta, Ja· Russia comunistae gli ebrei, la nascita di una nuova società chenonmuterà la condizione delle mino~ ranze, gliebreicome i sacrificati della storia, e saràproprioessoa causare la rovina del film - finitoper di più in piena guerra dei Sei Giorni - e dellacarriera di Askoldov. · Nonconosciamoil saggio su Bulgakov, ma si può intuire che cosa lo interessasse, quella sua "attenzioneagli aspetti meno conformistici e eroici"della realtà sovietica, quèl suo fondodi angosciosainterrogazione. Quanto aGrossman, sembrascegliere la parte iniziale della sua opera,l'autore negli anni Trenta di romanzi brevi,il cronista appuntito, preciso. E a Berdicev, inUcraina,paese natale dello scrittore, è ambientato il film. Eppure, esso sembra piuttosto ispirarsi,senza averne l'abissale tragicità, alla lezionedi fondo di un tardo romanzo di Grossman, Vitae destino, scritto nel '60 e apparso (ma solo in Occidente) nell'80, e che Askoldov forse non poteva conoscere. Certo, la sua "internazionale dei buoni" appare quasi la traduzione letterale del richiamo di Grossman a una "bontà privata di un singolo individuo nei confronti di un suo simile, una bontà senza testimoni, una piccola bontà senza ideologia. Sì potrebbe chiamare una bontà insensata. La bontà degli uomini fuori dal Bene religioso o sociale". E il valore base che nel romanzo innesca la polemica contro le grandi ideologie, il cristianesimo o l'islamismo o il comunismo, che per salvare l'umanità hanno provocato un male inaudito. È una soluzione ingenua? Forse, ma a Askoldov (e a Grossman) appare la sola possibile, il nucleo infimo ma essenziale di resistenza morale. Quella stessa che nutre un senso religioso e un rapportò con la natura non indegni della grande narrativa russa, almeno in certe sequenze, la passeggiata-esposizione del neonato, da un bosco a un fiume, da una chiesa ortodossa a una sinagoga (in rovina), l 'esodo finale dei Rossi sovrastato dal ricorrente viso enigmatico di una statua della Vergine. Tutte componenti che servono a rompere la fissità di figure imposte, gli schemi retorici della Storia, in nome di altre chiavi, umanitarie, libertarie, religiose, senza esorcizzarle, anzi assumendole totalmente. "Questo è il tempo mi- . gli ore, quando il vecchio potere se ne è andato e quello nuovo non è ancora arrivato", dice il piccolo ebreo. È un radicale rifiuto della politica e della Storia che è di una generazione che ha conosciuto i lager e i gulag. Al pari di altri film "scongelati", quello di Askoldov è significativo anche dei caratteri di una Nouv.elle Vague sovietica degli anni Sessanta non vista, non "esistita", forse sospettata, ma che in realtà aveva prodotto film importanti, e forse di maggior spessore culturale di quelli occidentali. In ogni caso, esso è significativo di certi suoi aspetti, delle forme autoctone in cui erano vissute le innovazioni. Il linguaggio di Askoldov è una strana e efficace combinazione di due tensioni: l'una rivolta a recuperare le grandi esperienze formali dei classici e del muto, Ejzenstejn e Dovzenko su tutti, ci pare, ma a tratti anche esperienze più accademiche, metafore e cinema dì montaggio, piani-sequenza e ampi brani corali, distesi; l'altra segnata da tutti i vezzi, recuperi, invenzioni (oggi non poco datate) dei "nuovi cinema", sequenze soggettive, "pulsionali", immagini oniriche, cinepresa sempre in movimento; iterazione esasperata di panoramiche avanti e indietro sul ritmo di unaninna nanna, camera rovesciata, persino zoom, virtuosismi vari, ecc .. C'è un tasso di formalismo o, se si vuole, di recupero del valore della forma che, però, aveva un senso di liberazione dalla rigidità ideologico-politica, dalla falsiss-imanaturalità social-realista; era un passaggio obbligato di una ricerca di verità e di espressione personale, d'Autore, e in questo caso, ci pare, tramite di un'attività fantastica e ideale reattiva a un preciso contesto. In attesa dei film di oggi, l'era di Gorbacev ha permesso se non altro di scoprire e riaprire il discorso sul cinema degli anni Sessanta. "I manoscritti non bruciano", diceva Bulgakov. E nemmeno i negativi. Solo le esistenze degli autori. 91
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