Alexei vonJavlenskii, Solitudine ( 19 l 2). fica che solo tramite esso la coscienza europea acquista la piena ~on_sal?evolezz~_diche cosa sia "il genocidio". E di quanto esso sia mgmnoso dell idea stessa di ragione che l'occidente pretende rappresentare. In questo modo diventa chiave di lettura storica comparata degli altri genocidi: da guello staliniano dei Kulak.i a quello dei cambogiani di Poi Pot. È insensato temere in tutto ciò una speculazione comparativa, che svalorizza l'evento. Ma c'è un altro argomento, che vale per i non-ebrei. Questi si trovano dinanzi all'arduo compito di assumersi la memoria "dell'altra P3:fte"-:- non ~to dei carnefici e dei responsabili diretti, q~anto d1quelh ~he dicevano di non sapere, di non potere. I ricordi della generazione che ha speso la sua gioventù in guerra, pass~n~oaccanto ag!i orro~, magari rimuovendone il sospetto. E oggi s1sentono essi stessi a loro modo ingannati e vittime. Insomma i_milioni di Waldheim, che vivono in Europa- irritati, frustrati, talvolta arroganti talvolta desolati. . questi_se!1~menti affiorano spesso nei conflitti generazionali ~e1pa~s1d1hngua tedesca. Ebbene: queste memorie dei padri, dei nonm vanno cancellate, ignorate, falsificate? Basta il velo della ~ergogn~ filiale per s~varle? Come ci si concilia con questi pa- ~? N?n s1apre un capitolo a~co_ratutto da scrivere per I'identi- ~ st~nca d~lle n~?v~ generaz1?m? In essa devono trovare spazio sia 1 eccez1onal1ta d1 Auschwitz che la normalità deformata o ~gnara,meschina o incolpevole di chi semplicemente viveva con Il suo tempo.C'è un "dovere del ricordo" anche in questa ricostruzione critica. Non alla ricerca di compensazioni, di alibi o viceversa di colpevolizzazioni indiscriminate. Semplicemente si tratta di capire, di ripercorrere le ragioni degli altri, di confrontarle con argomenti sempre più convincenti. Questo è il processo di elaborazione di quella memoria che può efficacemente contrastare la ripetibilità di quanto è accaduto. 7. Una decina di anni fa, sulla "scena" giovanile berlinese emblematica dell'umore di una generazione che oggi ormai è ~ulla s?glia ~ell 'età adulta, mi ha colpito una affermazione, che non ho d1men_t1cato._ Ecco che cosa diceva un ventenne di allora: "Quando arrivano I compagni stranieri, inizia il cattivo rituale: si deve dare sfogo ali' orrore per la miseria tedesca. La Germania è dipinta con i colori più neri: tutto il mondo è migliore - solo la Germani1,1è l'orrore compiuto. Non sopporto più questo servilismo: ess~re acc_ettato~ai compagni stranieri solo se rinnego il mio paese. E un vicolo cieco che sta nella tradizione della denazificazione imperialista dei maledetti yankees che ci hanno decretato la loro democrazia". N?n so 9-uanl?q_uesl?sf~g~ sia statisticamente rappresentativo dei sentimenti d1ffus1.Ne ntengo urgente qui denunciarne la pericolosità politica. Ritengo piuttosto che le parole riportate siaIL CONTESTO no, nella loro ambigua intensità, un segno chiaro di quel proble- ~a dell'iden~tà storica tedesca cui le culture politiche deinocratiche correntI non hanno saputo trovare una soluzione. "Identità storica" è un concetto facile da enunciare ma difficile da articolare. Infatti non significa semplicemente ~pere tutto quello che è successo al paese cui si appartiene per sangue, lingua e cultura. Ma accettare che tale conoscenza (anche e soprattutto nei suoi aspetti moralmente squalificanti) tocchi in profondità la propria identità (anche se non ci si sente personalmente responsabili di quanto è accaduto). Questo processo di conoscenza coincide con la formazione e la stabilizzazione della memoria collettiva in senso pieno. Questo processo è in atto in Germania, anche se talvolta appare incerto, instabile, reversibile. Ma si tratta di difficoltà intrinseche_allanatura stessa del fenomeno in corso. È come se ogni generazione debba riprendere daccapo ogni volta l'iniziativa, a partire da dove l'ha lasciata la generazione precedente. Anzi, spesS?vengono contestati i criteri stessi con cui ha operato la generaz10neprecedente. Con il passare degli anni, le vittime e i testimoni diretti dei crimini nazisti si lasciano andare al pessimismo- lamentando la dimenticanza, la relativizzazione e banalizzazione di quanto è accaduto, addirittura la sua profanazione. Si tratta naturalmente di preoccupazioni legittime da tenere in attenta considerazione. Ma come ho già detto, ritengo che leminacce più insidiose ad una memoria storica matura vengano oggi da una malaccorta sacralizzazione dell'accaduto, che provoca una specie di morbosità dell' orrore (che può assumere, per reazione, la forma, appunto, della profanazione). Oppure il rituale della colpevolizzazione universale. L'ultimo esempio lo ha offerto la nostra televisione di Stato con il programma di "Mixer" dedicato all'Olocausto settimane or sono. Le immagini dei campi di sterminio erano seguite da commenti che parlavano delle corresponsabilità del Vaticano del governo americano, inglese e degli stessi esponenti del futuro Stato d'Israele. Tutti costoro sapevano (avevano notizie) di quanto stava accadendo agli ebrei, ma non hanno fatto nulla. Il tono concitato del commentatore televisivo voleva essere quello della grande denuncia: ma l'enormità dell'assunto mai seriamente discuss~ n_elcorso della trasmi.ssione ("chi sapeva o sospettava del genoc1d10è colpevole") ha ottenuto verosimilmente l'effetto opposto presso il telespettatore medio: ha trasmesso uno sconfortante senso di generalizzazione delle responsabilità storiche per l '0locausto - molto simile a una relativizzazione generale. La "miseria tedesca" e la sua intollerabile ritualizzazione, contro cui si ribella il giovane berlinese_ricordato sopra, sono il sottoprodotto di un singolare ostracismo spirituale, decretato alla recente storia tedesca. Le è negato il carattere proprio di "tragedia" - a dispetto dell'uso e abuso dell'aggettivo corrente di "tragico" per connotare le sue vicende. Stiamo parlando infatti di '.'tragedia" nel suo significato forte, originario, greco d/conflit~ tomsuperabile di ragioni, di diritti. Ebbene la vicenda tedesca non si dispiega nel contrasto di ragioni contro ragioni, di diritti contro diritti, ma attraverso prevaricazioni e delitti - così almeno nell'immaginario storico collettivo. Persino la dimensione "politica" della vicenda perde connotati tragici autentici (quelli che nell'Antigone sofoclea fanno sì che le ragioni della politica costituiscano le radici stesse della tragedia). Questa della "tragedia negata" mi pare un'ottica degna di riflessione in questa sede - soprattutto se all'idea di tragedia associamo, legittimamente, l'idea della grande rappresentazione, della memoria collettiva che si dispiega in segni pubblici. Forse l'obiettivo che tutti ci poniamo - tedeschi e non-tedeschi, figli/ nipoti delle vittime e di quelli che attivi o passivi stavano dall 'altra parte- l'obiettivo di una comune memoria solidale europea sarà realizzato quando qualcuno riuscirà a creare e rappresentare una autentica "tragedia tedesca". 7
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